Miccoli, dalle stelle alle stalle. “Chiedo Scusa”

Un compleanno amaro, anzi in lacrime. Fabrizio Miccoli festeggia 34 anni nel modo peggiore che si potesse immaginare. Durante la conferenza stampa, all’indomani dell’interrogatorio presso la Procura di Palermo, per l’accusa di estorsione e accesso abusivo informatico, l’ormai ex capitano rosanero appare molto provato, almeno in viso.

Durante la sua carriera calcistica ha subito numerosi infortuni e ogni volta, è sempre tornato più forte di prima. Adesso però le cose sono cambiate; l’infortunio è di quelli traumatici, di quelli che lasciano cicatrici indelebili.
Il termine dispregiativo “Quel fango di Falcone”, canticchiato insieme al figlio del Boss della Kalsa di Palermo, Mauro Lauricella, ha provocato un boomerang dalle traiettorie imprevedibili. Un’intera città è stato tradita dall’uomo simbolo dello sport cittadino, dal suo numero 10, colui che rappresentava l’estro e l’attaccamento alla maglia.
“Spero che la città un domani voglia perdonarmi” biascica in lacrime durante la conferenza di commiato. Il problema è proprio questo: non è soltanto Palermo in quanto teatro del periodo stragista a essere profondamente turbata dalle parole del bomber salentino, bensì tutte quelle persone che, indipendentemente dall’ appartenenza geografica, hanno fatto e fanno della lotta alla mafia, uno stile di vita, un’esigenza necessaria per stimarsi come uomini. Aldilà del pentimento di un uomo distrutto dalla vergogna, ancora una volta torna alla ribalta il nesso tra personaggi dello sport ed esponenti della criminalità: “Io ho cercato solo di comportarmi da persona normale, frequentando tutti senza chiedermi prima le origini delle persone”, si giustifica l’ex rosanero, aggiungendo “Quelle cose su Falcone non le pensavo”. Verrebbe da chiedergli: ma allora perché le hai dette? Perché un calciatore che dalla vita ha ottenuto fama e successo, ha l’esigenza di frequentare compagnie così border line? Perché la necessità di prestare Sim telefoniche a Lauricella, detto “U Scintilluni? Perché compromettere una carriera calcistica coronata di traguardi ma, cosa più importante, compromettere la propria dignità, arrivando a infangare la memoria di un Simbolo della lotta a Cosa Nostra? La lunga sfilza di quesiti forse non troveranno mai risposta, o forse sì. Il trasversale coro che si è alzato a favore del Giudice ucciso dalla Mafia, rende omaggio alle tante vittime della criminalità organizzata, che come Giovanni Falcone hanno donato la propria vita per un mondo più umano. In campo Fabrizio Miccoli era un funambolico, uno che del dribbling ne faceva il marchio di fabbrica. Questa volta però non sarà possibile nessun gioco di gambe, nessun colpo a effetto potrà cancellare quelle parole pesanti come macigni. Dopo quattro ore di interrogatorio in Procura, il “Romario del Salento” è apparso provato e logorato, tanto che il suo procuratore e legale, Francesco Caliandro, ha dovuto posticipare la conferenza con la carta stampata. L’ascesa e il declino di un fuoriclasse hanno assunto i connotati di una storia triste, quasi surreale. Che la giustizia e il tempo facciano il loro corso.

 

 

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