Festoso concerto inaugurale di Sacre Armonie, nella chiesa della Trinità a Catania con Charpentier e Mozart

La Camerata Polifonica Siciliana diretta da Giovanni Ferrauto e i valenti solisti hanno impreziosito il prestigioso evento.

Sant’Agostino diceva che chi canta, prega due volte. Il detto è valido anche per chi suona e chi ascolta modulando la propria anima sulle note dell’armonia. Tale può delinearsi la serata inaugurale -svoltasi nel tardo pomeriggio di domenica 18 settembre- del Festival “Sacre Armonie” organizzato dalla Camerata Polifonica Siciliana, il cui direttore artistico è il noto professore e compositore Giovanni Ferrauto, con l’associazione Anfiteatro unitamente alla Diocesi di Catania e al teatro Bellini; serata di gran successo per più ragioni. Innanzi tutto, si riapre ex novo al vero culto, che è quello dell’Arte somma, il tempio della Trinità in via Vittorio Emanuele (vale a dire la strada più antica e scenograficamente bella della città) in Catania, accorpato al già convento di clausura delle Benedettine, da oltre un centennio scuola pubblica: la chiesa fùnse da ritrovo cattolico fino alla morte dell’ultimo parroco vent’anni or sono; poi il decadimento, il restauro per fortuna conservativo (tranne il pavimento ma la combinazione di bianco e nero, adattasi alla tradizione lapidea catanese) e l’apertura per le feste agatine di febbraio di quest’anno, hanno permesso al popolo di tornare a frequentare, occorrendo degli eventi culturali, il sito prestigioso e antico (preesistente al tremuoto del 1693, venne ricostruito sullo stesso luogo).

Per cui aprire una chiesa barocca con un concerto di musiche barocche è già un grande evento. Altresì, la lungimiranza del professore Ferrauto e della CPS (il cui presidente è il professore in quiescenza Aldo Mattina) di collegare gli enti più attivi della città, ha compiuto l’avvenimento straordinario ove risorge come fenice (Catania ha la fenice per simbolo occulto, per chi non lo sapesse: nel frontone della porta Garibaldi) il Coro della suddetta Camerata, estintosi da un ventennio ma adesso ricostruito, come l’Orchestra strumentale, con elementi di più che valido livello (tra gli altri, ci piace citare Giovanni Caruso, docente di percussione dell’Istituto musicale etneo). La folla che ha gremito la navata del tempio, come nei giorni in cui le Suore adoranti il

Sacramento, dalle panciute grate disegnate da quel genio che fu l’architetto Battaglia (a lui dobbiamo moltissimi palazzi del Settecento rococò della stessa via: il genero suo fu Stefano Ittar) assistevano alle funzioni nei loro neri manti e sappiamo che pure il musico Tobia Bellini che abitava proprio nella via adiacente, accompagnato dal nipote -quel giovine ‘Nzuddu che poi diventerà il Cigno di Catania- utilizzò il piccolo organo oggi posto a lato della navata, non più operativo, frequentava ivi; insomma un luogo tanto carico di storia patria, non poteva che generare ampie vibrazioni.

Così è stato per la prima parte, consistente nel Concerto n. 3 in Sol maggiore K216 per violino e orchestra di Wolfgang Amadeus Mozart, opera del 1775 laddove il salisburghese veniva affrancandosi dal repertorio barocco avviandosi alla modernità del simbolismo esoterico settecentesco, La protagonista, con l’orchestra diretta da Ferrauto, fu la violinista moscovita Maria Solozobova, che suona con un violino del 1728. Al suo innato talento virtuosistico ha affiancato passione e qualità tecnica -non a caso proviene dal Conservatorio Tchaikowsky della capitale della Russia- assolutamente indiscusse che hanno riscosso talmente ampio successo di pubblico, da richiedere un meritato “bis”. Ella insegna all’Università musicale di Losanna.

La parte seconda e più scenografica fu affidata alle note della “Fenice di Francia”, ovvero il superbo Marco Antonio Charpentier, l’eccellenza della musica barocca di stampo italianeggiante (perciò rivale dell’orgoglioso Lully) nel secolo degli enigmi e dell’Argenide. Alla corte del Re Sole per poco tempo poiché parteggiante per i Guisa (per anni abitò a casa di Madama di Guisa nella Parigi dei tre moschettieri, del Conte di Peyrac e della marchesa degli Angeli: ma Luigi XIV fu così magnanimo, dopo che non riescì a divenire musicista del Re, da assegnargli una pensione… potenza dell’assolutismo monarchico!), Charpentier, amico e collaboratore di quell’eretico di Molière e dei Corneiile, seguì tuttavia la corrente gesuitica e indulgendo alla scuola di Porto Royal (come meglio di noi avrebbe spiegato Don Antonio Corsaro, a cui era caro il Fenèlon) compose nel 1692 il Te Deum in re maggiore H.146 , a tutti noto nella parte iniziale per esser stato scelto decenni fa come sigla dell’Eurovisione. La parte solistica, molto intensa, fu affidata al basso Daniele Bartolini, al mezzosoprano Francesca Aparo (entrambi in forza al coro del teatro Bellini di Catania), al tenore baritonale Alberto Maria Antonio Munafò Siragusa (Presidente del Coro Lirico Siciliano e valentissimo artista) e al soprano barocco Jennifer Schittino, di stanza a Pisa ma per tale occasione felicemente tornata nella Catania ove, da siracusana, ha studiato musica.

V’ha da dire che mentre la preziosità della ampiezza modulare del suono non fu pienamente avvertita durante il concerto mozartiano, poiché il solo violino seppure dolce e fragile come una veletta settecentesca, non poteva superare il sol maggiore della partitura, la voce del quattro solisti, in particolare del Munafò che ha toccato con la sua tecnica ben studiata e la sperimentazione eclettica che come pochissimi (passando dal verismo verghiano alle atmosfere impalpabili del mondo gesuita barocco) può permettersi, il punto più alto della curva sonora rispetto alla angolatura cupolare del tempio; altresì Jennifer Schittino ha dato brillantissima prova della sua voce chiara cristallina, davvero raffinata e del tutto adatta e ormai definitivamente barocca, repertorio che l’artista ha scelto ed anche come età, rende al meglio del suo essere. Del resto, buon sangue non mente: se Jennifer Schittino rappresenta oggi una delle migliori voci barocche in Italia, il fratello Joe, maestro riconosciuto per tale, compositore di fama internazionale (alcune sue opere sono in questi giorni date in città per le celebrazioni settembrine belliniane) rende il nome della nostra terra illustre tra colonne e teatri, in nome di quella tetrade armonica che è la stigmate della Catania in musica, da Stesicoro a Bellini.

Anche per il Te Deum il pubblico (tra soliti noti, appassionati e addetti ai lavori; presente la Legione Garibaldina Comando per la Sicilia e l’Associazione Italiana Combattenti Interalleati Federazione di Catania) richiese il “bis” e il buon Ferrauto e coro e musicisti e cantanti non poterono esimersi dal concederlo. Parecchi minuti di applausi coronarono la prima serata alla Trinità del Festival, che ivi continua per concludersi in ottobre in Duomo a Catania. E se Baudelaire scriveva nel 1857: “non cercare più il mio cuore, le belve l’hanno divorato”, noi vogliamo ancora credere che, pur lacero, ancora esso viva -forse solo lì-nel miracolo laico di alcuna voce nella musica, pitagoricamente, uno due, tre.

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