Agenzia delle Entrate. La chiusura della lite cancella le spese di giudizio ma il Fisco lo “dimentica” e pretende il pagamento.

Cittadini in continue crisi di nervi, per colpa degli uffici in totale confusione, che notificano cartelle con richiesta di somme non dovute. Lite chiusa niente spese.

La cartella con richiesta delle spese di giudizio. Il contribuente, dopo avere chiuso con la rottamazione cartelle una lite relativa al 2008, sperando così di avere messo la parola “fine”, riceve invece una cartella, notificata il 15 giugno 2023, con richiesta di complessivi 2.065,88 euro, per spese di giudizio a seguito della sentenza emessa dalla ex Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 7491/04/16, depositata il 28 novembre 2016, che ha respinto l’appello contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, n. 6612/47/15, pronunciata il 6 marzo 2015 e depositata il 24 marzo 2015. L’importo di 2.065,88 euro è costituito da 1.000,00 euro per le spese di giudizio, 1.000,00 euro per oneri accessori, 60,00 euro per oneri di riscossione e 5,88 euro per diritti di notifica.

Francofonte, 5 maggio 2024. Cittadini in continue crisi di nervi, per colpa degli uffici in totale confusione, che notificano cartelle di pagamento, con richiesta di somme non dovute. In questi mesi, infatti, a diversi contribuenti stanno arrivando cartelle con richiesta di pagamento delle spese di giudizio su contenziosi già chiusi con gli uffici dell’agenzia delle Entrate, a seguito di chiusura della lite pendente, conciliazione o rottamazione cartelle. Per legge, nei casi di definizione delle pendenze tributarie, le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate. In parole semplici, chiusa la lite, le spese di giudizio sostenute restano a carico dell’ufficio e del contribuente. Nessuna delle due parti, che è risultata vittoriosa in uno dei gradi di giudizio, può chiedere il pagamento delle spese di giudizio che era stato deciso dai giudici tributari a carico della parte soccombente, sia esso in primo o secondo grado o in Cassazione. Capita, purtroppo, che alcuni uffici dell’agenzia delle Entrate chiedano invece il pagamento delle spese di giudizio, emettendo le conseguenti cartelle. Ed è questo il caso di un contribuente di Roma, che, dopo avere ricevuto nel mese di giugno 2023 la cartella con richiesta di pagamento delle spese di giudizio per un contenzioso chiuso con la rottamazione cartelle, a norma dell’articolo 6 del decreto legge 193/2016, ha chiesto, nel mese di settembre 2023, l’annullamento in autotutela, ma l’ufficio, finora, non ha dato alcuna risposta all’istanza presentata. Ecco i fatti.

L’istanza di annullamento in autotutela. Per evitare di aprire una nuova lite, il contribuente, in data 22 settembre 2023, presenta un’istanza di annullamento all’agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Roma I, Via Ippolito Nievo, n. 36. Nell’istanza, fa presente che:

  • l’agenzia delle Entrate – riscossione, per la provincia di Roma, ha notificato la cartella, chiedendo il pagamento di complessivi 2.065,88 euro,per spese di giudizio a seguito della predetta sentenza emessa dalla ex Commissione tributaria regionale del Lazio, per un contenzioso relativo all’anno 2008;
  • per evitare la prosecuzione di un contenzioso defatigante e costoso per il contribuente, in data 11 marzo 2017, è stata presentata la domanda per la definizione agevolata, cosiddetta rottamazione cartelle, a norma dell’articolo 6 del decreto legge 193/2016, convertito nella legge 225/2016;
  • la definizione è stata correttamente “perfezionata” con la presentazione della domanda ed il pagamento degli importi dovuti.

La rottamazione cartelle cancella le spese di giudizio. Per legge, la rottamazione cartelle definisce ogni aspetto della controversia, compreso quello per le spese di giudizio. Le stesse regole valgono per la cosiddetta chiusura delle liti pendenti o per le conciliazioni, con la conseguenza che nessuna delle parti, ufficio o contribuente, può chiedere il rimborso delle spese di giudizio alla parte soccombente.

La conferma che la chiusura agevolata delle liti, rottamazione cartelle, chiusura della lite o conciliazione, “cancella” le spese di giudizio è stata fornita dall’agenzia delle Entrate, con la circolare 48/E del 24 ottobre 2011, che ha per oggetto “chiusura delle liti fiscali minori – articolo 39, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011 n.98”.
Con questa circolare, l’agenzia delle Entrate, al paragrafo 9.1, pronuncia di condanna dell’agenzia alle spese di giudizio, avverte che <<Ai sensi dell’articolo 46 del decreto legislativo n. 546 del 1992 le spese del giudizio estinto per definizione agevolata restano a carico della parte che le ha anticipate. Più in generale, la chiusura della lite definisce ogni aspetto della controversia, compreso quello relativo alle spese di giudizio. Per effetto della definizione della lite, il contribuente si avvale dei benefici alla stessa connessi, rinunciando agli effetti di una eventuale pronuncia favorevole resa nei suoi confronti, anche qualora la stessa rechi la condanna dell’agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di giudizio. Pertanto, a seguito della definizione della lite, si ha rinuncia, da parte del contribuente, alla vittoria delle spese di giudizio. In modo speculare, l’intervenuta definizione impedisce di dare esecuzione a pronunce di condanna del contribuente alle spese, rese nelle controversie oggetto di definizione>>.

