Agenzia delle Entrate. Fisco in confusione: moltiplica le sanzioni e si “dimentica” di annullarle perché non dovute. Contribuenti in continue crisi di nervi

L’agenzia del Territorio applica penalità per presunti errori formali, inviando cartelle di pagamento a tutti i soggetti coobbligati. I giudici di primo grado, con sentenza passata in giudicato, e, quindi, definitiva, annullano gli atti sbagliati, ma l’ufficio perde tempo nel dare seguito alla pronuncia.

Francofonte, 18 febbraio 2024. Contribuenti in continue crisi di nervi, per colpa di alcuni uffici che sono veloci ad emettere cartelle di pagamento, ma molto lenti ad annullarle quando le somme chieste non sono dovute. In questo modo, il contribuente è costretto prima, a presentare ricorso, poi, se i giudici tributari gli danno ragione, deve chiedere all’ufficio di annullare le cartelle emesse perché nulla è dovuto.

Le cartelle sbagliate in presenza di coobbligati

Le complicazioni aumentano quando le cartelle emesse riguardano più soggetti, in quanto coobbligati. Può essere il caso di contribuenti comproprietari di un immobile ai quali l’ufficio chiede il pagamento di imposte, con sanzioni e interessi, inviando tante cartelle di uguale importo a tutti i comproprietari, in quanto coobbligati. Il coobbligato è il soggetto tenuto al pagamento in pari grado insieme ad altro o ad altri soggetti. Ad esempio, nel caso di pagamento di un tributo riferito ad una abitazione con dieci comproprietari, la cartella sarà emessa per tutti i dieci soggetti in qualità di coobbligati, solidalmente responsabili. A norma dell’articolo 1292 del codice civile, ciascun debitore può essere costretto all’adempimento per la totalità della prestazione e, in questo caso, l’adempimento da parte di un coobbligato libera tutti gli altri. Nel caso di richieste del Fisco a più soggetti coobbligati sono evidenti le complicazioni che ne possono derivare. Ed è quello che è successo a tre contribuenti, marito, moglie e figlia, comproprietari dello stesso immobile, ai quali l’Agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Siracusa, ufficio provinciale, Territorio, ha contestato la regolarità di una variazione catastale, chiedendo il pagamento di una sanzione di 1.040,75 euro a ciascuno dei tre comproprietari. Ecco i fatti.

Il ricorso contro la richiesta del Fisco

Contro la richiesta dell’ufficio è stato presentato tempestivo ricorso, con richiesta di annullamento della sanzione di 1.040,75 euro e conseguente cancellazione delle tre cartelle di pagamento. Per l’ufficio, la sanzione viene chiesta in quanto <<dalla documentazione in atti è stato presentato in data 21 settembre 2020 l’atto di aggiornamento catastale registrato con protocollo n. 31824 relativo a numero 1 unità immobiliari site in Francofonte, foglio 28, particella 3197 sub 4, dichiarando quale data di ultimazione lavori quella del 13 marzo 2020, oltre il termine di 30 giorni dal momento in cui si è verificata la variazione>>. Nel ricorso, viene fatto presente che le sanzioni non sono dovute per la semplice ragione che è sbagliata l’indicazione della data di ultimazione lavori, in quanto diversa da quella effettiva. Infatti, per errore, nel modello di dichiarazione di variazione catastale, come data di “ultimazione fabbricato urbano” è stata indicata la data del 13 marzo 2020, invece di quella corretta del 31 agosto 2020. L’indicazione sbagliata del 13 marzo 2020 ha quindi comportato l’applicazione della sanzione, in quanto “l’atto di aggiornamento catastale”, inviato il 21 settembre 2020, sarebbe stato presentato oltre i trenta giorni previsti per legge. La giusta data di ultimazione lavori è quella del 31 agosto 2020, e, perciò, non è applicabile alcuna sanzione, in quanto la variazione catastale è stata presentata entro 30 giorni dalla data di ultimazione dei lavori. Ad ulteriore conferma che la data di “ultimazione fabbricato urbano” è quella del 31 agosto 2020, si precisa che la segnalazione certificata per l’agibilità è stata presentata il 21 settembre 2020, cioè entro trenta giorni dal 31 agosto 2020.

