Riscoprendo le tradizioni pasquali in Sicilia: antichi riti e cucina genuina

Nelle antiche tradizioni della Pasqua in Sicilia si mescolano elementi di religiosità, cultura e storia che risalgono a secoli di tradizione. La Pasqua, celebrata con fervore e devozione, rappresenta un momento cruciale nel calendario siciliano, dove le comunità si uniscono per commemorare la morte e la resurrezione di Cristo. Le celebrazioni pasquali sono caratterizzate da una varietà di riti e rituali, alcuni dei quali risalgono addirittura all’epoca medievale. Queste tradizioni riflettono l’influenza delle diverse culture che hanno lasciato il segno sull’isola nel corso dei secoli, rendendo la Pasqua in Sicilia un evento unico e ricco di significati profondi.

Nella tradizione cristiana, la Pasqua rappresenta il momento della morte e della resurrezione di Cristo, simboleggiando anche la rinascita della natura. Il cristianesimo ha incorporato la celebrazione della Pasqua in riti pagani legati al ciclo stagionale. In particolare, il concilio ecumenico di Nicea del 325 d.C. stabilì che la Pasqua dovesse essere osservata la prima domenica successiva all’equinozio di primavera. A differenza della Pasqua ebraica, che commemora il passaggio dell’Angelo sterminatore e la liberazione degli Israeliti dalla schiavitù in Egitto attraverso l’esodo verso la terra promessa, la Pasqua cristiana celebra la rinascita spirituale dell’umanità, offrendo la liberazione dai peccati e una nuova vita.

In Sicilia, durante la Settimana Santa, nota anche come “Simani Santi“, si svolgeva e, forse, ancora, si svolge, un complesso cerimoniale che rappresenta il culmine della Quaresima. Questo periodo era caratterizzato da una varietà di riti e usanze che riflettono una mescolanza di fede e credenze pagane tramandate nel corso del tempo. Il tema centrale delle celebrazioni, ancora oggi, è la rappresentazione della passione, morte e resurrezione di Cristo, che viene eseguita in modo altamente drammatico e teatrale in tutta l’isola. Questa pratica di rappresentare teatralmente la storia sacra ha radici nel Medioevo, quando, per soddisfare le esigenze della religiosità popolare, venivano messe in scena drammatizzazioni sulla vita dei santi, conosciute come “misteri” e “sacre rappresentazioni”.

Foto d’epoca della processione del Giovedì Santo di Marsala – scena di Gesù sulla via del Calvario

La tradizione della drammaturgia religiosa in Sicilia ha le sue radici nel 1543, quando Teofilo Folengo scrisse l’opera “L’atto della Pinta“, commissionata dal viceré Gonzaga e rappresentata nella chiesa di Santa Maria della Pinta a Palermo. Quest’opera, che trattava alcuni episodi della Genesi, ottenne un grande successo, dando inizio a una serie di altre opere di drammaturgia sacra. Verso la fine del XVI secolo, cominciarono a essere rappresentati i “Mortori“, focalizzati sulla passione e morte di Cristo. Secondo quanto riportato da Giuseppe Pitrè in “Spettacoli e feste“, la legislazione ecclesiastica delle varie diocesi siciliane conferma che fin dalla metà del Cinquecento le sacre rappresentazioni popolari erano radicate nella tradizione locale. Queste rappresentazioni includevano la nascita del bambino Gesù, ma, più comunemente, la passione di Cristo, i trionfi dei martiri, le gesta dei santi e alcuni eventi biblici. Le rappresentazioni avevano luogo durante le domeniche di Quaresima, le domeniche di Passione o in altri giorni designati dell’anno.

A Palermo, nel 1591, ebbe luogo il primo rito quaresimale, caratterizzato dalla sfilata di figuranti che interpretavano i vari personaggi degli episodi della passione di Cristo. Questa pratica, presto, si diffuse in tutta l’isola. L’organizzazione di queste sacre rappresentazioni richiedeva un notevole investimento di risorse, gestite principalmente dalle confraternite, con il supporto finanziario del clero e della nobiltà. Le prime confraternite si formarono intorno al 1300, con l’obbligo di disciplinarsi al di fuori dell’ordine ecclesiastico, a eccezione delle processioni. Nel corso del tempo, le confraternite assunsero un ruolo sociale ben definito, che includeva il conforto agli ammalati e ai carcerati, oltre alla cura degli orfani.

