Come Cosa Nostra usa la follia… su ‘Mafia da legare’

 Il primo libro che analizza in maniera minuziosa le varie forme di pazzia, a volta vera, ma spesso presunta utilizzata dai boss della malavita.
Oggi la Mafia non spara, ma utilizza l’iPad e indossa la cravatta

“Mafia da legare”, edito dalla Sperling &Kupfer, è il titolo del terzo libro di Laura Galesi, giornalista, niscemese di nascita, ma catanese d’adozione. Romanzo scritto a quattro mani insieme al salernitano Corrado De Rosa, psichiatra.

Gli elementi fondamentali del libro sono: la medicina capovolta, la mafia, la follia, e illegalità vestita con la giacca.

Abbiamo intervistato Laura Galesi nella redazione di Globus Magazine.

Come nasce l’idea di scrivere questo libro?

“Io con Corrado De Rosa, psichiatria forense, avevamo già collaborato per la stesura di un altro libro, che riguardava le stragi del ’92, Capaci e via D’Amelio, quelle che cambiarono l’Italia. Naturalmente sotto un profilo diverso, poiché io ho intervistato delle donne poliziotto che facevano parte della scorta, che avevano vissuto quelle stragi, mentre Corrado si è occupato di raccontare la follia ‘mascherata’ e simulata di un boss mafioso. Il titolo riconduce a quello che è maturato nell’ immaginario collettivo cioè una mafia ortodossa, stabile nel loro codice, con regole comportamentali ben precise. Analizzando le carte giudiziarie, ci siamo accorti che molte volte questi ‘capi’ ricorrono all’uso della follia per eludere il carcere e avere degli incentivi. Le loro storie raccontano attraverso degli eventi specifici tutte le azioni, come la simulazione della follia o di altri tipi di malattia, che sono portate avanti da questi boss per evitare, molte volte, di partecipare ai processi in cui sono coinvolti. Abbiamo fatto uno studio minuzioso dei vari fenomeni mafiosi che caratterizzano le diverse territorialità isolane. Ad esempio, al fratello di Nitto Santapaola, Nino, con il soprannome ‘Ninu u’pazzu’, abbiamo dedicato il capitolo “Nino ammazza il sabato” e, secondo le testimonianze di Antonino Calderone, Nino “ogni sabato sera usciva di casa e se andava a caccia” per uccidere e poi traeva piacere nel leggere quelle morti che aveva seminato nel giornale della domenica”. In altro capitolo raccontiamo la storia di Silvio Balsamo e della finta pazzia, appartenente al clan dei Santapaola, viene ricoverato nella clinica Montecatone Rehabilitation Institute di Imola,  perché soffre di una malattia che gli blocca la funzione motoria, il direttore generale Mauro Menarini convalida successivamente la diagnosi di ‘paraparesi agli arti inferiori con perdita di controllo degli sfinteri secondari’ in più affetto da ‘ siringomielia dorsale e monoparesi dell’arto superiore sinistro’, peccato che poi verrà fermato dalla Polizia mentre guidava una normale auto, non solo ma ritrovarono delle cassette in cui ballava la Macarena.  Ma di ritornare in carcere non ne voleva sapere, quindi, scatta il piano successivo, in scena un finto suicidio, ma rimane vittima della sua stessa finzione, morendo.”

Quanto tempo avete impiegato per scriverlo?

“Quasi un anno. Io mi sono dedicata alla parte giornalistica, con le interviste e lo studio delle carte giudiziarie mentre Corrado ha curato la parte medica, quindi, psichiatrica. Abbiamo cercato di dimostrare che esiste una sorta di medicina al contrario. Cioè se ci sono false certificazioni è dato dal fatto che ci sono ‘falsi’ medici. La mafia, inoltre, si insinua nelle pieghe dello Stato e attua un tipo di concorrenza sleale con quest’ultimo. Infatti, una perizia psichiatrica, commissionata dalla giustizia, nella norma è di circa € 400,00, invece, i mafiosi la pagano anche il doppio se non il triplo. Poi, alcuni capitoli hanno assorbito maggiormente il nostro tempo come ad esempio “ Barcellona non è la Spagna” in cui ci soffermiamo sul manicomio giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, nato come centro d’eccellenza e trasformato in poco tempo a paradigma mafioso. Tanto che diventa una località per vacanze da pascià con ricche abbuffate a base di pesce e frutti di mare, vestaglie di seta e, soprattutto,  era un luogo in cui si  stringevano nuove alleanze e s’impartivano ordini per nuove stragi. Vi era la “ Presenza di importanti capi della mafia, della camorra e della n’drangheta”, il risultato è stato “ la costituzione di basi locali, con il trasferimento nella città di altri componenti di queste organizzazioni e l’instaurazione di proficui rapporti con la criminalità locale.”

Non pensi che gli atti crudeli che compiono i mafiosi, come sciogliere un bambino nell’acido, tendino a sconfinare nella follia?

“Noi abbiamo valori diversi, in realtà all’interno del sistema mafioso sono delle cose normali, non è follia, ma normalità. Basti pensare la Villa degli orrori dei Marchese. Fa parte della loro logica.  In realtà non sono pazzi, ma  frutto di una società che ha delle regole diverse rispetto alle nostre.”

Non hai paura di trattare argomenti mafiosi?

“Un po’ si, ma alla fine racconto dei dati. Faccio la fotografia dei fatti, seguendo in maniera rigida le regole del giornalismo. Insieme a Corrado abbiamo elaborato tutto il materiale in maniera più edulcorata rispetto agli atti giudiziari originali.”

Sei di Niscemi, ma d’adozione catanese, non ti fa rabbia che la nostra Terra sia inficiata da questo sistema mafioso?

“Si, la mia doppia anima si ribella. Per un periodo di tempo, ho lavorato presso l’ufficio stampa del Comune di Niscemi, in provincia di Caltanissetta. In quel periodo il sindaco aveva creato le white-list cioè degli elenchi per gli appalti pubblici, in cui le imprese in odor di mafia venivano espulse, risultato la macchina del primo cittadino è saltata in aria. E’ anche vero che noi giornalisti non raccontiamo le cose belle, ma solo situazioni difficili. Di rado raccontiamo degli imprenditori che denunciano ed è sbagliato. Perché soltanto facendo conoscere situazioni virtuose di denuncia, creiamo una sorta di nuova resistenza. L’antimafia è  soprattutto una questione culturale.”

Stai già lavorando al tuo prossimo libro?

“Si, ma posso dire poco… riguarda la storia di un imprenditore che ha vissuto per nove mesi da infiltrato in un’organizzazione camorristica in Veneto, dopo averli denunciati.”

Quindi, restiamo tutti in attesa pronti a  leggere la prossima fatica letteraria della nostra Laura!

 

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