L’aggiornamento catastale degli immobili

Come si è detto, non esiste alcuna ritardata denuncia e, perciò, non è stata commessa alcuna violazione, in quanto la denuncia di nuova costruzione è stata effettuata nei termini previsti dalla legge, cioè entro i trenta giorni dalla data in cui l’immobile è abitabile o servibile all’uso cui è destinato, e non dalla data di ultimazione dei lavori. Infatti, come descritto nelle istruzioni per la redazione degli atti di aggiornamento del catasto fabbricati, “vademecum DO.C.FA.” (documento catasto fabbricati), ultimo aggiornamento del 25 luglio 2022, “Il termine di presentazione delle dichiarazioni al catasto è fissato in trenta giorni dal momento in cui i fabbricati sono divenuti abitabili o servibili all’uso cui sono destinati comunque decorrenti dalla data di ultimazione della variazione nello stato per le unità immobiliari già censite”.
La stessa agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Siracusa, ufficio provinciale, Territorio, il 27 luglio 2021, ha comunicato agli Ordini e Collegi Professionali della Provincia di Siracusa, che, a livello nazionale, nei modelli di dichiarazione Docfa presentati sono stati commessi “numerosi errori” da parte dei professionisti, nella compilazione di uno specifico campo (ultimazione lavori).
Per evitare questi errori, è stato <<richiesto al partner tecnologico SOGEI di inserire, nella piattaforma SISTER, una nuova finestra di controllo … con la quale si richiede al tecnico abilitato di ripetere la data di ultimazione dei lavori, già indicata nel documento, prima della sua presentazione>>. Resta fermo che, come riportato nella richiamata comunicazione del 27 luglio 2021, dell’agenzia delle Entrate, <<i fabbricati nuovi ed ogni altra stabile costruzione che debbono considerarsi immobili urbani, devono essere dichiarati … entro trenta giorni dal momento in cui sono divenuti abitabili o servibili all’uso cui sono destinati>>.

L’errore formale non è mai sanzionabile

Nel ricorso, è stato precisato che l’avere indicato nel modello di dichiarazione di variazione catastale, come data di “ultimazione fabbricato urbano”, la data del 13 marzo 2020, invece di quella corretta del 31 agosto 2020, è un errore formale non sanzionabile. Al riguardo, si ricorda che sono inapplicabili le sanzioni in caso di errori formali che non recano <<pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo>> (agenzia delle Entrate, circolare 77/E del 3 agosto 2001).
In caso di errori formali, l’articolo 10, comma 3, dello Statuto, legge 212/2000, e l’articolo 6, del decreto legislativo 472/1997, <<seppur con lievi differenziazioni, sanciscono, in ogni caso, che la punibilità è esclusa tutte le volte che il comportamento antigiuridico del contribuente, seppure in violazione di specifici obblighi di legge, in concreto, non dia luogo ad alcun debito d’imposta (il cosiddetto danno erariale) e non incida sull’attività di controllo, privilegiando l’aspetto sostanziale dell’offesa del bene giuridico tutelato… In sostanza, secondo la prassi dell’Amministrazione Finanziaria, solo se concorrono entrambe le condizioni di cui all’articolo 6 la violazione è meramente formale e come tale non punibile>>. Insomma, l’errore formale ininfluente sulla determinazione delle imposte che non incide sull’attività di controllo del Fisco non è mai sanzionabile.

