Il dramma della Carmen di Bizet rivive al teatro greco di Siracusa con il Coro Lirico Siciliano

Di livello il Don Josè di Eduardo Sandoval e la splendida MIcaela di Heloise Koempgen.

La fleur que tu m’avais jetée \Dans ma prison, m’était restée…“. Come in molte creazioni che sono diventate leggendarie, è bello tornare a vedere e udire “Carmen”, celeberrima opera di Georges Bizet in quattro atti (o quadri, così chiamati dal compositore) su libretto di  Henri Meilhac e Ludovic Halèvy, non foss’altro che per la citata bellissima aria di Don Josè (che solo Franco Corelli, almeno fino ai primi anni Ottanta, poteva riproporre ad altezze stratosferiche) il protagonista che in un atto di sublime lirismo offre -invano- il proprio amore alla sfrontata e perfida zingarella Carmencita.

Così è stato la sera del 6 agosto, sempre col solito clima aretuseo, al teatro greco di Siracusa per la stagione estiva 2022 del Festival dei Teatri di Pietra, promosso da quella benemerita associazione che è il Coro Lirico Siciliano, le cui lodi paiono ormai scontate.  La quale quest’anno ha scelto l’opera che si può leggere come facente parte del realismo nietzschiano (non a caso al tempo piacque al grande filosofo, come a Freud) della dissoluzione del sentimento, di Amore e Morte.   Una serata allietata dal numerosissimo pubblico che affollò gli spalti del teatro empiendolo quasi completamente, in un anelito di gioiosità del sabato sera, formato soprattutto da famiglie e coppie, per  l’opera che al suo sorgere, nel 1875 suscitò più polemiche che altro, venendo tuttavia poi accolta dal gran pubblico proprio perché rappresenta quella sorta di annichilamento che l’Amore assoluto può divenire, oltre che un certo riscatto da parte del popolo mutatosi in borghesia (non a caso Bizet era francese: Carmen è George Sand, Carmen è un certo tipo di amore libertino, non libero si badi: infatti la fine è tragica). Bellini tanto per intenderci, probabilmente non avrebbe scritto musica per un simile libretto: non sapremo mai il suo pensiero.

L’operazione ideata dal duo ormai eclettico e vincente Francesco Costa maestro del Coro e Alberto Munafò tenore baritonale e Presidente del Lirico, è riuscita: il successo a giudicare dai quasi dieci muniti di applausi finali, inframmezzati da quelli tra un quadro e l’altro, lo denota. Il  pubblico in quanto popolo sovrano, democraticamente secondo la tradizione greco sicula (e dove può ciò manifestarsi meglio che nei teatri ellenici) ha ben gradito.

Scendendo nei dettagli: la regia della giovane e di origine locale Anna Aiello, alla sua prima Carmen, fu tradizionale nella partitura e nel libretto (ma col Coro Lirico mai ci saremmo aspettati le disgustose regie moderne di questi ultimi anni, del resto oramai rigettate da pubblico e critici, sebbene ancora tollerate da certi scarti degenerati di talune frange sociali davvero malate) : certamente ella volle inserire delle novità a suo gusto (il ventaglio rosso agitato dal coro e comparse per tutti gli atti, il balletto spagnolo in apertura del terzo e quarto atto) che se non esistono nella edizione di Bizet (come assenti furono le nacchere nel recitativo di Carmen) , possono essere accettate come una piccola sottolineatura di una regista la quale ha ancora molta strada da fare. Gettare le masse sul palcoscenico serve e in questo caso seppure eccessivo fa il suo effetto: incoraggiamo il cammino. L’Orchestra filarmonica della Calabria diretta da Filippo Arlia ha dato più che buona prova di se, specie la sezione archi (gli ottoni a volte sbandavano in derive bandistiche): seppure angolata in spazio stretto per esigenze pratiche, mancando la “buca” dei teatri al chiuso.

