Agenzia delle Entrate. Fisco e Inps raddoppiano la pretesa e le liti, ma nessuno corregge l’anomalia

Con una direttiva del 28 dicembre 2012, l’agenzia delle Entrate si era riservata di fornire indicazioni in merito agli importi da iscrivere sulla scorta delle determinazioni dell’istituto previdenziale. Sono “passati” 12 anni e non è cambiato nulla. L’applicazione di regole diverse comporta anche una doppia richiesta di pagamenti delle stesse somme, situazione inaccettabile, paradossale, ma vera.

Francofonte, 25 maggio 2024. Per la richiesta dei contributi Inps a seguito di accertamento del Fisco, da molti anni esiste un doppio binario che non ha alcuna giustificazione. Riguarda il caso, molto frequente, degli accertamenti dell’agenzia delle Entrate, con richiesta di contributi Inps, con il Fisco e l’istituto previdenziale che duplicano la pretesa e moltiplicano le liti. L’applicazione di regole diverse tra Inps e agenzia delle Entrate comporta anche la doppia richiesta di pagamenti delle stesse somme, situazione inaccettabile, paradossale, ma vera. E’ quello che succede a molti contribuenti che, dopo avere ricevuto l’accertamento dell’ufficio delle Entrate, contenente anche la richiesta dei contributi Inps, a distanza di qualche mese o anno, si vedono ripetere la stessa richiesta dei contributi, più sanzioni e interessi, da parte dell’istituto previdenziale. In questo modo, il contribuente, per contestare l’accertamento del Fisco, deve presentare ricorso ai giudici tributari. Poi, per contestare la richiesta dell’Inps, deve presentare ricorso al Tribunale, in funzione del giudice del lavoro. Peraltro, com’è successo per le vecchie chiusure delle liti pendenti o per gli altri condoni fiscali degli ultimi anni, la definizione agevolata vale solo per il Fisco, ma non per l’Inps.

Doppia richiesta e doppio ricorso. Il guaio è che se il contribuente si “dimentica” di fare il ricorso al Tribunale, per i contributi Inps, a prescindere dagli esiti di quello presentato ai giudici tributari, l’avviso di addebito dell’Inps comporta l’obbligo per il contribuente di pagare le somme chieste. Può anche capitare che l’accertamento venga annullato, ma il contribuente, se non ha fatto ricorso contro l’avviso di addebito Inps, potrebbe essere costretto a pagare i contributi Inps indicati nell’accertamento annullato, con maggiorazioni e spese. In questi casi, i contribuenti possono presentare un’istanza di annullamento in autotutela, che, però, l’istituto previdenziale difficilmente prende in considerazione, con il paradosso di costringere il contribuente a pagare somme derivanti da un accertamento già annullato.

L’altalena delle sentenze. Capita anche che le sentenze emesse dai giudici tributari possano essere diverse da quelle del giudice del lavoro, una positiva e l’altra negativa o viceversa. La verità è che questo assurdo doppio binario, con la duplicazione delle stesse somme e il doppio contenzioso deve essere eliminato perché ingiustificato e inaccettabile. In questo modo, anziché alleggerire il contenzioso, lo si alimenta, creando disorientamento ai contribuenti.

Il Fisco preannuncia il doppio accertamento. Un esempio in questo senso, con l’agenzia delle Entrate che chiede i contributi Inps e annuncia che anche l’Inps farà la stessa richiesta, è in un recente accertamento emesso dall’agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Siracusa, notificato al contribuente il 26 aprile 2024. L’ufficio, con l’accertamento emesso per l’anno 2018, chiede contributi Inps per 15.515,00 euro, oltre interessi maturati e maturandi. Poi, a pagina 9 di 13 dell’accertamento, l’ufficio avverte che <<la riscossione dei maggiori contributi previdenziali accertati, i relativi interessi e le sanzioni è effettuata dall’Inps, mediante la notifica di un avviso di addebito con valore di titolo esecutivo (articolo 30 decreto legge n. 78/2010)>>; questo significa che, dopo l’accertamento operato dall’agenzia delle Entrate, con la richiesta dei contributi Inps, il contribuente si dovrà aspettare analoga richiesta da parte dell’Inps, con conseguente duplicazione del contenzioso per gli stessi contributi, uno con ricorso alla Corte di giustizia tributaria di primo grado e l’altro con ricorso al Tribunale, in funzione del giudice del lavoro.

