Una splendida Cavalleria rusticana e il seguito aprono il Festival dei Teatri di pietra al giardino Bellini per il Coro Lirico Siciliano

La voce puramente belcantistica di Piero Giuliacci ha deliziato i presenti come nel ruolo di Santuzza la giovane Stephanie Van Der Goes.

Se l’ora della canicola del 4 agosto non prometteva nulla di rasserenante per il resto della giornata, segnando 46 gradi al sole alle 13,30 in centro storico di Catania, la sera al giardino Bellini, ritorno dopo parecchi anni a cura del Coro Lirico Siciliano, dell’atto completo “Cavalleria Rusticana”  con il seguito di “Cavalleria sequel dodici anni dopo”, nonostante la pesante calura e umidità che non è scesa nemmeno con l’ausilio degli alberi che attorniano il piazzale centrale della storica villa della nostra città, ha riscontrato ampio successo di pubblico e di impostazione scenica e recitativa. Non siamo noi a dirlo: è la storia della pluripremiata compagine presieduta da Alberto Munafò Siragusa e il Coro diretto da Francesco Costa, tutti professionisti preparatissimi e di alto livello, che ha ampiamente meritato (pur se nelle scorse estati come nella presente a cura di altro ente vi sono spettacoli in forma di concerto o quelli che una volta si definivano di occasione) la concessione da parte del Comune di Catania dello spazio scenico per il celeberrimo atto unico del Mascagni, su libretto di Targioni Tozzetti e Menasci, andato in prima assoluta in scena al Costanzi di Roma nel maggio 1890, con il duo allora affermatissimo Bellincioni e Stagno, nonché la celebre causa che oppose il nostro Giovanni Verga alla casa Sonzogno.  Storie note ma che a volte è bene accennare.

In collaborazione col teatro maltese “Astra” si apre quindi, come gli scorsi anni e nello scenario del piazzale centrale della Villa che fu, per tutto il Novecento, estivo ritrovo di spettacoli di lirica e di prosa, il Festival dei Teatri di pietra, manifestazione che sta vedendo il Coro Lirico, giustamente supportato dall’assessorato regionale al Turismo della Regione Siciliana, esibirsi in diverse storiche località della nostra isola, accomunate dalla valorizzazione dei luoghi o dei teatri antichi e moderni, in un percorso di rinascenza -mai necessaria come in questo momento storico- e di speranza nella Libertà. L’attività del Coro Lirico cresce negli anni in ampiezza e qualità e dimostra che esiste spazio per tutti per creare una tradizione lirica che dia voce ad artisti della tradizione e nuove leve che debbono avere  tempo e modo per farsi conoscere.

Nello specifico, Cavalleria -diretta dal Maestro Filippo Arlia con l’Orchestra Filarmonica della Calabria: compagine di talentuosi musicisti con una direzione dignitosa ma troppo affaticata, non solo dal clima ma anche dalla mancanza di verve che si è ben notata nei celeberrimi passaggi – ha avuto la sua stella, nel ruolo di Turiddu: è il belcantista oggi più chiaro, a nostro parere, del parterre dei cantanti d’opera liberi, ovvero Piero Giuliacci, il tenore operaio (come piace precisare in riferimento alle sue origini, uno che ha fatto la gavetta e, come ben disse Raimondo Vianello, “chi non ha fatto la gavetta si vede”!), che già lietamente recensimmo da queste colonne l’anno scorso per una Cavalleria in forma di concerto a Taormina. Qui finalmente il Giuliacci, con le sue note di grazia che riportano all’universo di Gigli e di Schipa, ha potuto spaziare non solo nella sua potenza vocale veramente conservatissima (ci ha tenuto a sottolineare, nel doposcena, i suoi sessanta anni: musicalmente non esistono!) e pulita, come si affermava un tempo, ma anche nel recitativo da consumato attore, con passaggi molto decisi. E’ in questi casi che tòrnanci in mente quel passato che le note di Giuliacci hanno distillato in pura alchimia di armonie, come se gli ultimi trenta anni di tenori non fossero esistiti. E per molti, sarebbe meglio.

