Amore e Morte: coinvolgente Tosca al Teatro Bellini di Catania

Recupero finale della passata stagione, l’opera pucciniana ha appassionato il pubblico in un contesto scenico tradizionale.

L’anno 1887 iniziava con il massacro dei cinquecento soldati italiani a Dogali, in Eritrea, prima battuta d’arresto sanguinosissima nella campagna coloniale italiana; a Parigi Sarah Bernhardt, la divina, dava “La Tosca” su testi di Vittoriano Sardou; a Catania Mario Rapisardi, raggiunta la serenità della Luce in Armonia dopo tanto dolore, pubblicava le Poesie religiose, inno alla natura ed al mistero simbolico.
O anima umana, fanciulla che il nume fuggevole agogni, E assisa fra un’urna e una culla Ritessi la tela dei sogni…“, così in Mors et Vita.
Ci vorranno tredici anni (negli arcani maggiori dei tarocchi, il tredici è la morte) e un gennaio, quello dell’anno mille e Novecento, al Costanzi di Roma, per vedere l’opera dell’illuminato Giacomo Puccini, Tosca col libretto di Giuseppe Giacosa ispirato al suddetto dramma e con protagonista la celeberrima Ericlea Darclèe, soprano drammatico di ascendenza greca dalle terre di Romania giunta ai successi in tutto il mondo; quell’anno che vide Sua Maestà Margherita Regina d’Italia assistere al dramma pucciniano, doveva chiudersi con un altro Re, “venuto dal mare” disse D’Annunzio, e una altra Regina. Dopo cento e ventidue anni, nella terra di Sicilia, torna a far palpitare la Tosca del Teatro Bellini di Catania, la cui prima si svolse la sera del 25 ottobre, in un teatro abbastanza gremito, come è tradizione per tale opera celebre. Recupero in ritardo per i noti motivi, della passata stagione e in attesa dell’apertura della nuova, v’ha da dire che questa travagliata Tosca ha brillantemente superato la prova che le circostanze emergenziali hanno imposto: non quelle sociali ma esigenze interne, negli ultimi giorni vi fu uno stravolgimento del cast in maniera decisa. Tuttavia, come diremo, ciò non è stato grave ma ha consentito di salvare la produzione, allestita secondo le classiche scenografie, come la regia di Renzo Giaccheri non si è discostata dal (per fortuna) ritorno della rappresentazione tradizionale, che vuole il dramma ambientato nella Roma papalina durante l’era napoleonica, di cospirazioni e perversioni bigotte, come nel caso di Scarpia, il
turpe ministro di polizia del Papa.

Il clima di anticlericalismo nel secondo ottocento era lampante: caduta finalmente Roma in mano italiana (ma dopo la sconfitta del già iniziato Napoleone III a Sedàn, con la non secondaria partecipazione di Garibaldi sui Vosgi) nel 1870, inaugurato il monumento a Giordano Bruno nella piazza di Campo de’ Fiori nel 1889 a cura della Massoneria del Grande Oriente d’Italia (nei suoi Riti Simbolico e Scozzese e Misraimitico) , si giunse al culmine con l’elezione a Sindaco della capitale di Ernesto Nathan, ebreo e già Gran Maestro del GOI: ancora oggi è rimpianto dai suoi concittadini o meglio da chi ne ricorda il valore, come fu per Giuseppe Pizzarelli Sindaco della città di Catania, coevo, che accolse le Loro Maestà il Re e la Regina d’Italia nel 1911 in città, ospitati altresì dai Marchesi Romeo delle Torrazze (nel secondo dopoguerra, saranno i riferimenti del Partito Monarchico, come a Palermo lo fu il Principe Gianfranco Alliata di Montereale). In tal quadro precedente la prima guerra mondiale, con i numi tutelari De Amicis e Collodi (nelle loro due opere, Cuore e Pinocchio, non v’è mai un prete e sono fortemente intrise di simbolismo) s’innesta la Tosca, ove la passione della cantante lirica Floria per il pittore rivoluzionario Mario Cavaradossi che ama la libertà e aborrisce la tirannide, finisce in tragedia, con la morte dei protagonisti in forma cruenta. Oggi rimane -per chi non fa parte, molto pochi, di quello che taluni definiscono “il popolo di internet“- il sentimento, coltivato magari in forme sceniche, come il tempo che fu, però schiettamente sincero. Chi nel terzo millennio del “metaverso”, può dire con cuore puro, “vissi d’Arte, vissi d’Amore?“. Forse qualcuno si, vox clamantis in deserto.

Qual occhio al mondo può star di paro all’ardente occhio tuo nero! È qui che l’esser mio s’affisa intero. Occhio all’amor soave, all’ira fiero“, dice Cavaradossi alla Floria gelosa: sono realtà ancor oggi vive, allorché si fugge alla vista di chi si è amato e sa quanto l’altrui affoghi il suo cuore nel silenzio. Nulla di nuovo dunque, per questo ancora il dramma pucciniano attira e coinvolge, scuote chi ha sangue nelle vene e rende magiche le ore.

