Fisco a mani vuote dopo 10 anni di inutili liti

Annullato un accertamento grazie ad una relazione tecnica chiesta dai giudici tributari di secondo grado

 

 Il Fisco resta a mani vuote dopo un accertamento con richieste per circa 50mila euro, cioè 100 milioni delle vecchie lire. Nessun incasso e tante spese inutili, per l’ufficio e per il contribuente. Per la commissione tributaria regionale di Palermo, sezione staccata di Siracusa (sentenza 3346/16/15, udienza del 7 luglio 2015, depositata il 21 luglio 2015), deve essere annullato l’atto dell’ufficio per inesistenza della pretesa erariale.

Per descrivere la vicenda, è bene raccontare i fatti.

Nel 2011, un funzionario dell’agenzia delle Entrate, ufficio di Lentini, “copiando” un verbale della Guardia di Finanza basato prevalentemente su un’indagine finanziaria, comunemente chiamata controllo bancario, accerta, per il 2006, una presunta evasione di circa 50 mila euro. Il contribuente presenta ricorso e dimostra, numeri alla mano, che non c’è stata alcuna evasione, allegando al ricorso la necessaria documentazione.

I giudici di primo grado hanno respinto il ricorso.

La Commissione tributaria provinciale di Siracusa, forse anche per la complessità del ricorso e l’enorme documentazione esibita, si è “sbrigativamente” limitata a respingere il ricorso, con una superficialità, leggerezza e approssimazione che contrastano con i principi del giusto processo. I giudici di primo grado hanno emesso una sentenza di rigetto del ricorso senza fondamento e senza considerare le prove documentali esibite. Insomma, in assoluto dispregio delle norme sul giusto processo che significa anche sperare in una giustizia ideale, i giudici hanno respinto il ricorso, calpestando il diritto di difesa del contribuente, diritto costituzionalmente protetto, costringendo il contribuente a presentare il ricorso in appello.

I giudici di secondo grado hanno nominato un consulente tecnico.

Per fortuna, in sede di appello, i giudici di secondo grado, accogliendo la richiesta del contribuente, hanno nominato un consulente tecnico d’ufficio che, finalmente, ha esaminato la documentazione bancaria, precedentemente prodotta all’ufficio  e ai giudici di primo grado e mai considerata.

A norma dell’articolo 7  “poteri delle commissioni tributarie”, del decreto legislativo 546/1992, in materia di contenzioso “2. Le commissioni tributarie, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, possono richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell’amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di finanza, ovvero disporre consulenza tecnica”. E’ evidente che nel momento in cui si devono acquisire elementi conoscitivi di particolare difficoltà, le Commissioni possono chiedere apposite relazioni ad organi delle amministrazioni dello Stato o di altri Enti Pubblici, compreso il Corpo della Guardia di Finanza, ovvero disporre consulenza tecnica, con richiesta quindi di valutazioni. A questo riguardo, lo stesso giudice decide sulla determinazione e liquidazione dei compensi del consulente. Per l’affidamento e l’espletamento della consulenza tecnica disposta dalla Commissione tributaria, valgono le regole di cui agli articoli 191 e seguenti del codice di procedura civile, così come espresse nella legge 69/2009. Questa potestà deve essere esercitata nel rispetto delle disposizioni costituzionali sul giusto processo (articolo 111 della Costituzione) che non consentono al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti (Cassazione, sentenza 20 giugno 2008, n. 16923).

La prova del “9” che non c’è stata alcuna evasione

Grazie al consulente tecnico, è stato dimostrato che non c’è stata alcuna evasione, ed i giudici hanno accolto l’appello del contribuente, annullando l’accertamento, per la semplice ragione che gli incassi registrati erano di ammontare superiore ai versamenti effettuati. Nel caso in esame, il contribuente aveva fornito, anche in sede di primo grado, la classica prova del “9” che si usa fare in matematica, dimostrando che non c’è stata alcuna evasione. E’ quello che ha poi confermato il consulente tecnico d’ufficio, che ha così concluso la sua relazione: “l’ammontare dei versamenti registrati nel conto corrente … pari a euro 533.044,28 è inferiore alla somma del volume d’affari e della imposta sulle operazioni imponibili, pari a euro 551.659,00”. Insomma, per ovvie ragioni aritmetiche, l’accertamento doveva essere annullato per inesistenza della pretesa impositiva.

Con un po’ di buon senso si poteva eliminare prima, una lite inutile perché la matematica non è un’opinione.

In proposito, gli americani dicono che nella vita, ci sono bugie, grandi bugie e statistiche. E’ quello che, in pratica, lo scrittore americano Mark Twain nei primi anni del novecento affermò, dicendo che nella vita “esistono le bugie, le bugie infami e le statistiche”. Statistiche che, alla fine, sono i numeri, cioè i fatti e non le chiacchiere o le invenzioni degli uffici. Nel caso in esame, vale il principio generale ed assoluto per tutti in ogni applicazione di regole aritmetiche: due più due fa sempre quattro e quattro meno due fa sempre due. C’è tutto quello che occorre per i diligenti e per gli incuranti e distratti. E’ da notare che quando l’errore fiscale è di aritmetica non è nemmeno il caso di richiamare l’istituto dell’autotutela perché l’errore aritmetico è più grave dell’errore sulla normativa.

E’ comunque inaccettabile che il contribuente sia stato costretto ad un costoso e defatigante contenzioso, per colpa di funzionari a caccia di evasioni inesistenti, magari “scoperte” per dimostrare ai superiori di avere raggiunto i famosi obiettivi di fine anno. La verità è che, in alcuni casi, gli uffici, alle prese con gli obiettivi di fine anno, tra accertamenti, verifiche, controlli, statistiche e altro, a cominciare dalla cosiddetta M. I. A., maggiore imposta accertata, non hanno tempo per ascoltare i cittadini ingiustamente disturbati e annullare o rivedere in autotutela i propri atti sbagliati, fermo restando che tra questi obiettivi è certamente escluso quello di fare fallire i contribuenti o fare soffrire ingiustamente le persone per bene. Nel caso specifico, va anche segnalato che il contribuente ha cessato l’attività, perché stanco di subire le vessazioni dell’ufficio alla ricerca di evasioni inesistenti.

 

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