Agenzia delle Entrate. I giudici di secondo grado della Lombardia bocciano le proroghe per l’emergenza Covid

Le cartelle devono essere notificate, a pena di decadenza, entro il terzo anno successivo alla presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, dell’Iva e dell’Irap. Fisco beffato due volte: il ritardo nella notifica comporta l’annullamento della richiesta di pagamento e la condanna alle spese di giudizio a carico dell’ufficio.

Francofonte, 19 maggio 2024. I termini per la notifica delle cartelle di pagamento devono essere rispettati, a pena di decadenza. La notifica deve essere effettuata entro il terzo anno successivo alla presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, dell’Iva e dell’Irap. Sbaglia l’ufficio dell’agenzia delle Entrate Riscossione che notifica le cartelle dopo il termine perentorio di legge, ritenendo applicabile le proroghe determinate dalla normativa eccezionale per l’emergenza sanitaria a causa del Covid. Per i giudici tributari di secondo grado della Lombardia non è applicabile alcuna proroga causa Covid e, pertanto, deve essere confermata la sentenza dei giudici di primo grado che hanno accolto il ricorso del contribuente, con l’annullamento della cartella di pagamento notificata dopo i termini. Per l’ufficio, la beffa è doppia, perché il ritardo nella notifica comporta l’annullamento della cartella e la condanna al pagamento delle spese per i due gradi di giudizio. Ecco i fatti.

Il ricorso in primo grado contro la cartella. Un contribuente presenta la dichiarazione annuale Iva e Irap nel 2018. A seguito del controllo automatizzato, a norma dell’articolo 36 – bis, del D. P. R. 600/1973, l’agenzia delle Entrate Riscossione notifica la cartella di pagamento il 2 giugno 2022. Contro la cartella, il contribuente presenta il ricorso alla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano, eccependo <<la decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere di emettere l’atto, in quanto>> la cartella <<avrebbe dovuto essere notificata entro il 31 dicembre del terzo anno successivo alla presentazione della dichiarazione, e quindi, entro il 31 dicembre 2021, mentre è stata notificata in data 2 giugno 2022>>. La Corte di primo grado accoglie il ricorso, annullando la cartella di pagamento <<ma ha compensato le spese legali, motivando circa la particolarità della vicenda e del fatto che l’agenzia delle Entrate Riscossione si è limitata ad emettere>> la cartella <<a seguito di iscrizione a ruolo da parte dell’ente impositore>>, cioè dell’agenzia delle Entrate.

L’appello per il pagamento delle spese legali. Contro la sentenza dei giudici di primo grado di Milano, seppure favorevole con l’annullamento della cartella di pagamento, il contribuente propone ricorso in appello in secondo grado, ritenendo illegittima la motivazione sulla compensazione delle spese di giudizio. La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia ritiene fondata la doglianza del contribuente. Per i giudici, <<non appare condivisibile la compensazione laddove la motivazione è data dalla particolarità della vicenda e del fatto che Agenzia delle Entrate Riscossione si è limitata ad emettere atto a seguito di iscrizione a ruolo da parte dell’ente impositore>>.
Per i giudici di secondo grado, si devono confermare nel merito le conclusioni dei giudici di primo grado, che hanno annullato la cartella di pagamento per decadenza dei termini <<non potendosi invocare … proroghe determinate dalla normativa eccezionale per l’emergenza sanitaria>> a seguito del Covid.
In applicazione del principio di soccombenza, i giudici di secondo grado condannano <<l’ufficio a rifondere il contribuente delle spese di primo grado, liquidate in complessivi euro 1.550,00>> e <<delle spese anche del presente grado, liquidate in complessivi euro 1.980,00 oltre accessori di legge>> da distrarsi a favore dell’avvocato difensore. Insomma, per avere notificato la cartella dopo i termini di legge, il Fisco è stato beffato due volte: è stata annullata la richiesta di pagamento e l’ufficio è stato anche condannato a pagare le spese di giudizio.

