Dialogo tra sordi e Fisco in confusione: chieste somme non dovute

Finita la pausa da Coronavirus, cosiddetto Covid-19, da fine 2022 ai primi mesi del 2023, è ripresa la notifica di milioni di cartelle e richieste degli uffici ai contribuenti.

La realtà può essere il contrario di quello che si dice a parole. Ad esempio, si sente parlare spesso di “Fisco amico”, ma in alcuni casi ci si trova di fronte ad un “Fisco nemico”. Magari sarà per carenza di personale, ma quello che è certo è che per alcuni cittadini il Fisco può diventare un incubo. Anche perché, per colpa dello “smart working”, cosiddetto “lavoro agile”, mancando spesso un confronto diretto con il funzionario dell’ufficio, si assiste ad un dialogo tra sordi, con i contribuenti costretti a presentare più istanze per lo stesso problema e l’ufficio che resta in silenzio o risponde più volte senza però risolvere il problema. La sensazione è che, con la scusa dello smart working, alcuni dipendenti della pubblica amministrazione lavorino meno di prima, magari sovraccaricando le persone più disponibili e sensibili alle richieste dei cittadini, ma che non possono però sopperire alla carenza di personale. Ai cosiddetti furbetti del cartellino, negli ultimi tre anni, a causa del coronavirus, probabilmente, si è aggiunta una nuova categoria, i furbetti dello smart working, con i cittadini che sono gli unici a soffrirne e a subirne le conseguenze. Ecco, di seguito, quello che è capitato ad un cittadino siciliano, che ha presentato più volte una richiesta di annullamento per somme non dovute, ma l’ufficio è sempre rimasto in silenzio.

La richiesta sbagliata del Fisco

Il 25 novembre 2022, l’Agenzia delle Entrate di Siracusa invia al contribuente una richiesta di pagamento, riferita a un accertamento per il 2009 notificato nel 2014, con richiesta di somme per 40.523,47 euro più spese esecutive 152,66 euro, in totale 40.676,13 euro. La richiesta di pagamento doveva essere annullata, perché l’accertamento era stato già definito in conciliazione sia con l’ufficio, sia con l’istituto previdenziale per i maggiori contributi dovuti, con rideterminazione della pretesa impositiva e versamenti già fatti per l’intero ammontare dovuto.

I giudici tributari hanno dichiarato chiuso il giudizio

Peraltro, per come risulta dalla “comunicazione del dispositivo di decreto” del 9 novembre 2015, i giudici di primo grado di Siracusa avevano dichiarato l’estinzione del giudizio in relazione all’accertamento. Al riguardo, è grave l’inerzia dell’Agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Siracusa, che si è “dimenticata” di annullare il debito iscritto a ruolo, pure in presenza del predetto decreto che ha dichiarato l’estinzione del giudizio.
E’ ancora più grave il fatto che già il 7 dicembre 2016, circa sette anni fa, era stata inviata un’istanza di sospensione legale, all’agente della Riscossione per la provincia di Siracusa e all’Agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Siracusa, ma l’ufficio delle Entrate non ha mai messo la parola “fine” ad una situazione che è diventata insostenibile, inaccettabile ed ingiustificata.

L’annullamento già fatto dall’Inps

L’inerzia dell’ufficio delle Entrate è resa ancora più evidente dal fatto che l’Inps, in data 30 novembre 2018, aveva già comunicato l’annullamento totale dell’avviso di addebito dell’Inps, a distanza di appena 14 giorni dalla richiesta inviata dal contribuente il 16 novembre 2018. In questo caso, va apprezzata la tempestività dell’istituto previdenziale, che rende ancora più evidente l’inerzia dell’ufficio delle Entrate, che, dopo più di sei anni dalla prima istanza presentata il 7 dicembre 2016, non si è attivato per annullare le somme iscritte a ruolo non dovute. E il cittadino, costretto a presentare una nuova istanza di annullamento in autotutela, spera che qualcuno finalmente presti attenzione alla sua richiesta. Il silenzio è peggio di una risposta negativa. Resta ferma per il contribuente la possibilità di rivolgersi al Garante del contribuente, che, sicuramente, potrà sollecitare con più incisività l’ufficio rimasto finora inerte.