Di conseguenza:

  • nei casi in cui, per la lite che è stata definita, in uno o più gradi di giudizio, sia stata pronunciata sentenza favorevole al contribuente anche sotto il profilo delle spese, con condanna dell’agenzia delle Entrate a pagare le spese di giudizio, esclude che il contribuente possa pretendere il pagamento da parte dell’ufficio, in quanto la chiusura della lite comporta la rinuncia a tutti gli effetti processuali del giudizio;
  • allo stesso modo, nei casi in cui, per la lite oggetto di definizione, è stata pronunciata sentenza favorevole all’ufficio, anche sotto il profilo delle spese, con condanna del contribuente al pagamento delle spese processuali, quest’ultimo non deve più pagare le spese di giudizio.

In questo senso, si veda anche l’ordinanza della Cassazione, n.7107, pubblicata il 13 marzo 2019, nel punto in cui si legge che deve dichiararsi estinto il presente giudizio <<con compensazione integrale tra le parti delle spese del giudizio di legittimità … poiché la condanna alle spese del contribuente contrasterebbe con la ratio della definizione agevolata>>.

Nell’istanza di annullamento in autotutela, il contribuente ribadisce che la cartella di pagamento emessa per le spese di giudizio deve essere annullata per mancanza del presupposto impositivo (articolo 2 del regolamento sull’autotutela di cui al decreto 11 febbraio 1997, n.37). E’ noto che l’autotutela esiste e che l’ufficio emittente deve, appena può, annullare il suo atto illegittimo. Lo stabilisce l’articolo 1 del regolamento sull’autotutela, decreto 11 febbraio 1997, n.37. Il suo articolo 1, comma 1, dispone che <<il potere di annullamento e di revoca o di rinuncia all’imposizione in caso di auto accertamento spetta all’ufficio che ha emanato l’atto illegittimo o che è competente per gli accertamenti d’ufficio…>>. Insomma, l’ufficio che ha il potere di fare un atto ha anche il potere di disfare o dichiarare nullo il suo atto illegittimo.
Come si è detto, l’istanza di annullamento in autotutela è stata presentata allo scopo di evitare la prosecuzione di un inutile contenzioso su una richiesta illegittima ed è per questo motivo che il contribuente ha chiesto all’ufficio di esaminarla nel più breve tempo possibile, anche perché, in considerazione del fatto che le istanze di annullamento in autotutela non sospendono i termini per il ricorso, se l’ufficio perde tempo, il contribuente sarebbe costretto ad aprire una nuova lite, che sperava di avere chiuso definitivamente.

Il colpevole silenzio dell’ufficio. All’istanza di annullamento in autotutela presentata il 22 settembre 2023 non ha però fatto seguito alcuna risposta dell’ufficio di Roma, che è rimasto in religioso silenzio. Anziché risolversi, la situazione si è invece complicata, visto che, in data 23 aprile 2024, cioè dopo sette mesi, l’agenzia delle Entrate Riscossione di Roma, ha notificato una comunicazione preventiva di fermo amministrativo del motociclo, con un sollecito a pagare l’importo di 2.215,26 euro comprensivo degli interessi di mora calcolati fino al giorno 8 marzo 2024 (l’importo originario di 2.065,88 euro, più altre spese 149,38 euro). Nella comunicazione, si legge che <<la informiamo che in caso di mancato pagamento entro 30 giorni dalla data di notifica>> del 23 aprile 2024 <<iscriveremo al P. R. A. Pubblico registro automobilistico della provincia di Roma, senza ulteriori comunicazioni, il fermo amministrativo sul veicolo di Sua proprietà>> cioè del motociclo. A questo punto, il contribuente è nuovamente intervenuto, chiedendo all’ente impositore di attivarsi per annullare la cartella di pagamento nel più breve tempo possibile, per evitare ulteriori spese e fastidi.

Le spese di giudizio pagate nel 2021. Il fatto curioso è che il contribuente, infastidito dalle richieste sbagliate degli uffici dell’agenzia delle Entrate e della Riscossione, aveva già pagato, in data 14 giugno 2021, l’importo di 1.000,00 euro, a titolo di spese di giudizio di cui alla <<sentenza n.7491/2016, a definizione del giudizio avanti Commissione tributaria regionale di Roma rubricato n. R. G. 2015/6439>>. Considerato che, come si è detto, a seguito della rottamazione cartelle presentata nel 2017, le spese di giudizio restano a carico della parte che le ha sostenute, l’ufficio di Roma, oltre ad annullare la cartella di pagamento, dovrebbe anche rimborsare l’importo di 1.000,00 euro versato nel 2021. Il contribuente sarebbe felice di mettere finalmente e definitivamente la parola “fine”, se l’ufficio dell’agenzia delle Entrate annullasse, com’è giusto che sia ed in tempi brevi, la cartella di pagamento e il conseguente fermo amministrativo.
Per il rimborso delle somme pagate e non dovute di 1.000,00 euro, l’agenzia delle Entrate, come succede spesso, avrà difficoltà ad eseguirlo in tempi brevi. Infatti, alcuni funzionari dell’agenzia delle Entrate affermano scherzosamente che, per loro, fare i rimborsi sono atti contro natura, perché non sono agenzia delle Uscite… Sicuramente, il contribuente farà la richiesta di rimborso, ma le speranze di ottenerlo sono poche. L’importante, al momento, è che l’ufficio annulli la richiesta di pagamento entro 30 giorni dal 23 aprile 2024, cioè entro 30 giorni dalla notifica del fermo amministrativo, e, quindi, entro il 23 maggio 2024.

Mimma Cocciufa e Tonino Morina – Esperti fiscali del Sole 24 – Ore

a Cognita Design production
Torna in alto