Fisco in confusione sulle proroghe causa Covid. Come sopra dimostrato, le proroghe dei termini a seguito dell’emergenza Covid stanno generando molta confusione e conseguente contenzioso. Un esempio è nella cosiddetta proroga a cascata di 85 giorni, per la notifica degli accertamenti. Alcuni uffici, in contrasto con le recenti indicazioni dell’agenzia delle Entrate di Roma, hanno emesso accertamenti, in scadenza ordinaria al 31 dicembre 2023, ritenendo applicabile il prolungamento fino al 25 marzo 2024. La proroga di 85 giorni causa Covid è stata cancellata a seguito dei chiarimenti forniti dall’agenzia delle Entrate di Roma, che invita gli uffici a non considerare più questa proroga. In questo modo, l’agenzia delle Entrate ha recepito l’orientamento dei giudici tributari di primo grado che hanno bocciato gli accertamenti in scadenza il 31 dicembre 2022, ma che gli uffici hanno notificato nel 2023, applicando la proroga a cascata di 85 giorni, che, invece, doveva valere solo per l’anno 2020.
I nuovi chiarimenti dell’agenzia delle Entrate si sono resi necessari a seguito dell’atto di indirizzo del 29 febbraio 2024, a firma del vice ministro dell’Economia e delle Finanze Maurizio Leo e del capo dipartimento delle Finanze Giovanni Spalletta.
Per l’agenzia delle Entrate, gli uffici devono programmare le attività di controllo in modo da attivare e concludere i procedimenti impositivi entro i termini “ordinari” di decadenza, evitando di avvalersi dei differimenti previsti dalla norma vigente (esempio, articolo 67, comma 1, decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, articolo 5, comma 3-bis, decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218). Il “guaio” è che queste indicazioni sono state fornite dall’agenzia delle Entrate dopo il 10 marzo 2024, cioè dopo che gli uffici, ritenendo di beneficiare della proroga di 85 giorni, avevano individuato come termine di scadenza per gli accertamenti, che erano in scadenza ordinaria al 31 dicembre 2023, la data del 25 marzo 2024. Capita anche che, per “giustificare” la notifica fatta nel mese di marzo 2024, in presenza di dichiarazione relativa all’anno 2017, regolarmente presentata nel 2018, e, quindi, con termine di scadenza ordinaria al 31 dicembre 2023, qualche ufficio ha scritto nell’accertamento, contrariamente al vero, che si tratta di dichiarazione omessa e, pertanto, è nei termini la notifica fatta nel 2024. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione, l’accertamento può essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione si sarebbe dovuta presentare. In questo modo, per l’ufficio, per la dichiarazione relativa al 2017, considerata erroneamente “omessa”, l’accertamento può essere notificato entro il 31 dicembre 2025.

I termini per l’accertamento. Per legge, a partire dal periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi, gli accertamenti devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla, l’accertamento può essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione si sarebbe dovuta presentare. Questo significa che, per gli accertamenti relativi all’anno 2017, in presenza di dichiarazione regolarmente presentata, il termine per l’accertamento è scaduto il 31 dicembre 2023 e, pertanto, l’eventuale accertamento emesso nel 2024, con la proroga a cascata di 85 giorni, deve essere annullato per decadenza dei termini. Così come non è più accertabile nel 2024, l’anno 2018 dei contribuenti congrui, coerenti e normali agli studi di settore applicabili per l’anno 2018, che beneficiano della misura premiale, compresa la riduzione di un anno degli ordinari termini di decadenza per l’accertamento. Di conseguenza, considerato che gli accertamenti devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, l’ordinario termine di decadenza per la dichiarazione relativa al 2018, presentata nel 2019, è quello del 31 dicembre 2024, che, però, si riduce di un anno per i contribuenti congrui, coerenti e normali agli studi di settore.

I giudici bocciano la proroga di 85 giorni. Come si è detto, la proroga a cascata di 85 giorni è stata più volte bocciata dai giudici tributari. Ad esempio, per la Corte di giustizia di primo grado di Latina, sentenza 974/2023, depositata il 25 ottobre 2023, la cosiddetta “proroga generalizzata” di 85 giorni è irragionevole e illogica, perché vale solo in relazione all’anno colpito dall’evento eccezionale Covid 19, cioè il 2020, e, pertanto, deve essere annullato l’accertamento notificato il 23 marzo 2023, relativo al 2016, il cui termine scadeva il 31 dicembre 2022. Anche per i giudici di primo grado di Prato, sentenza 87/2/23 del 31 ottobre 2023, è inapplicabile la proroga “a cascata” di 85 giorni. Deve essere quindi annullato l’accertamento notificato il giorno 8 marzo 2023, essendo superato il termine di scadenza del 31 dicembre 2022. Nello stesso senso, anche la sentenza n. 890/6/222 del 21 novembre 2022, dei giudici di primo grado di Torino. In verità, va anche detto che esistono sentenze favorevoli per il Fisco, nel senso che alcuni giudici tributari ritengono applicabile la proroga a cascata di 85 giorni.
E’ evidente che l’enorme contenzioso, che hanno generato e continuano a generare le proroghe dei termini a seguito dell’emergenza sanitaria a causa del Covid, potrebbe essere eliminato solo con un intervento legislativo o con una interpretazione chiara e disponibile per tutti. Non basta certo il richiamato chiarimento dell’agenzia delle Entrate, che invita gli uffici a programmare le attività di controllo per attivare e concludere i procedimenti impositivi entro i termini “ordinari” di decadenza, evitando di avvalersi dei differimenti previsti dalla norma vigente. Chiarimento che, come si è detto, è stato dato dall’agenzia delle Entrate di Roma dopo il 10 marzo 2024, cioè dopo che gli uffici, ritenendo di beneficiare della proroga di 85 giorni, avevano individuato come termine di scadenza per gli accertamenti, che erano in scadenza ordinaria al 31 dicembre 2023, la data del 25 marzo 2024.

Mimma Cocciufa e Tonino Morina – Esperti fiscali del Sole 24 Ore

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