Per quel che concerne i cantanti, diciamo subito che la Floria della giovane ucraina (di nascita ma di scuola russa) Ekaterina Sannikova, chiamata negli ultimi giorni nel ruolo della protagonista, ha colpito più che favorevolmente: la scuola del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, già teatro Imperiale degli Czar, che ha visto la ventinovenne soprano cimentarsi in ben due messe in scena di Tosca nel corso dell’anno, ha dato i suoi frutti rendendo una perfetta musicalità ed ampiezza vocale nonché prestanza recitativa e impersonando, seppure non perfettamente come drammatico ma tendente al leggero, il ruolo pucciniano con ferma convinzione.
Scelta indovinata quella del Direttore artistico del Teatro Bellini, il Maestro Fabrizio Maria Carminati, presente in sala, della quale diamo atto. All’altezza fu il Cavaradossi del tenore Roberto Aronica, sebbene nel primo atto chiaramente con la voce rigata nell’aria “Recondita armonia” che è verifica essenziale per un artista pucciniano. Meglio negli atti successivi, all’attacco di “E lucevan le stelle“.
Per incanto la sua voce inevitabilmente ci fa incontrare quella del caro Marcello Giordani, che udimmo in codesto ruolo, nell’ultimo anno suo di vita, a Siracusa. Troppo presto rapito, tanto rimpianto.

Buona la resa e timbrica chiara da parte del baritono coreano Leo An nel ruolo di Scarpia: carinissimo invece lo Spoletta del tenore Riccardo Palazzo, ormai consolidato nel ruolo. Come sempre lode al Coro del teatro diretto dal Maestro Petrozziello, con la compresenza in questo caso, nel fasto della prima scena religiosa (in una città formalmente cattolica, fa il suo effetto) del Coro dei dolcissimi bimbi e bimbe diretto da Daniela Giambra, che li preparò con cura ed attenzione; il direttore d’orchestra Luigi Piovano si è attenuto alla partitura senza sorprese, sicuro del riscontro degli elementi orchestrali, ormai affiatati e ultimamente rinforzati da nuove leve.
Cura dei costumi di Mariana Fracasso, acconciature e trucco di Alfredo Danese, accompagnato dalle graziosissime figliole Gloria ed Emilia.
Pubblico della prima in parte attento ai particolari, dalle cravatte a farfalla degli uomini agli abiti in stile di molte signore; sempre garbato il Sovrintendente Maestro Giovanni Cultrera di Montesano con la elegantissima signora Lisa; tra i melomani della vecchia scuola ormai sempre più esigui, si notò con enorme tristezza che fu la prima opera dalla dipartita del Maestro Domenico De Meo, che dalla sua poltrona in platea negli ultimi anni, da attento e fine musicologo e uomo libero, intratteneva la “corte” di amici ed ammiratori, dispensando giudizi pareri ammonimenti. Nessuno ha più la sua autorevolezza,
dovuta ai vasti studi e alla libertà del pensiero: Mimmo De Meo ci mancherà sempre!.
Presente la Delegazione di Sicilia e Malta della Real Casa d’Epiro e la Legione Garibaldina Comando per la Sicilia.
Applausi non solo d’occasione, come da tradizione secolare, intensi e sentiti i cinque minuti di applausi finali: pochissimo tempo considerando che l’opera tra cambi scena è durata oltre tre ore, ma passi per il pubblico del Bellini più che compiacuto.

Alcune giornate nascono e muoiono nella sigla dell’amore che significa passione e morte: fu il caso di questo 25 ottobre, il quale vide il vostro cronista di Armonie, presenziare pria ad una mini rappresentazione di Madama Butterfly, data nell’auditorium dell’Istituto Musicale Bellini di Catania in occasione della laurea triennale del del giovane soprano giapponese Kasumi Hiyane, di stanza a Catania, allieva del Maestro Giuseppe Costanzo, dalla purissima voce di soprano pucciniano; la sera ancora Puccini con la ferocia della Morte e dell’Amore. “Questo è il bacio di Tosca“, afferma Floria nel vedere agonizzare Scarpia dopo averlo pugnalato: non è la sola, è un dramma che si ripete perpetuamente per quei misteri che Carlo Gustavo Jung spiegò nelle sue opere sull’inconscio collettivo e Alfred Adler analizzò nella psicologia del profondo.
Ma tutto torna, il bene come il male e se Cio Cio San come un fiore di ciliegio cade, la malvagità di Pinkerton è punita per sempre dal rimorso: se Cavaradossi muore davvero sotto la infame fucileria papalina, Tosca si getta da Castel Sant’Angelo per lavare col sangue e suggellare il sacro patto, come fosse culto di un sentimento ideale, per chi riesce oggi a comprenderlo. L’onore si chiama fedeltà. “Non la sospiri la nostra casetta…che tutta ascosa nel verde ci aspetta? Nido a noi sacro, ignoto al mondo inter! Pien d’amore e di mister? Fiorite, o campi immensi, palpitate, aure marine, nel lunare albor, ah piovete voluttà, volte stellate! Arde in Tosca un folle amor!” Quante volte abbiamo udito queste frasi da parte di amanti: oh quante volte oh quante, scritte sussurrate, offerte come libagione tra un anello d’acciaio e un bacio. In quella casa dai magici amplessi, la gelosa cantante Floria dalle chiome lunghe e brune e dagli occhi scuri, non tornò più, non vòlle più tornare, troppo presa dall’orgoglio per riconoscere se stessa nell’amore e salvarne l’Ideale. Aveva capito tutto Francesco Paolo Tosti (e il suo sodale D’Annunzio che in divisa da Comandante, già invecchiato, officiava a Venere con la giovane pianista Luisa
Bàccara) con il solo arcano che vince la morte, il richiamo dell’Amore: “torna caro Ideale, un istante a sorridermi ancora, e in me risplenderà nel tuo sembiante, una novella Aurora“.

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