Giornata delle Vittime delle Mafie: i sacrifici che nessuno deve dimenticare

La Giornata Nazionale della Memoria e dell’Impegno in Ricordo delle Vittime delle Mafie in Italia rappresenta un momento fondamentale per riflettere sulle conseguenze devastanti del fenomeno criminale delle mafie nel paese. Questa giornata, istituita il 21 Marzo, è un’occasione per onorare la memoria di coloro che hanno perso la vita a causa della criminalità organizzata e per rinnovare l’impegno nella lotta contro questo flagello.

In foto il Murale del Carcere di Piazza Lanza, Catania

Le mafie italiane, con le loro attività illecite e violente, hanno causato sofferenze immense alle comunità, compromettendo la sicurezza, la giustizia e lo sviluppo sociale ed economico del paese. Le vittime innocenti delle mafie includono non solo coloro che sono stati direttamente coinvolti in attività criminali, ma, anche, coloro che hanno subito intimidazioni, estorsioni e violenze a causa della presenza delle mafie nei loro territori. Questa giornata commemora, anche, il coraggio di coloro che hanno combattuto le mafie e che continuano a farlo ogni giorno, mettendo a rischio la propria vita per difendere i valori della legalità, della giustizia e della libertà. È un’opportunità per riaffermare la determinazione della società italiana nel contrastare la criminalità organizzata in tutte le sue forme e nell’offrire sostegno alle vittime e alle loro famiglie.

La Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle Mafie in Italia ci ricorda che la lotta contro le mafie è una responsabilità di tutti. È un appello alla mobilitazione civica, alla partecipazione attiva e al rifiuto dell’indifferenza di fronte alla criminalità organizzata. Solo attraverso un impegno collettivo e una cooperazione tra istituzioni, società civile e cittadini è possibile contrastare efficacemente il potere e l’influenza delle mafie, costruendo un futuro basato sulla legalità, sulla giustizia e sul rispetto dei diritti umani. La Giornata della Memoria è nata nel 1996 per onorare le vittime della criminalità organizzata in Italia. Questa iniziativa è stata promossa dalla rete di associazioni antimafia chiamata Libera, fondata durante un periodo di profonda agitazione politica e violenza criminale nella storia italiana, soprattutto a seguito degli eventi tragici di Capaci e via d’Amelio a Palermo, avvenuti tra il 1994 e il 1995.

Attraverso eventi, incontri e manifestazioni in tutto il paese, questa giornata promuove valori di legalità, giustizia e impegno civico, incoraggiando la partecipazione attiva dei cittadini nella costruzione di una società libera dalla minaccia delle mafie. È un’opportunità per ribadire il rifiuto totale della violenza e della corruzione, e per celebrare il coraggio di coloro che si oppongono alla criminalità e difendono i diritti fondamentali di tutti.

Quando l’aumento della ricchezza accumulata dalle cosche, attraverso traffici illeciti, divenne una potenza finanziaria significativa, la mafia si pose in competizione con lo Stato italiano. Questo conflitto si manifestò attraverso l’uccisione spietata di uomini politici, agenti di polizia e magistrati che si opponevano attivamente alla presenza e all’influenza della mafia. Tra le vittime più illustri di questa lotta contro la mafia ci sono il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, i politici Pier Santi Mattarella, Michele Reina e Pio La Torre, gli agenti di polizia Beppe Montana e Ninni Cassarà, e i giudici Gaetano Costa, Cesare Terranova, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.

A Catania, sul muro del carcere di Piazza Lanza, troviamo un murale che raffigura alcuni dei volti delle vittime di omicidi di mafia. Tra questi, si trovano Alfredo Agosta, Beppe Montana, Giuseppe Fava, Paolo Borsellino e la sua scorta, Libero Grassi, Luigi Bodenza, Giovanni Lizzio e Serafino Famà. L’iniziativa è stata organizzata dai membri volontari di Addiopizzo attraverso il progetto denominato “Un muro contro la mafia”. Tra i volti del murale non è annoverato Peppino Impastato, ma noi lo citiamo lo stesso per il suo forte coraggio e la libertà di pensiero che ha dimostrato combattendo contro l’omertà e la mafia.

Alfredo Agosta, maresciallo dei carabinieri presso il Nucleo di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri del Tribunale di Catania. Coinvolto in attività investigative sulla mafia, la sera del 18 marzo 1982 fu vittima di un omicidio perpetrato con colpi d’arma da fuoco sparati a distanza ravvicinata. L’attacco avvenne in un bar situato in via Firenze, nel cuore di Catania, durante un incontro con uno dei suoi informatori.

Giuseppe Enzo Domenico Fava conosciuto come Pippo, scrittore, giornalista, drammaturgo, saggista e sceneggiatore italiano, cadde vittima di un agguato orchestrato da Cosa Nostra il 5 gennaio 1984. Si trovava in via dello Stadio, diretto al teatro Verga. Appena lasciata la redazione del suo giornale, non ebbe nemmeno il tempo di scendere dalla sua Renault 5 quando fu colpito da cinque proiettili alla nuca. Inizialmente, l’omicidio fu considerato un delitto passionale, sia dalla stampa che dalla polizia, poiché si riteneva che la pistola utilizzata non fosse comune negli omicidi di stampo mafioso. Si sospettò, anche, un movente economico, legato alle difficoltà finanziarie della rivista “I Siciliani”, di cui Fava era direttore.