La sentenza dei giudici di primo grado

I giudici di primo grado di Siracusa, con la sentenza 1852/2023, del 7 giugno 2023, depositata il 15 giugno 2023, hanno accolto il ricorso, annullando la richiesta di pagamento della sanzione. Per i giudici di primo grado, a norma dell’articolo 28, comma 1, del regio decreto legge 652 del 1939, <<i fabbricati nuovi ed ogni altra stabile costruzione nuova che debbono considerarsi immobili urbani …. devono essere dichiarati all’ufficio … entro trenta giorni dal momento in cui sono divenuti abitabili o servibili all’uso cui sono destinati>>. Nel caso in esame, vale la pena ripetere che la data di “ultimazione fabbricato urbano” è quella del 31 agosto 2020, e l’atto di aggiornamento catastale è stato presentato il 21 settembre 2020, cioè entro 30 giorni dal 31 agosto 2020.

La sentenza è già definitiva

La sentenza di primo grado, depositata il 15 giugno 2023, è definitiva, per acquiescenza dell’ufficio, che non ha presentato l’appello entro sei mesi dalla data di deposito come previsto dalla legge. Considerata anche la sospensione dei termini per il mese di agosto, i sei mesi per l’appello, più il mese di agosto, sono scaduti il 15 gennaio 2024. Vista la definitività della sentenza, il 25 gennaio 2024, è stato chiesto all’ufficio del Territorio di Siracusa di eseguire l’annullamento delle tre cartelle di pagamento emesse in fotocopia, con gli stessi importi dovuti e per lo stesso atto di contestazione sanzioni, una per il marito, l’altra per la moglie e la terza per la figlia. All’ufficio è stato chiesto un tempestivo intervento per annullare la richiesta di pagamento di somme non dovute.
Al momento, a seguito dell’istanza dei tre contribuenti, obbligati in solido, l’ufficio, con provvedimento di sgravio del 12 febbraio 2024, ha annullato le sanzioni limitatamente al marito. Ed è chiaro che, essendo, come si è detto, le altre cartelle sempre relative alla stessa contestazione, così come l’eventuale pagamento di uno dei tre coobbligati “libera” tutti gli altri coobbligati, anche l’annullamento nei confronti di uno dei “coobbligati” deve necessariamente comportare l’annullamento della sanzione nei confronti degli altri coobbligati che, nonostante tutto, attendono fiduciosamente.
E’ chiaro che disfunzioni come quella in oggetto possono capitare, considerato che il 2023 è stato un anno particolarmente impegnativo e complicato, anche per l’enorme lavoro che hanno comportato le dieci e più sanatorie introdotte dal Governo Meloni. Le complicazioni, però, non devono recare fastidi ai cittadini che, peraltro, dal 2020, dopo l’emergenza Covid 19, hanno difficoltà a parlare con i funzionari degli uffici, per chiedere informazioni e per rimediare ad eventuali errori commessi dallo stesso contribuente o dall’ufficio. Il dialogo Fisco – cittadini in presenza è scomparso. Parlare con qualche funzionario è diventata un’impresa ed il confronto con gli uffici è spesso virtuale, affidato ai messaggi per posta elettronica ordinaria (Peo) o per posta elettronica certificata (Pec). Capita anche che alle istanze del contribuente, l’ufficio rimanga in silenzio. In alcuni casi, per la mancanza di un confronto diretto, si assiste ad un dialogo tra sordi, con i contribuenti costretti a presentare più istanze per lo stesso problema e l’ufficio che risponde più volte senza però risolverlo.