La Compagnia dei Bianchi, fondata a Palermo nel 1541, era responsabile di accompagnare i condannati a morte al patibolo, fornendo loro conforto spirituale prima dell’esecuzione. Prima della sua istituzione, i condannati venivano giustiziati senza ricevere assistenza religiosa. Inoltre, questa confraternita aveva il privilegio di poter graziare un condannato all’anno. Altre compagnie simili includevano quella degli Azoli, fondata a Messina nel 1542, la Compagnia di San Giovanni Battista, istituita a Catania nel 1543, e la Compagnia dei Bianchi formata a Trapani nel 1556.

Durante le celebrazioni religiose, tutti i membri delle confraternite partecipavano indossando i loro abiti distintivi e sfilavano portando stendardi ed emblemi specifici. Nel corso del tempo, i ceti artigianali, le maestranze, si unirono alle confraternite per preparare il palcoscenico delle sacre rappresentazioni. I riti della Settimana Santa, arricchiti dalla religiosità popolare con elementi culturali di antica origine, seguono uno schema comune diffuso nel meridione d’Italia. La benedizione delle palme e dei rami d’ulivo nella Domenica delle Palme, che segna l’inizio della Settimana Santa, rappresenta per i fedeli il ricordo della passione di Cristo. Nella cultura popolare, la palma assume un significato magico-religioso e viene considerata un talismano contro le malattie e le disgrazie.

La preparazione delle palme iniziava circa un mese prima grazie ai “parmari“, artigiani specializzati nell’intrecciare le foglie secondo tradizionali modelli figurativi. Alla vigilia della Domenica delle Palme, le palme, intrecciate in varie forme come panareddi, trizza, spica o spicchiu di mennula, venivano tenute al riparo dalla luce per accentuarne la chiarezza, prima di essere decorate con nastrini colorati. A Gangi, nella provincia di Palermo, si teneva uno dei riti più suggestivi, dove dieci confraternite raccoglievano le palme e le distribuivano il giorno di Pasqua seguendo una secolare tradizione. A Trapani, il Martedì Santo era dedicato alla processione della Madonna dei Massari, organizzata dalla corporazione dei massari, uomini che portavano il simulacro della Vergine attraverso i quartieri marinari della città. Alla fine della processione, l’icona veniva riposta in una cappella appositamente costruita per l’occasione, dove veniva vegliata per tutta la notte dalle mogli dei massari. Il Mercoledì Santo segnava l’apice delle celebrazioni.

Una delle processioni più spettacolari era la Real Maestranza a Caltanissetta, che coinvolgeva oltre quattrocento persone appartenenti alle diverse corporazioni di arti e mestieri, guidate da un capitano eletto annualmente. L’appellativo “reale” fu conferito da Ferdinando IV di Borbone, colpito dalla solennità e dall’imponenza della sfilata della maestranza. Le maestranze erano corporazioni ufficialmente riconosciute dalle istituzioni dell’isola, con un forte legame religioso. Ogni maestranza aveva il proprio santo patrono e, durante le processioni, godeva di privilegi speciali. Tuttavia, nel 1782, durante la processione dell’Assunta, scoppiò una violenta rissa tra membri di maestranze diverse, portando il viceré Francesco Caracciolo a abolire alcuni privilegi e iniziare la graduale soppressione delle maestranze stesse. Infine, il 13 marzo 1822, Francesco I sancì la loro eliminazione definitiva, lasciando loro un ruolo simbolico nelle processioni.