Passare da uno stato di paura a uno di certezza del diritto e fiducia

La gente è stanca di sentire annunciare continue “semplificazioni” che, alla prova dei fatti, sono nuove complicazioni. I contribuenti, anzi i “Cittadini” meritano più rispetto ed un sistema fiscale che generi certezze, non paure, ansie e panico, come quello degli ultimi anni. Anche l’ex Ministro dell’Economia, Giovanni Tria, nell’illustrare le linee guida davanti alla Commissione Finanze del Senato, il 17 luglio 2018, ha affermato che è <<doveroso passare da uno stato di paura nei confronti dell’amministrazione finanziaria a uno stato di certezza del diritto e fiducia>>. I principi guida devono essere quelli di buona fede e reciproca collaborazione, ricordandosi che l’autotutela esiste, non è <<una specie di optional>> e l’ufficio emittente <<non possiede una potestà discrezionale di decidere a suo piacimento se correggere o no i propri errori>>.

Confusione fiscale ai massimi storici

Con la confusione fiscale di questi tempi, ormai arrivata a livelli insostenibili ed intollerabili, alcuni uffici, per raggiungere gli obiettivi in tema di accertamento, controlli, verifiche e altro, approfittano di qualsiasi errore del contribuente, anche se in contrasto con le promesse più volte fatte dai vertici dell’agenzia delle Entrate che parlano di un Fisco amico e leale. Belle parole, ma nei fatti non è così, con l’aggravante che, in questi ultimi tre anni, a causa del Covid-19, il dialogo Fisco-cittadini in presenza è scomparso. Parlare con qualche funzionario è diventata un’impresa e il confronto con gli uffici è spesso virtuale, affidato ai messaggi per posta elettronica ordinaria (Peo) o per posta elettronica certificata (Pec). Capita anche che alle istanze del contribuente, l’ufficio rimanga in silenzio, salvo affidarsi alle comunicazioni automatizzate, senza però risolvere il problema. Così non va bene. Ci vuole invece lealtà e collaborazione, perché solo così si potrà sperare in un Fisco amico e contribuenti in buona fede, con l’obiettivo di eliminare la grande confusione fiscale che sta soffocando tutti, uffici dell’agenzia delle Entrate compresi. Come sempre, gli unici a beneficiare di questo caos sono i veri evasori. E poi si continua a parlare di “lotta all’evasione”, che, al pari dell’autotutela, appartiene al passato, tanto è vero che, come si è detto, alle richieste dei contribuenti spesso gli uffici restano in silenzio. Silenzio che, per i contribuenti, è peggio di una risposta negativa.

Alcuni uffici “resuscitano” richieste sbagliate

E’ grave che alcuni uffici, come gli zombi, ogni tanto “resuscitano” richieste di pagamenti non dovuti, mettendo in difficoltà il cittadino che le riceve, con l’ulteriore aggravante che, aperta la lite, gli uffici proseguono il contenzioso fino alla Cassazione, rischiando di non incassare nulla e di essere condannati al pagamento delle spese di giudizio. La verità è che nel momento in cui “parte” un accertamento o una richiesta di pagamento, anche se in modo errato, è quasi inevitabile che il relativo contenzioso dovrà superare i tre gradi di giudizio, primo, secondo grado e Cassazione. Non è giusto, ma gli uffici che amano la lite sperano in una delle cosiddette sentenze a “sorpresa” da parte dei giudici tributari, che possa giustificare il loro operato. Inoltre, chi paga è sempre e soltanto il cittadino, non certo il singolo funzionario che emette l’accertamento sbagliato o chiede pagamenti non dovuti e prosegue il contenzioso. Gli unici a guadagnarci in questa grande confusione fiscale, la peggiore degli ultimi venti anni, sono i difensori dei contribuenti. Per gli errori dei funzionari, paga l’agenzia delle Entrate, cioè la collettività.