Autotutela “dimenticata”

Uno dei problemi dell’attuale complicato sistema fiscale è che le richieste di annullamento in autotutela vengono spesso lasciate “lettera morta”, nel senso che alcuni uffici non le prendono in considerazione e nemmeno rispondono alle sollecitazioni dei cittadini ingiustamente disturbati. L’autotutela è lo strumento che, in materia tributaria, impiega il cittadino per farsi ascoltare dagli uffici quando ritiene di avere subìto un’ingiustizia. Per una giusta autotutela, gli uffici devono anche ricordarsi della regola non scritta, ma sempre valida, del buon senso. Se però l’ufficio non ha alcun obbligo di risposta in tempi certi, ed il contribuente non ha alcuna tutela giurisdizionale, l’autotutela serve a poco o nulla. Così come, soprattutto in questi ultimi anni, sono pochi i funzionari degli uffici che si assumono la responsabilità di annullare gli atti sbagliati in tutto o in parte.
La domanda che si fanno è sempre la stessa: “chi me lo fa fare?”.

Il Fisco è “amico” a parole, ma nei fatti è “nemico”

Con la confusione fiscale di questi tempi, ormai arrivata a livelli insostenibili ed intollerabili, alcuni uffici, per raggiungere gli obiettivi in tema di accertamento, controlli, verifiche ed altro, approfittano di qualsiasi errore del contribuente, anche se in contrasto con le promesse più volte fatte dai vertici dell’agenzia delle Entrate che parlano di un Fisco amico e leale. Belle parole, ma nei fatti non è così. Ci vuole più lealtà e collaborazione, solo così si potrà sperare in un Fisco amico e contribuenti in buona fede, con l’obiettivo di eliminare la grande confusione fiscale che sta soffocando tutti, uffici dell’agenzia delle Entrate compresi.
Come sempre, gli unici a beneficiarne sono i veri evasori. E poi si continua a parlare di “lotta all’evasione”, che, al pari dell’autotutela, rimane spesso una speranza. In questa grande confusione fiscale, sicuramente una delle peggiori degli ultimi 20 anni, come si è detto, succede che, alle richieste dei cittadini, spesso gli uffici restano in silenzio. Silenzio che, per i contribuenti, è peggio di una risposta negativa.

Debiti a ruolo oltre i 1.200 miliardi di euro

Che la lotta all’evasione rimane solo nelle parole, è “certificato” dall’ammontare dei debiti a ruolo, che a fine anno 2023, ammonta ad oltre 1.206,6 miliardi di euro. Infatti, come ha riferito il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, il primo febbraio 2024, in occasione del Telefisco 2024 del Sole 24 – Ore, in base agli ultimi dati al 31 dicembre 2023, il cosiddetto magazzino della Riscossione conta “oltre 1.206,6 miliardi di euro, che riguardano circa 163 milioni di cartelle e avvisi di accertamento e 22,4 milioni di contribuenti”. Di questo enorme magazzino, i contribuenti interessati sono 3,5 milioni di Fondazioni, società ed enti e 18,9 milioni di persone, di cui 3 milioni titolari di attività economica. Per Ruffini, spesso sono debiti di esiguo valore, soprattutto violazioni del Codice della strada, e buona parte di questi non sono recuperabili.
Lo stesso Ruffini ha spiegato che “il 40% cioè circa 483 miliardi sono irrecuperabili perché intestati a persone decedute o nullatenenti o imprese cessate; il 42% cioè 502 miliardi a soggetti verso cui già sono stati svolti atti senza successo; l’8% sono sospesi da atti di autorità giudiziarie o definizione agevolata in corso; 18,8 miliardi sono oggetto di pagamenti rateali. Restano 101,7 miliardi da incassare, ma i debitori sono anche soggetti con limitazioni a tutela del contribuente, quali, ad esempio, limiti legati a prima casa o impignorabilità di beni strumentali. Insomma, della montagna dei debiti a ruolo, che a fine anno 2023, ammonta ad oltre 1.206,6 miliardi di euro, se va bene, si potrà incassare circa il 5%, cioè meno di 100 miliardi di euro. Visto che si parla spesso e a vanvera di semplificazioni, una vera semplificazione, che significa fare anche chiarezza, potrebbe essere quella di cancellare la montagna dei debiti a ruolo non incassabili e cercare, con tutti i mezzi leciti e in tempi brevi, di riscuotere le somme incassabili. Il Fisco che perde tempo, da una parte, reca fastidio alle persone per bene, che aspettano gli annullamenti di cartelle per somme non dovute o di chiudere contenziosi magari di centinaia di migliaia di euro, senza alcuna prova, basati su presunzioni cervellotiche, ma, dall’altra parte, agevola gli evasori e i furbetti che, approfittando della lentezza del Fisco, fanno di tutto per non pagare le somme dovute. Per questi “furbetti”, vale sempre il detto che “per pagare e per morire c’è sempre tempo”.