Processione a Enna

Le processioni del giovedì erano incentrate sulle rappresentazioni delle varie stazioni della Via Crucis. A Messina, la processione delle “varette“, istituita nel 1610 dall’Arciconfraternita della Pace dei Bianchi, presentava dodici gruppi statuari in legno, ognuno raffigurante una scena della passione, portati a spalla da devoti vestiti di bianco. In passato, facevano parte della processione anche i penitenti incappucciati, noti come i “babaluci“. A Marsala, la processione dei “Misteri viventi” coinvolgeva quattrocento membri della confraternita di Sant’Anna, rappresentando otto quadri che narrano gli episodi della Via Crucis attraverso figuranti. Il corteo attraversava i quartieri della città. I riti del Giovedì e del Venerdì Santo si distinguevano per rappresentazioni di grande pathos che amplificavano il dolore. Il simulacro della Madonna, portato in processione, simboleggiava l’angosciosa ricerca del figlio da parte della Vergine Addolorata.

Processione a Erice

Durante la Settimana Santa, a Trapani, aveva luogo la processione dei Misteri, un’antica tradizione risalente al XVII secolo, organizzata dalle diverse maestranze che si occupano ciascuna del proprio gruppo sacro. A Caltanissetta, durante la processione del Cristo Nero, antico patrono della città fino al 1625, il simulacro era portato in spalla dai “fogliamari“, raccoglitori di verdure a piedi scalzi, che percorrevano le strade intonando lamenti funebri, chiamati “lamintanze“. A San Marco d’Alunzio, provincia di Messina, si celebrava un rito antico noto come il Santissimo Crocifisso in Aracoeli, risalente al 1600, due settimane prima della Pasqua. Questo rito, secondo alcuni studiosi, potrebbe derivare da una cerimonia di un’antica setta religiosa medievale. Durante questo evento, trentatré incappucciati, detti “babaluti”, trasportavano una croce per le vie del paese, con la particolarità della partecipazione insolita delle donne, anch’esse incappucciate.

A Gela, si teneva una rappresentazione della Via Crucis che ha radici nell’interazione arabo-cristiana, nota per il coro dei lamentatori che intonano versi in una miscela di arabo e latino, tramandati oralmente di generazione in generazione. A Enna, si celebrava una delle processioni più antiche e suggestive, dedicata all'”incontru” tra le vare del Cristo risorto e quella della Madonna. Il fercolo di Cristo era portato a spalla dalla confraternita più antica di Enna, risalente al 1260. Il Venerdì Santo, in molti paesi dell’isola, era tradizione posizionare sui sepolcri allestiti nelle chiese dei vassoi chiamati “lavureddi“. Circa quaranta giorni prima della Pasqua, le donne raccoglievano semi di grano, lenticchie e miglio in un vassoio, coperto da cotone umido e conservato al buio. I semi, innaffiati regolarmente, germogliavano senza clorofilla fino a quando non venivano legati con un nastro rosso e collocati ai lati dei sepolcri insieme ai “ciuri di sepolcri“, la Passiflora coerulea, che fioriva in quel periodo. L’usanza dei “lavureddi” o giardini di Adone ha radici nel culto pagano di Adone, e durante la Settimana Santa, coesistevano riti sacri e espressioni profane, testimonianza di un patrimonio culturale antico.

Il Ballo dei Diavoli a Prizzi e la Festa dei Giudei a San Fratello erano celebrazioni in cui le maschere raffiguranti il diavolo e la morte rappresentavano l’elemento profano. Queste figure simboleggiavano il Male che si oppone all’incontro tra la Madonna e il Cristo, ma che alla fine sarà sconfitto dagli angeli guerrieri. A San Biagio dei Platani, si teneva una competizione tra due fazioni di devoti chiamate “madunnarave” e “signurara“, per creare scenografie imponenti fatte di archi decorati con sculture di pani e agrumi. Questo mix di gastronomia e architettura precaria celebrava l’incontro tra la Madonna e il Cristo. Il Ballo de li Schetti, o la festa dei celibi, a Terrasini durante la Pasqua, era un antico rito che simboleggiava la rigenerazione della vita attraverso il sollevamento di un pesante tronco d’albero decorato con nastri e altri ornamenti.

Una caratteristica distintiva di tutte le celebrazioni pasquali era la preparazione dei dolci e dei pani rituali, associati al significato religioso della Pasqua e radicati nella tradizione cerealicola non solo dell’isola, ma, anche, di molti popoli mediterranei. I dolci pasquali e i pani rituali, composti da farina, uova, zucchero, pasta reale e ricotta, diventavano vere specialità, assumendo forme diverse che riflettevano simbolismi e significati religiosi. Questi pani, spesso decorati con una o più uova sode con il guscio, assumono nomi differenti a seconda delle tradizioni locali: “a cuddura i pasqua“, “pupi cu ll’ova“, “l’acceddi cu ll’ova“, e così via.