Il Fisco online manda in tilt uffici e cittadini

Finita la sospensione delle notifiche ai contribuenti, a seguito del Coronavirus, cosiddetto Covid-19, che dal mese di febbraio 2020, ha messo in crisi il mondo intero, negli ultimi mesi del 2022 e nei primi mesi del 2023, il Fisco ha ripreso la notifica delle cartelle di pagamento. Purtroppo, sono tante le segnalazioni dei cittadini, che hanno ricevuto e stanno ricevendo richieste di somme non dovute, perché già pagate, perché già “azzerate” a seguito di definizioni con l’ufficio o perché già annullate dallo stesso ufficio, ma che risultano ancora in carico all’agente della Riscossione. Sono infatti diversi i cittadini in preda a continue crisi di nervi, anche perché non riescono a parlare con gli uffici dell’agenzia delle Entrate o della Riscossione, con perdita di tempo, problemi che non si risolvono e l’ansia che aumenta. Con l’aggravante che, in alcuni casi, per gli uffici, la richiesta del Fisco è giustificata perché risulta dal computer. In alcuni casi, però, non è così, perché il risultato reale, con le carte in mano, è diverso da quello riportato dal computer.
Una cosa è però certa: se il computer sbaglia non è colpa sua. Il computer, come tanti altri strumenti informatici, è ubbidiente come il cane che si arrabbia su ordine del padrone. Della vicenda non si meraviglia chi conosce i pregi del computer, che sorprende sempre, visto che in pochi secondi o minuti riesce a fare elaborazioni che richiederebbero parecchi giorni. Un altro pregio, che è però scambiato per difetto dello strumento, deriva dal fatto che il computer ubbidisce anche alle deficienze del programma. Non avendo una propria testa si serve di quella dell’esperto o presunto tale. Guai se così non fosse: se anche il computer potesse dire la sua non ci salveremmo più. La macchina non sbaglia e le eventuali sviste che le vengono addebitate sono dei suoi addetti o programmatori.

Il “Fisco amico” dai sogni alla realtà: L’incompiuta della “Carta Zero”

La realtà del cosiddetto “Fisco amico”, più volte annunciato ma mai realizzato, è spesso diversa dalle promesse del legislatore o dalle belle parole che si è soliti dire. Un esempio è nel famoso progetto “carta zero”, lanciato più di 30 anni fa, che è rimasto solo nelle intenzioni del legislatore, anche perché la carta, cioè i documenti, sono spesso duplicati o triplicati per la necessità di esibirli agli uffici o di averli a disposizione per qualsiasi richiesta degli stessi uffici. Il Fisco sempre più telematico degli ultimi anni doveva anche servire per raggiungere l’obiettivo “carta zero”. Belle intenzioni che, però, alla prova dei fatti, sono rimaste tali, con l’aggravante che, in questi ultimi tre anni, a causa del coronavirus, il dialogo Fisco – cittadini in presenza è scomparso. Parlare con qualche funzionario è diventata un’impresa ed il confronto con gli uffici è spesso virtuale, affidato ai messaggi per posta elettronica ordinaria (Peo) o per posta elettronica certificata (Pec). Purtroppo, alle istanze del contribuente, l’ufficio rimane spesso in silenzio, salvo affidarsi alle comunicazioni automatizzate, senza però risolvere il problema.

Dialogo tra sordi “Fisco contribuenti”: l’alternativa è il Garante del contribuente

In alcuni casi, per la mancanza di un confronto diretto, si assiste ad un dialogo tra sordi, con i contribuenti costretti a presentare più istanze per lo stesso problema e l’ufficio che resta in silenzio o risponde più volte senza però risolvere il problema. L’alternativa per i cittadini è di rivolgersi al garante del contribuente, figura prevista nell’ordinamento tributario, dalla legge sullo statuto dei diritti del contribuente, legge 212 del 27 luglio 2000. Il suo articolo 13 prevede la figura del “Garante del contribuente”.
Si tratta di una figura che deve: tutelare i diritti del contribuente; rilevare disfunzioni o scorrettezze dell’amministrazione finanziaria e dei suoi organi operativi; sollecitare opportune iniziative utili a rimuovere ogni distorsione del rapporto tra Fisco e i cittadini.

Il Garante del contribuente, anche sulla base di segnalazioni inoltrate per iscritto dal contribuente o da qualsiasi altro contribuente interessato che lamenti disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli o qualunque altro comportamento suscettibile di incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini e amministrazione finanziaria, può rivolgere richieste di documenti o chiarimenti agli uffici competenti, che devono rispondere entro trenta giorni. Il Garante può anche attivare le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al contribuente. Il Garante del contribuente comunica l’esito dell’attività svolta alla direzione regionale o compartimentale o al comando di zona della Guardia di finanza competente nonché agli organi di controllo, informandone l’autore della segnalazione. Il Garante del contribuente può rivolgere raccomandazioni ai dirigenti degli uffici ai fini della tutela del contribuente e della migliore organizzazione dei servizi. Egli può anche accedere agli uffici finanziari e controllare la funzionalità dei servizi di assistenza e di informazione al contribuente nonché l’agibilità degli spazi aperti al pubblico.

Mimma Cocciufa (*) e Tonino Morina (*)

(*) Esperto fiscale del Sole 24 – Ore

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