Passare da uno stato di paura ad uno di certezza del diritto e fiducia

La gente è stanca di sentire annunciare continue “semplificazioni” che, alla prova dei fatti, sono nuove complicazioni. I contribuenti, anzi i “Cittadini” meritano più rispetto ed un sistema fiscale che generi certezze, non paure, ansie e panico, come quello degli ultimi anni. Anche l’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria, nell’illustrare le linee guida davanti alla Commissione Finanze del Senato, il 17 luglio 2018, ha affermato che è <<doveroso passare da uno stato di paura nei confronti dell’amministrazione finanziaria a uno stato di certezza del diritto e fiducia>>. I principi guida devono essere quelli di buona fede e reciproca collaborazione, ricordandosi che l’autotutela esiste, non è una specie di optional e l’ufficio emittente non possiede una potestà discrezionale di decidere a suo piacimento se correggere o no i propri errori.
E’ noto che, applicando doverosamente l’istituto dell’autotutela, l’ufficio emittente deve, appena possibile, annullare l’atto illegittimo. Al riguardo, si ricorda che, in presenza di un errore dell’amministrazione, non è vero che lo sgravio è facoltativo, in quanto l’agenzia delle Entrate, come tutta la pubblica amministrazione, deve conformarsi alle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione. L’autotutela, in caso di errore dell’ufficio, non è un optional ma è obbligatoria e non vi è spazio <<alla mera discrezionalità poiché essa verrebbe necessariamente a sconfinare nell’arbitrio, in palese contrasto con l’imparzialità, correttezza e buona amministrazione che sempre debbono informare l’attività dei funzionari pubblici>>. I cittadini meritano rispetto! Gli uffici, quando sbagliano e colpiscono ingiustamente un cittadino onesto, devono ricordarsi delle norme sull’autotutela, che consentono di annullare gli atti sbagliati. Insomma, l’atto illegittimo deve essere annullato in autotutela senza discrezionalità e in tempi brevi.

Le richieste sbagliate devono essere annullate per evitare l’apertura di un inutile contenzioso

E’ grave che gli uffici ogni tanto facciano richieste di pagamento non dovute, mettendo in difficoltà il contribuente che le riceve, con l’ulteriore aggravante che, aperta la lite, gli uffici proseguono il contenzioso fino alla Cassazione, rischiando di non incassare nulla e di essere condannati al pagamento delle spese di giudizio. La verità è che nel momento in cui “parte” un accertamento o una richiesta di pagamento, anche se in modo errato, è quasi inevitabile che il relativo contenzioso dovrà superare i tre gradi di giudizio, primo, secondo grado e Cassazione. Non è giusto, ma gli uffici che amano la lite sperano in una delle cosiddette sentenze a “sorpresa” da parte dei giudici tributari, che possa giustificare il loro operato. Inoltre, chi paga è sempre e soltanto il contribuente, non certo il singolo funzionario che emette l’accertamento sbagliato o chiede pagamenti non dovuti e prosegue il contenzioso. A guadagnarci in questa grande confusione fiscale, la peggiore degli ultimi venti anni, oltre agli evasori, sono i difensori dei contribuenti. Per gli errori dei funzionari, paga l’agenzia delle Entrate, cioè la collettività.


Mimma Cocciufa e Tonino Morina – Esperti fiscali del Sole 24 – Ore

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