Yerma e L’ossessione della maternità che diventa tragedia

Una straordinaria ed intensa Chiara Tron, uno dei volti della serie tv “Viola come il mare” prossimamente su canale 5 per la seconda stagione, che   racconta nel ruolo della protagonista il dramma umano e psicologico di una donna già segnata dal suo nome “Yerma” che tradotto nella nostra lingua significa sterile e mai compresa dal marito che l’accusa dell’impossibilità di procreare nascondendo così la sua sterilità.

La scelta registica della forte presenza assenza del marito aleggia per tutto lo spettacolo accentuando la morale cattolica del periodo in cui la donna è costretta a subire vessazioni e soprusi dal coniuge senza permettersi di rompere per nessun motivo il sacro vincolo del matrimonio, puntando l’attenzione al fatto che l’unico scopo di un’unione coniugale è mettere al mondo dei figli.

Il legame della protagonista con Victor, interpretato da un bravo Giovanni Strano, che rappresenta il vero amore, quell’amore mai consumato e per questo eterno, agli occhi del Paese è un vero tradimento. Il trasporto tra i due appassiona e coinvolge come un fiume in piena conquistando lunghi e meritati applausi per tutti i giorni di programmazione.

La liricità della testo tratto  dalla trilogia lorchiana assieme a “La Casa di Bernarda Alba” e “Bodas de sangre” presenta numerosi riferimenti pagani che l’accurata regia ha saputo ben evidenziare come quando la giovane Yerma sempre più disperata si rivolge anche ad una specie di  maga capace di rendere fertile una donna sterile attraverso un particolare rituale di preghiere perpetuate nel buio del cimitero a cui si sottopone una sempre più brava Chiara Tron. Applausi per l’incontro con la Vecchia , interpretata da un’intensa Ketty Governali, sposata due volte e madre di ben quattordici figli che durante tutta la messa in scena instilla in Yerma il dubbio diventato sempre più certezza che sia il marito colpevole della sterilità.

Tutta la pièce non presenta alcun cedimento o naturale calo fisiologico di pathos ma è un vero e proprio divenire di emozioni e commozione generale soprattutto nell’epilogo della tragedia finale che colpisce l’animo e scava nelle profondità dell’essere umano per un’opera vera, di sentimenti, dubbi e scelte.

Nell’adattamento di Giustolisi e Bisicchia l’innovazione  è data dal finale, dove il destino di Yerma si biforca:   il gesto irrazionale del personaggio e la scelta meditata dalla “donna”. Due strade quasi opposte che, andando al dilà del tempo,  si ricongiungono per dimostrare che un rapporto privo di amore e rispetto è condannato a rimanere sterile. E che essere madre oggi è un diritto non un dovere.

In questo viaggio tra memoria onirica ed agghiacciante realtà arricchiscono la scena,  coordinata dalle coreografie curata da Luis Del Grado e Malena Veltri, le giovani allieve di Buio in Sala Paola Bonaccorso, Anastasia Cino, Valeria Paternò Castello, Federica Fischetti, Maria Clelia Sciacca, Martina Torrisi, Oriana Ciaffaglione e Federica Zuccarello le quali puntano a sottolineare l’argomento principale di tutta la rappresentazione  l’incomunicabilità all’interno della coppia e l’esasperazione del concetto di maternità.

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