Agenzia delle Entrate e della Riscossione. Gli uffici non si “parlano” tra di loro e il cittadino ne subisce le conseguenze

L’agente della Riscossione emette un atto di pignoramento dei crediti verso terzi, per debiti già cancellati dall’agenzia delle Entrate qualche giorno prima. Il Fisco è “amico” a parole, ma nei fatti è “nemico”.

Francofonte, 28 aprile 2024. Parlare con gli uffici è diventata un’impresa. Fino a qualche anno fa, prima del maledetto coronavirus, detto Covid 19, il contribuente, anzi, il cittadino, si poteva recare presso gli uffici dell’agenzia della Riscossione, dell’agenzia delle Entrate o di qualche ente pubblico e poteva confrontarsi con i funzionari dell’ente impositore. Dal 2020, a seguito dell’emergenza Covid 19, i cittadini hanno invece difficoltà a parlare con i funzionari degli uffici, per chiedere informazioni e per rimediare ad eventuali errori commessi dallo stesso contribuente o dall’ufficio. Il dialogo Fisco – cittadini in presenza è scomparso. Per parlare con i funzionari, prima di tutto, occorre fissare un appuntamento, sperando di essere poi ricevuti a distanza di qualche giorno.
Il confronto con gli uffici è spesso virtuale, affidato ai messaggi per posta elettronica ordinaria (Peo) o per posta elettronica certificata (Pec). Capita anche che alle istanze del contribuente, l’ufficio rimanga in silenzio. Perciò, per la mancanza di un confronto diretto, si assiste ad un dialogo tra sordi, con i contribuenti costretti a presentare più istanze per lo stesso problema e l’ufficio che risponde più volte senza però risolverlo. Il paradosso è che i problemi sono generati anche per la mancanza di dialogo tra gli stessi enti impositori. Ed è quello che sta succedendo ad un contribuente che, dopo avere ricevuto una richiesta di pagamento, ha presentato un’istanza di annullamento accolta dall’agenzia delle Entrate, con annullamento delle somme non dovute e sgravi eseguiti il 19 aprile 2024. Purtroppo, a distanza di appena quattro giorni, il contribuente si è visto recapitare un atto di pignoramento dei crediti verso terzi, con richiesta di pagamento delle somme che erano state già cancellate dall’agenzia delle Entrate. Ecco i fatti.

L’intimazione di pagamento e le sentenze dei giudici. Il contribuente, in data 12 marzo 2024, riceve una intimazione con richiesta di pagamento per presunte cartelle non pagate. In particolare, viene chiesto il pagamento di due cartelle di 4.077,25 euro e di 2.529,57 euro, una, notificata il 24 dicembre 2015, per imposte relative al 2011 e l’altra, notificata il 24 settembre 2019, per imposte relative al 2015. Il 5 aprile 2024 il contribuente presenta una richiesta di annullamento dell’intimazione di pagamento perché le somme chieste non sono dovute. Nell’istanza, si fa presente all’ufficio che la cartella emessa per l’anno 2011 deve essere annullata, in quanto relativa a un ricorso in primo grado accolto dai giudici di Siracusa, con sentenza n. 2838/06/19, pronunciata il 26 marzo 2019 e depositata il 23 luglio 2019, e anche la cartella emessa per l’anno 2015 deve essere annullata, in quanto il ricorso in primo grado è stato accolto dai giudici di Siracusa, sezione 1, con sentenza 4389/2021, depositata il 15 dicembre 2021.

Gli sgravi fatti tempestivamente dall’ufficio. Con apprezzabile tempestività, l’agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Siracusa, il 19 aprile 2024, comunica di avere emesso provvedimenti di sgravio, annullando integralmente le due cartelle. Per l’annullamento delle somme relative al 2011, l’ufficio “motiva” lo sgravio richiamando la sentenza n.2838/06/19 dei giudici di primo grado di Siracusa, e per l’annullamento delle somme relative al 2015, richiama la sentenza 4389/2021 dei giudici di primo grado di Siracusa.

Il pignoramento a sorpresa. Finalmente, sembrava tutto a posto, ma così non è stato, perché a distanza di quattro giorni, al contribuente, in data 23 aprile 2024, da parte dell’agenzia delle Entrate Riscossione, è stato notificato un atto di pignoramento dei crediti verso terzi, nel caso specifico, il “terzo” è l’Inps, l’istituto nazionale previdenza sociale. Nell’atto di pignoramento, si intima il contribuente a <<comparire innanzi al Tribunale ordinario di Siracusa, all’udienza che si terrà il giorno 29 luglio 2024>>. Insomma, altre spese a carico del contribuente. A questo punto, si riparte daccapo, con il contribuente costretto a presentare una nuova istanza in autotutela, sperando in un dialogo costruttivo e risolutivo tra agenzia delle Entrate e agenzia delle Entrate Riscossione, magari prima dell’udienza del 29 luglio 2024.