La pace fiscale è irrilevante per l’Inps. Com’è successo per le sanatorie fiscali degli ultimi anni, chiusura delle liti o altre definizioni agevolate, è anche capitato che l’istituto previdenziale non si è attivato. In questi casi, l’eventuale definizione agevolata della lite, fatta ai fini fiscali, diventa, per inerzia dell’Inps o per decadenza dei termini, chiusura definitiva anche ai fini previdenziali. Nei casi in cui l’Inps si attiva, l’istituto chiede i contributi per l’intero importo accertato, senza considerare le somme pagate dai contribuenti al solo fine di chiudere la lite fiscale, su un reddito imponibile ridotto rispetto a quello accertato. Perciò, anche a seguito di conciliazione o altra definizione agevolata con il Fisco, che riduce o “azzera” la richiesta dei contributi Inps, l’istituto previdenziale pretende sempre il pagamento del 100 per cento dei contributi Inps, come richiesti nell’accertamento originario.

Le sentenze dei Tribunali in materia Inps. Considerata la confusione in materia, esistono sentenze di vari Tribunali, in alcuni casi favorevoli ai contribuenti, in altri favorevoli per l’istituto previdenziale. Ad esempio, per il Tribunale ordinario di Milano, sezione lavoro, sentenza 5304/2013, udienza del 21 giugno 2013, va dichiarata illegittima la richiesta dei contributi Inps <<con tutte le conseguenze di legge, tenuto conto che non è stato richiesto un diverso accertamento dell’obbligo contributivo eventualmente sulla base dell’accordo intervenuto tra contribuente e Fisco>>. Il Tribunale di Milano, oltre a dichiarare inesistente il credito, condanna l’Inps <<a rimborsare alla ricorrente le spese di lite che liquida in complessivi euro 1.500 oltre accessori>>. Insomma, è vero che la chiusura delle liti o le altre definizioni agevolate hanno valore solo per il Fisco e non per l’Inps, ma l’istituto previdenziale non può pretendere nulla, basando la propria richiesta solo sull’accertamento emesso dall’agenzia delle Entrate. E’ altresì ingiustificata la richiesta dei contributi per l’intero importo accertato, senza nemmeno riconsiderare <<l’obbligo contributivo … sulla base dell’accordo intervenuto tra contribuente e Fisco>>. Si deve infine osservare che, per il Tribunale di Catanzaro, l’impugnazione in sede giudiziaria costituisce impedimento legale all’iscrizione a ruolo del credito contributivo scaturente dall’accertamento tributario ritualmente impugnato dinanzi la competente autorità, con la conseguenza che l’iscrizione stessa, essendo comunque stata eseguita, va considerata illegittima ed annullata (sentenza dell’11 marzo 2010).

Gli insegnamenti della Cassazione. Purtroppo, l’Inps continua a chiedere i contributi senza considerare gli insegnamenti della Cassazione. Per i giudici di legittimità, sentenza n.8379 del 9 aprile 2014 <<l’articolo 24, comma 3, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, che prevede la non iscrivibilità a ruolo del credito previdenziale sino a quando non vi sia provvedimento esecutivo del giudice qualora l’accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all’autorità giudiziaria, va interpretato nel senso che l’accertamento, cui la norma si riferisce, non è solo quello eseguito dall’ente previdenziale, ma anche quello operato da altro ufficio pubblico come l’agenzia delle Entrate, né è necessario, ai fini di detta non iscrivibilità a ruolo, che, in quest’ultima ipotesi, l’Inps sia messo a conoscenza dell’impugnazione dell’accertamento davanti all’autorità giudiziaria anche quando detto accertamento è impugnato davanti al Giudice tributario>>.

La direttiva del 2012 “dimenticata”. In verità, l’agenzia delle Entrate, in una direttiva del 28 dicembre 2012, si era riservata di fornire indicazioni in merito alle residue quote eventualmente da iscrivere sulla scorta delle determinazioni dell’Inps, nel frattempo interpellato dalla stessa agenzia delle Entrate. Le “determinazioni dell’Inps” erano e sono urgenti e indispensabili, ma, dopo 12 anni, nulla è cambiato. La speranza è che venga corretta l’anomalia, stabilendo che la chiusura della lite o le altre sanatorie fiscali degli ultimi anni hanno effetto per il Fisco e per i contributi Inps. D’altra parte, basta applicare le stesse regole previste nei casi di riduzione del maggior reddito accertato dal Fisco a seguito di ricorso, accertamento con adesione, o conciliazione. La riduzione o l’azzeramento del maggior reddito rileva anche ai fini dei contributi previdenziali. Di conseguenza, i contributi Inps dovuti dalle imprese, artigiani o commercianti, dovranno essere rideterminati sulla base dell’imponibile definito (circolare Inps 140 del 2 agosto 2016).

Mimma Cocciufa e Tonino Morina – Esperti fiscali del Sole 24 – Ore

a Cognita Design production
Torna in alto