Guerra senza quartiere ai “superbatteri” che hanno imparato a difendersi dagli antibiotici

La resistenza di alcuni germi ai farmaci è considerata dai ricercatori una delle minacce più gravi per l’umanità, ma i primi a poter fare qualcosa siamo noi: niente pillole a sproposito

I batteri diventano sempre più resistenti agli antibiotici: negli Usa, 100mila persone all’anno muoiono in ospedale a causa di batteri resistenti agli antibiotici. La Società americana per le malattie infettive ha chiesto alle aziende di trovare entro il 2020 dieci nuovi antibiotici per fermare quella che l’Oms ha definito «una delle tre più gravi minacce contro l’umanità» e stima che il costo totale del trattamento di tutte le infezioni resistenti agli antibiotici in ospedale è di circa 10 miliardi di dollari all’anno.

Per le istituzioni sanitarie europee e Usa questa è a tutti gli effetti una crisi. «Se non stiamo attenti ci sarà presto un’era post-antibiotica», ha detto Thomas Frieden, direttore dei Cdc statunitensi. E per alcuni pazienti e alcuni batteri questa “era” è già arrivata: solo in Europa sono 25mila i morti a causa di infezioni ospedaliere resistenti; in Gran Bretagna si registra un preoccupante aumento delle infezioni antibiotico-resistenti; infezioni comuni si trasformano in malattie incurabili; dall’inizio del secolo l’incidenza di queste infezioni è passata dall’1 al 10%. Quando gli antibiotici non funzionano, si ricorre ai cosiddetti carbapenemi, che rappresentano oggi l’ultima frontiera contro le batteriemie, il problema è che si sono registrati casi di resistenza anche a quest’ultime. Il direttore del centro  European Centre for Disease Control and Prevention, Marc Sprenger, ha usato toni allarmanti.  “Una guerra ai batteri dall’esito incerto, perché vengono “selezionati” dagli stessi antibiotici: quelli che sopravvivono ai trattamenti infatti aumentano di numero fino a diventare il ceppo dominante”. Batteri sempre più forti e resistenti? «Da anni non inventiamo più antibiotici», spiega Otto Cars, infettivologo dell’università di Uppsala (Svezia).

Un esempio di questa evoluzione dei batteri viene dal Pakistan e dall’India dove sono stati scoperti “due superbatteri” capaci di fare a pezzetti i farmaci attuali. «In realtà», afferma Cars, «esisterebbero due antibiotici in grado di fermarli. Ma uno è estremamente tossico per i reni e l’altro non riuscirebbe mai ad arrestare grandi epidemie». Dopo 85 anni gli antibiotici sono sempre meno efficaci e lo scopritore della penicillina, il biologo Alexander Fleming, ritirando il Nobel disse: «non è difficile creare microbi resistenti in laboratorio, è sufficiente esporli a concentrazioni di antibiotico insufficienti a ucciderli… L’uomo può facilmente sottodosare il farmaco facilitando il fenomeno della resistenza». La sua previsione era corretta. Più gli antibiotici sono diventati accessibili e il loro uso è aumentato, più i batteri hanno sviluppato sempre più rapidamente le difese: in totale oggi sono 18 i batteri che rappresentano una seria minaccia.

I batteri utilizzano normalmente un processo chiamato “Quorum Sensing” per scambiarsi informazioni relative alla densità della popolazione e per sincronizzare i comportamenti di gruppo che promuovono la patogenicità, “che permette ai batteri di svolgere collettivamente il loro compito, e non avrebbe successo se un singolo batterio agisse da solo”, spiega Bonnie L. Bassler, che ha diretto lo studio. La capacità dei batteri di insediarsi nelle cellule immunitarie – proprio quelle che dovrebbero ucciderle – testimonia la versatilità degli strumenti usati da questi microrganismi per impadronirsi dei meccanismi cellulari.

IBM e l’Istituto di Bioingegneria e Nanotecnologia di Singapore hanno disegnato un nuovo tipo di polimero in grado di individuare e distruggere batteri resistenti agli antibiotici e di impedirne l’evoluzione. La caratteristica più interessante di questa nanostruttura è quella di essere biodegradabile e di non accumularsi nei tessuti: può essere eliminata facilmente dal corpo, a differenza delle precedenti soluzioni basate sui polimeri.

Il materiale, adoperato come un vero e proprio ‘missile invisibile’, distrugge le membrane cellulari dei batteri. Di fronte a uno scenario di tale portata è disarmante l’immobilismo delle aziende farmaceutiche che negli anni non hanno investito per scoprirne di nuovi, lo sono i medici che ne prescrivono troppi e spesso quando non sono necessari, lo sono i pazienti che ne abusano o non ne rispettano la posologia, lo sono gli agricoltori: negli Usa l’80% degli antibiotici venduti vengono usati in agricoltura, per ingrassare animali e proteggerli dalle malattie. E lo stesso vale per la frutta. Danimarca, Norvegia e Olanda hanno attuato un regolamento governativo sull’uso medico e agricolo di questi farmaci, ma gli Usa non sono disposti a tali controlli e hanno emanato un orientamento volontario e non obbligatorio. E l’Unione europea per voce della commissaria alla ricerca Máire Geoghegan-Quinn, ha annunciato il lancio di 15 nuovi progetti di ricerca sulla resistenza antimicrobica che beneficeranno di un contributo pari a 91 milioni di euro. «Siamo in una fase in cui abbiamo bisogno di molti e nuovi agenti terapeutici. Non c’è dubbio su questo – chiarisce Pascale Cossart, direttrice dell’Unità per le interazioni batteri cellule all’Istituto Pasteur di Parigi, pioniere riconosciuto di una disciplina che ha avuto la luce 25 anni fa, combinando gli approcci molecolare e cellulare della biologia, nominata “microbiologia cellulare”. Creare farmaci che impediscono la penetrazione del batterio nelle cellule. O se il batterio produce tossine, lavorare per contrastarne la proliferazione e di conseguenza prevenire l’infezione». Cossart conclude che serve investire anche sugli strumenti diagnostici, kit rapidi e facili da usare. «La diagnosi precisa è la chiave per prevenire le conseguenze catastrofiche di una qualsiasi malattia infettiva». È della stessa idea Klemens Wassermann dell’Austrian Institute of Technology, giovane ricercatore di talento che ha vinto il Falling Walls Conference di Berlino. «A causa della rapida diffusione di batteri resistenti, la procedura standard non è più praticabile – spiega – Noi abbiamo trovato un modo che in una manciata di secondi e in maniera completamente automatizzata svela il patogeno coinvolto. Applicando un campo elettrico specifico in un dispositivo microfluidico intelligente, separiamo, rompendole, le cellule ematiche umane dai batteri, che invece restano integri. Li concentriamo nel campione e con tecniche di biologia molecolare abbiamo subito la diagnosi».

Un grido di allarme chiaro viene da Guénael Rodier dell’Organizzazione mondiale della Sanità: «La ricerca è stata ferma per anni, ora servono più investimenti».

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