Beppe Montana capo della Catturandi della Questura di Palermo. Al suo ritorno da una gita in mare, viene assassinato con colpi di rivoltella, sparati direttamente in faccia.

Nel tragico evento della Strage di via d’Amelio, avvenuta il 19 luglio 1992, persero la vita Paolo Borsellino, magistrato; Emanuela Loi, agente di polizia che faceva parte della scorta di Paolo Borsellino, diventando così la prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio; Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina e Agostino Catalano, agenti di polizia anch’essi parte della scorta di Paolo Borsellino.

Libero Grassi imprenditore tragicamente assassinato da Cosa Nostra dopo aver rifiutato di pagare il pizzo. Grassi, tra i primi ad avviare sperimentazioni con impianti di energia solare, non riuscì a trovare finanziatori per il progetto. Durante questo periodo di difficoltà, divenne bersaglio della mafia, che pretendeva il pagamento del pizzo. Nonostante le minacce, Grassi ebbe il coraggio di resistere al racket mafioso, decidendo di denunciare pubblicamente la situazione e collaborando con le autorità per smascherare gli estorsori. Grassi rifiutò anche l’offerta di una scorta personale.

Il 29 agosto 1991 mentre si dirigeva a piedi al lavoro, Grassi fu ucciso a Palermo con quattro colpi di pistola. La sua morte sconvolse l’opinione pubblica, mettendo in luce la ferocia e la determinazione della mafia nel reprimere qualsiasi resistenza alle proprie pratiche criminali. La sua testimonianza di coraggio e integrità rimane un monito contro il potere oscuro della criminalità organizzata e un invito alla lotta per una società libera dal ricatto e dalla violenza mafiosa.

Giovanni Lizzio, il 27 luglio 1992, fu vittima di un omicidio, avvenuto appena 8 giorni dopo la strage di via D’Amelio. Lizzio rappresentò il primo poliziotto ucciso a Catania. La sua morte si inserì in un contesto di crescente tensione dovuta all’attività investigativa anti-racket svolta da Lizzio e alla volontà della mafia di estendere la strategia della tensione da Palermo a Catania. Lizzio fu assassinato mentre si trovava in macchina, fermandosi al semaforo in via Leucatia.

Luigi Bodenza poliziotto caduto vittima della mafia, fu insignito della Medaglia d’oro al Valore Civile. Nella tragica notte dell’attentato in cui perse la vita, stava rientrando a casa dopo una giornata di lavoro presso il penitenziario catanese. A pochi chilometri da casa, fu affiancato da un’autovettura con a bordo due sicari, che lo uccisero brutalmente con colpi d’arma da fuoco.

Serafino Famà, avvocato, cadde vittima della mafia il 9 novembre 1995 a Catania. Quella sera Famà e un suo collega lasciarono il loro studio legale. Mentre si trovavano all’angolo tra viale Raffaello Sanzio e via Oliveto Scammacca, a Catania, furono presi di mira da sei colpi di pistola calibro 7,65. Gli spari colpirono l’avvocato Famà, che cadde a terra e morì, nonostante i tentativi di soccorso durante il tragitto in ambulanza verso il Pronto Soccorso dell’ospedale Garibaldi.

Giuseppe Impastato, conosciuto come Peppino, giornalista, conduttore radiofonico e attivista italiano, noto per le sue denunce contro le attività di Cosa Nostra, che ha subito l’assassinio il 9 maggio 1978. Nella sua radio libera “Radio Aut”, fondata nel 1977, denunciò i crimini dei mafiosi facendo i nomi e tra questi spiccava la figura di Gaetano Badalamenti, ironicamente soprannominato “Tano Seduto” da Peppino. La storia e la tragica fine di Peppino Impastato è stata raccontata attraverso il film “I cento passi” del 2000. Quei “cento passi” che lo dividevano dal suo carnefice.

Il programma più popolare di Peppino era “Onda Pazza”, una trasmissione satirica in cui derideva mafiosi e politici. La notte del 9 maggio, su ordine di Badalamenti, Peppino fu colpito a morte o tramortito con un grosso sasso, che è stato rinvenuto a pochi metri di distanza ancora sporco di sangue. Si tentò di far apparire la sua morte come un attentato fallito o un suicidio, posizionando una carica di tritolo sotto il suo corpo sui binari della ferrovia Palermo-Trapani.

Per chi ha avuto la fortuna di conoscere personalmente questi volti e per chi non li ha mai incontrati, per divario generazionale, dobbiamo solo trarre giovamento e insegnamento dai loro pensieri incorruttibili e dalle loro azioni eroiche. Dobbiamo solo ringraziarli per quello che hanno fatto, anche se hanno perso la vita per difendere la nostra società con i loro pensieri e la loro moralità.

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