Il Coro maschile e femminile istruito da Francesco Costa  è anche in questo caso meritevole di lode e menzione per la oramai assuefatta armonia con cui affronta ogni tipo di situazione in maniera brillante. Per quanto concerne i cantanti, lodiamo subito le doti vocali del tenore spagnolo Eduardo Sandoval, che finalmente ascoltiamo in un ruolo a lui congeniale: di caratura medio alta per le tre ore dell’opera, non ha avuto sbavature e si appassionò con entusiasmo sia nella orditura vocale che nella recitazione. Così una bella sorpresa fu la perfetta voce del soprano francese Heloise Koempgen, una Micaela davvero convinta e di qualità, la quale ci fece ripensare alle molte artiste di livello brillante che abbiamo udito negli ultimi anni. Bravo anche se non al massimo il baritono Alessio Verna in Escamillo, menzione per Federico Parisi e Lleonora Llieva, come gli altri artisti minori. Giungendo alla protagonista, la Carmen del mezzosoprano Milijana Nicolic (la quale in Australia come in Italia ha avuto una carriera folta) col suo timbro di voce incentrato sul vibrato cupo, abbassato di tono anche per motivi cronologici (Carmen a nostro avviso non dovrebbe avere più di 30-32 anni)  e il recitativo ingessato, fu accettabile nel ruolo ma non certamente la giovane Carmencita che un appassionato di lirica -non diciamo melomane: categoria estremamente feroce- si aspetta di vedere e udire. Unica scena “forte” da imputare alla Aiello, allorché Don Josè si adagia su Carmen solo per qualche secondo: in tempi di cloache massime nel campo lirico (e non solo), è acqua fresca.  Ma la sensualità di Carmen, considerata donna di facili costumi, che dopo aver rovinato il sergente si getta tra le braccia del torero Escamillo e alfine butta addosso all’annichilato Don Josè l’anello che con tanta dedizione egli le avea donato -ricevendone il dardo fatale in ricompensa- merita un pathos che rarissimamente può manifestarsi.  La scena dell’anello è quanto di più forte (e lercio quanto sono luride le ipocrisie degli sponsali disdegnati da Violetta Valery) animicamente sia possibile rappresentare nei rapporti umani: laddove una “sporca meticcia”, la zingarella appunto (ma non dal nome mozartiano) avrebbe ben potuto serbare quel dono in uno scrigno musicale, Carmen ne fa uso di disprezzo supremo: è la gogna di Amore e della Morte che immanentemente si consuma.  Così finisce quel fiore “Flétrie et sèche, cette fleur \Gardait toujours sa douce odeur” detto tale nella succitata aria di Don Jose, che al nostro immaginario (e non solo) ha suscitato le note un decennio dopo, in quel XIX secolo “coi baffi” e dagli amori fatali, scritte da Francesco Paolo Tosti: “Cosa c’era ne ‘l fior che m’hai dato? Forse un filtro, Un arcano poter? Nel toccarlo, il mio core ha tremato, M’ha l’olezzo turbato il pensier”. E’ Malia: anche li, solo una voce baciata dall’amore può cantarla, la freddezza uccide.

Una raffinatezza che merita lode è il balletto spagnolo flamenco di Murcia inserito nell’opera, con i suoi elementi curati dalle coreografe Matilde e Carmen Rubio, il quale ha riscosso  meritato successo di pubblico: così i graziosissimi bimbi del Coro di Voci Bianche città di Siracusa diretto da Mariuccia Cirinnà.  Anche i costumi e le scene, semplici ed essenziali, con le rocce ai lati e tre portici con lo stemma del monarchicissimo Regno di Spagna (vedemmo in palcoscenico sventolare anche la bandiera con lo stendardo reale) suscitarono il plauso non solo nostro ma dei convenuti . Al terzo quadro, mutata e aperta la scena, ci parve di rivedere il quadro di Arnold Bocklin, “L’isola dei morti”, poiché eguali al celebre dipinto esoterico e simbolico sono i pini sullo sfondo del teatro greco. E con l’immagine del vitello d’oro simboleggiato da una testa taurina (adorato dai beffardi ebrei come Api allorché Mosè li puniva per la loro empietà) si compie il sacro rito della morte della protagonista, immolata ad una oscura sorte: o divinità? Non sappiamo, né mai sapremo.  Auspichiamo però che -come il Maestro Puccini ci ha insegnato in Turandot, ultimo messaggio prima di chiudere i lavori dell’Arte della sua vita terrena- anche dal gelo può nascere il sorriso del fiore d’amore che si apre novellamente.

Da citare infine le acconciature e trucco a cura di Alfredo Danese, con le figlie Gloria ed Emilia, Giuliana Zappalà e gli altri collaboratori.  Presenti la Legione Garibaldina Comando per la Sicilia (e come non poteva essere in tale occasione: Carmen è un po’ anche Anita Garibaldi, che lascia il marito e i figli per unirsi in amore libertario col fascinoso Eroe) e l’Associazione Italiana Combattenti Interalleati Federazione di Catania.

E mentre il pubblico scorre lentamente verso l’uscita, allorché si passò la mezzanotte in abbondanza, la produzione del Coro Lirico Siciliano si prepara alle repliche di codesta Carmen negli altri antichi teatri: a Taormina il 9 e a Tindari il 12. Lo spettacolo all’aperto continua.

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