Ci ha piacevolmente colpito la voce sopranile di Patrizia Patelmo, una Santuzza possente e convincente, decisa e carica di aggressività attoriale che le si addice (ella dona davvero in un momento, una graffiata a Turiddu), mai sotto tono, abile e caustica. Così come all’altezza del ruolo e con note ben tornite sono state Giorgia Gazzola (Lucia) e Leonora Lleva (una Lola un po’ vezzosa ma essendo bulgara, certi gesti della sicilianità le sono ovviamente estranei). Il compare Alfio del baritono Omar Camata è stato sufficiente, liso nei passaggi più importanti (“Oh che bel mestiere fare il carrettiere” va a bombardamento vocale, non recitata…) ma nel complesso ha retto il ruolo.

Due parole sulla microfonatura, che abbiamo potuto tollerare perché in prima fila (qualche privilegio alla stampa libera, ogni tanto) : vero che è ormai aduso attrezzarsi in caso di recite all’aperto, ma per Giuliacci e le voci femminili non ve ne era certamente bisogno, avendo acuti e vita propria. Evochiamo sempre gli anni pre microfoni e mai ci stancheremo di scriverlo.

Per quel che concerne la seconda parte, ovvero il seguito di Cavalleria ispirato al canovaccio (tale fu, come usava fino al secondo dopoguerra: nessuno ha inventato niente…) che il celebre attore drammatico, purtroppo oggi dimenticato, Giovanni Grasso scrisse a suo tempo, qui musicato da Mario Menicagli  (che ha pure diretto l’ opera in orchestra, il testo è suo e di Lido Pacciardi) si può dire essere una operetta di càlco mascagniano -più volte notammo tonalità dall’Iris- ove sostanzialmente un pentito Alfio chiede perdono del delitto commesso, al bimbo figlio di Santuzza e Turiddu nonché si riconcilia con Lola (cornuto e contento, commenterebbero i catanesi di un tempo!).           Anche qui  cantanti e attori hanno dato prova di bravura, al massimo grado la giovane e bella Stephanie Van Der Goes nel ruolo di Santuzza: auspichiamo che il debutto catanese della cantante italo olandese, sia foriero di grande carriera. Per Lola ricoprì il medesimo ruolo Leonora Lieva; un plauso al nostro Salvatore Grigoli nel ruolo di Zu Brasi, Francesco Congiu nel ruolo di Pietro, ancora Giorgia Gazzola in Gna Lucia, la piccola Elisa Dotti nel ruolo di Turidduzzu e ancora Omar Camata in compare Alfio.     Bravissimi e decisi anche i bambini del coro di voci bianche. La regia di Pierfrancesco Maestrini con l’assistenza di Alessandro Idonea, fu attenta e misurata, frutto di prove costanti. Così come v’ha luogo di rilevare che la capacità scenica al massimo grado del Coro Lirico è nelle cosiddette masse in tema religioso: i passaggi di Cavalleria ove è la resurrezione di Cristo e le scene altrettali, sono sempre resi con un realismo indubitabile. Anche la scenografia, richiamando le nostre chiese barocche e un edificio antico, fu buona ed essenziale così il gioco di luci. I circa sette minuti di applausi sarebbero stati sicuramente maggiori se non vi fosse stata l’afa spietata e la mollezza del melomane catanese.Del resto se lo scenario di Cavalleria è tradizionalmente paesano, era giusto che fosse Catania il luogo di rappresentazione poiché -molti lo ignorano, per noi ha valenza il riferimento storico letterario- Verga la scrisse ispirandosi a un fatto di cronaca nera, “amùri e curtèddu” sempre per le gonnelle di una bella dama (ah queste donne siciliane dell’Ottocento quanto sangue fecero versare: quelle del Novecento sono più raffinate: colpiscono l’anima, pria sorridono con il corpo e gli occhi e poi il grande gelo, come diceva Eduardo) avvenuto esattamente a Catania ove oggi trovasi il mercato quotidiano, tra la piazza Carlo Alberto e la via Giordano Bruno, all’epoca zona di periferia e malfamata. E magari sarà stata colpa di una cantante lirica (Lola nello spartito è un mezzosoprano). Adunque la passione di Cavalleria con codeste belle e armoniche voci, pur sfidando una canicola eccezionale, ha potuto novellamente dispiegare le ali affaticate ma non dòme, al giardino Bellini, anch’esso resistente al tempo che lo vuole decaduto si dai vecchi fasti, ma non ancora defunto. Tra gli ospiti, notammo l’Assessore alla Cultura del Comune di Catania Barbara Mirabella, che si trattene per l’intiero spettacolo, esponenti della Associazione Italiana Combattenti Interalleati Federazione di Catania,  melomani e appassionati. A seguire gli altri spettacoli, in odore di libertà.

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