Autotutela “dimenticata”. Uno dei problemi dell’attuale complicato sistema fiscale è che le richieste di annullamento in autotutela vengono spesso lasciate “lettera morta”, nel senso che alcuni uffici non le prendono in considerazione e nemmeno rispondono alle sollecitazioni dei cittadini ingiustamente disturbati. L’autotutela è lo strumento che, in materia tributaria, impiega il cittadino per farsi ascoltare dagli uffici quando ritiene di avere subìto un’ingiustizia. Per una giusta autotutela, gli uffici devono anche ricordarsi della regola non scritta, ma sempre valida, del buon senso. Se però l’ufficio non ha alcun obbligo di risposta in tempi certi, ed il contribuente non ha alcuna tutela giurisdizionale, l’autotutela serve a poco o nulla. Così come, soprattutto in questi ultimi anni, sono pochi i funzionari degli uffici che si assumono la responsabilità di annullare gli atti sbagliati in tutto o in parte.

Il Fisco è “amico” a parole, ma nei fatti è “nemico”. Con la confusione fiscale di questi tempi, ormai arrivata a livelli insostenibili e intollerabili, alcuni uffici, per raggiungere gli obiettivi in tema di accertamento, controlli, verifiche ed altro, approfittano di qualsiasi errore del contribuente, anche se in contrasto con le promesse più volte fatte dai vertici dell’agenzia delle Entrate che parlano di un Fisco amico e leale. Belle parole, ma nei fatti non è così. Ci vuole più lealtà e collaborazione, solo così si potrà sperare in un Fisco amico e contribuenti in buona fede, con l’obiettivo di eliminare la grande confusione fiscale che sta soffocando tutti, uffici dell’agenzia delle Entrate e della Riscossione compresi. Come sempre, gli unici a beneficiarne sono i veri evasori. E poi si continua a parlare di “lotta all’evasione”, che, al pari dell’autotutela, appartiene al passato. In questa grande confusione fiscale, sicuramente una delle peggiori degli ultimi 20 anni, come si è detto, succede che, alle richieste dei cittadini, spesso gli uffici restano in silenzio. Silenzio che, per i contribuenti, è peggio di una risposta negativa.

Passare da uno stato di paura ad uno di certezza del diritto e fiducia

La gente è stanca di sentire annunciare continue “semplificazioni” che, alla prova dei fatti, sono nuove complicazioni. I contribuenti, anzi i “Cittadini” meritano più rispetto ed un sistema fiscale che generi certezze, non paure, ansie e panico, come quello degli ultimi anni. Anche l’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria, nell’illustrare le linee guida davanti alla Commissione Finanze del Senato, il 17 luglio 2018, ha affermato che è <<doveroso passare da uno stato di paura nei confronti dell’amministrazione finanziaria a uno stato di certezza del diritto e fiducia>>. I principi guida devono essere quelli di buona fede e reciproca collaborazione, ricordandosi che l’autotutela esiste, non è una specie di optional e l’ufficio emittente non possiede una potestà discrezionale di decidere a suo piacimento se correggere o no i propri errori. E’ noto che, applicando doverosamente l’istituto dell’autotutela, l’ufficio emittente deve, appena possibile, annullare l’atto illegittimo.
Al riguardo, si ricorda che, in presenza di un errore dell’amministrazione, non è vero che lo sgravio è facoltativo, in quanto l’agenzia delle Entrate, come tutta la pubblica amministrazione, deve conformarsi alle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione. L’autotutela, in caso di errore dell’ufficio, non è un optional ma è obbligatoria e non vi è spazio alla mera discrezionalità poiché essa verrebbe necessariamente a sconfinare nell’arbitrio, in palese contrasto con l’imparzialità, correttezza e buona amministrazione che sempre debbono informare l’attività dei funzionari pubblici. Tutti i cittadini meritano rispetto! Gli uffici, quando sbagliano e colpiscono ingiustamente un cittadino onesto, devono ricordarsi delle norme sull’autotutela, che consentono di annullare gli atti sbagliati. Insomma, l’atto illegittimo deve essere annullato in autotutela senza discrezionalità e in tempi brevi.

Le richieste sbagliate devono essere annullate per evitare l’apertura di inutili contenziosi. E’ grave che gli uffici ogni tanto “resuscitano” richieste di pagamento non dovute, mettendo in difficoltà il contribuente che le riceve, con l’ulteriore aggravante che, aperta la lite, gli uffici proseguono il contenzioso fino alla Cassazione, rischiando di non incassare nulla e di essere condannati al pagamento delle spese di giudizio. La verità è che nel momento in cui “parte” un accertamento o una richiesta di pagamento, anche se in modo errato, è quasi inevitabile che il relativo contenzioso dovrà superare i tre gradi di giudizio, primo, secondo grado e Cassazione. Non è giusto, ma gli uffici che amano la lite sperano in una delle cosiddette sentenze a “sorpresa” da parte dei giudici tributari, che possa giustificare il loro operato. Inoltre, chi paga è sempre e soltanto il contribuente, non certo il singolo funzionario che emette l’accertamento sbagliato o chiede pagamenti non dovuti e prosegue il contenzioso. A guadagnarci in questa grande confusione fiscale, la peggiore degli ultimi venti anni, oltre agli evasori, sono anche i difensori dei contribuenti. Per gli errori dei funzionari, paga l’agenzia delle Entrate o l’agenzia delle Entrate Riscossione o qualche altro ente impositore, cioè la collettività.

Mimma Cocciufa,Tonino MorinaEsperti fiscali del Sole 24 – Ore

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