Secondo il Pitrè in “Usi e costumi”, l’inserimento dell’uovo nei pani ha radici antiche, poiché “l’uovo rappresentava presso gli antichi popoli ora la divinità suprema, ora la vita del mondo, ora la fecondità della terra“. Le colombe e le palummedda erano legate al simbolismo cristiano, mentre le pecorelle, chiamate picuredda, fatte di pasta reale e ripiene di pistacchio e zucca candita, richiamavano la cultura ebraica. L’agnello, simbolo del sacrificio pasquale degli ebrei, nella tradizione cristiana rappresentava il sacrificio di Cristo ed era spesso decorato con una bandierina rossa simboleggiante la resurrezione. Altri dolci tradizionali includevao i cassateddi e la cassata siciliana, quest’ultima di origine araba e rinomata per i suoi gusti e sapori, diventando nel tempo un dolce pasquale iconico. Un proverbio popolare recita: “tintu cu ‘un mancia cassata la matina di Pasqua!” (“miserabile chi non mangia cassata la mattina di Pasqua!”).

L’uovo pasquale aveva un significato simbolico profondo che risaliva a tradizioni antiche e si rifletteva in diverse culture. Era simbolo di rinascita, vita e fertilità. Presso antichi popoli, l’uovo rappresentava la divinità suprema, la vita del mondo e la fecondità della terra. Nella tradizione cristiana, l’uovo pasquale rappresentava la risurrezione di Gesù Cristo e la vittoria sulla morte, poiché, rotto il guscio, ne emergeva la vita nuova, simboleggiando così la rinascita spirituale e la speranza della vita eterna. In molte culture, l’uovo pasquale era associato anche al rinnovamento della natura e all’arrivo della primavera, stagione di rinascita e crescita dopo il rigido inverno.

Beato Angelico, Le Marie al Sepolcro

Il Lunedì dell’Angelo, conosciuto anche come Pasquetta, è una celebrazione diffusa in molte parti del mondo, specialmente in Italia e in alcune altre nazioni europee. Questo giorno cade subito dopo la Pasqua, il giorno successivo alla domenica di Pasqua. Il termine “Lunedì dell’Angelo” ha radici nel cristianesimo e si riferisce all’incontro dell’angelo con le donne presso il sepolcro vuoto di Gesù, dopo la sua resurrezione. Secondo la tradizione cristiana, l’angelo annunciò alle donne la risurrezione di Gesù. Questo evento è narrato nei Vangeli del Nuovo Testamento.

Il termine “Pasquetta” deriva dal greco “Pascha“, a sua volta dall’aramaico “Pasah” che significa “passaggio“.

Il Lunedì dell’Angelo era spesso considerato un giorno di riposo e di festa in molte comunità, soprattutto nelle aree rurali. Anche oggi, è un’occasione per trascorrere del tempo con la famiglia e gli amici, magari organizzando picnic all’aperto, gite fuori porta o partecipando a eventi locali organizzati per l’occasione.

In molte regioni d’Italia, Pasquetta è sinonimo di scampagnate, passeggiate nei boschi, escursioni in montagna o lungo la costa, dove le persone si godono il primo tepore della primavera. È comune anche organizzare pic-nic all’aperto, spesso con cibi tradizionali pasquali.

La cucina siciliana è rinomata per la sua varietà e ricchezza di sapori e Pasqua e Pasquetta rappresentano un’occasione perfetta per gustare le prelibatezze locali in compagnia.

A pasta co sugu d’agneddu

oppure pasta – lasagni o funnu

Agneddu co sucu

oppuri agneddu o funnu

oppuri canni arrustuta

oppuri cutuletti di pollu o di canni

Patati o funnu o insalata

Canni di cavaddu arrustuta

sasizza arrustuta

Peperoni arrustuti

cacocciuli arrustuti

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