Teatro Lo Spazio di Roma va in scena “La parola Madre”

Sciapò debutta a Roma. Giovedì 9 maggio 2013, al Teatro Lo Spazio (San Giovanni) ore 21.00
Libero tradimento da “Emma B. vedova Giocasta” di Alberto Savinio

INGRESSO LIBERO, USCITA A CAPPELLO!


La tradizione del fare cappello nasce in Italia, nel 1500, con la Commedia dell’Arte, quando per la prima volta nella storia dell’umanità fare l’attore diventa un mestiere, e uomini e donne organizzati in compagnie iniziano a girare di piazza in piazza per tutto l’anno vivendo con i soli soldi che gli spettatori decidevano liberamente di lasciare alla fine di ogni spettacolo. La consuetudine di chiedere i soldi alla fine di uno spettacolo, e quindi di lasciare allo spettatore la scelta di quanto pagare, durò per circa un secolo, poi gli spettacoli di Commedia dell’Arte iniziarono ad essere fatti in luoghi chiusi, e il cappello rimase per saltimbanchi, giocolieri e circensi. Da allora la tradizione del cappello non è mai morta, anzi, nei suoi 500 anni di storia ha continuato a crescere, cambiare e evolversi, rimanendo sempre fedele al suo principio: la sovranità dello spettatore.
Oggi, in tanti luoghi del teatro sparsi per tutto il mondo, si sta ricominciando a ristabilire con il pubblico un filo diretto, un rapporto di fiducia, a rinunciare a un compromesso, accettando di giocarsi tutto fino all’ultima battuta: facendo cappello.
Sciapò vuole ridare al pubblico la possibilità di scegliere quanto e se pagare gli artisti che si sono esibiti per lui, riportando l’antica tradizione del fare cappello anche nei luoghi chiusi dell’arte, nei teatri.

LA PAROLA MADRE
Libero tradimento da “Emma B. vedova Giocasta” di Alberto Savinio

Scritto e diretto da Luigi Imperato e Silvana Pirone
Con: Fedele Canonico, Domenico Santo, Salvatore Veneruso
Costumi: Francesca Balzano
Disegno luci: Paco Summonte
Attrezzeria: Monica Costigliola, Stefano D’Agostino

 

Tre uomini recitano donne per esplorare il mondo materno: una notte, dopo quindici anni di assenza, Emma B. incontrerà suo figlio. È una notte di attesa, ma anche di festa. Alberto Savinio immaginava la sua protagonista sola in scena, in un monologo allucinato; noi le affianchiamo due personaggi che, insieme a lei, danno vita ad una danza dell’attesa e nello stesso tempo si fanno narratori-testimoni di un segreto profondo e impronunciabile: l’incesto compiuto dalla protagonista con suo figlio per sottrarlo ad una ispezione nazista. La condanna dell’incesto resta sulla soglia dell’ambiguità: Emma infatti è madre, ma sembra riconoscere nel figlio il suo uomo, o ancora meglio il suo complemento, l’essere umano da lei generato e che può renderle il sesso mai posseduto, e la libertà legata all’essere maschio.
Delusa da una prima figlia perché femmina e condannata a passare da un padrone all’altro (padre, madre, marito), sembra pronta a voler portare a se definitivamente quel figlio, il quale ha per troppo tempo cercato in altre donne la felicità e fatto fatica a “pronunciare la parola madre fuori da certi significati”.

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