Viaggio nel Mito e nella Magia delle Leggende Siciliane: La Storia dell’Elefante di Catania

Catania, una vivace e affascinante città situata sulla costa orientale della Sicilia, ricca di storia, cultura e tradizioni millenarie. Alcune delle sue leggende più affascinanti e misteriose si intrecciano con la sua antica origine, il suo patrimonio artistico e la sua posizione geografica unica ai piedi del maestoso vulcano Etna.

Il nome insolito “Liotru” o “Diotru”, con cui i siciliani e, soprattutto, i catanesi si riferiscono all’elefante di pietra, ha una spiegazione interessante. Si ritiene che sia una popolare traslitterazione del nome Eliodoro, descritto dal rinomato storico e scrittore Michele Amari, in Storia dei Musulmani di Sicilia, come “un uomo nobile che una volta fu candidato alla carica vescovile, ma, successivamente, divenne un acerrimo nemico di San Leone, i cui sostenitori lo accusarono di essere un discepolo degli ebrei, un negromante e un fabbro di idoli”. Secondo quanto riportato dal geografo arabo al-Idrisi, che visitò la Sicilia nel XII secolo, gli antichi abitanti di Catania attribuivano all’elefante un significato particolare come simbolo di protezione contro le eruzioni dell’Etna.

Eliodoro, un personaggio semi-leggendario, fu oggetto di accuse da parte dei suoi contemporanei che lo descrissero come un negromante. Nato in una nobile famiglia siciliana, si dedicò alla religione cattolica e fu anche candidato per diventare vescovo della diocesi di Catania. Tuttavia, in quel periodo, Catania era sotto il dominio dell’Impero Romano d’Oriente guidato da Leone III l’Isaurico. Dopo aver fallito nel raggiungere questo obiettivo, si narra che Eliodoro si sia dedicato alla magia. Oltre all’accusa di stregoneria, gli venne attribuita anche la fabbricazione di idoli e l’etichetta di “discepolo degli Ebrei”.

Eliodoro divenne, così, un acerrimo oppositore di Leone II il Taumaturgo, vescovo di Catania dal 765 al 785, e in seguito a queste tensioni, fu condannato a morte per le sue pratiche. Nel 778, Eliodoro subì l’esecuzione bruciando vivo nelle Terme Achillee.

Nel dipinto viene, infatti, viene rappresentata la sconfitta del mago Eliodoro, che secondo la leggenda, durante il periodo in cui Leone era vescovo, Catania era assediata da un malvagio mago, un negromante di nome Eliodoro, le cui straordinarie abilità gli consentivano persino di volare da Costantinopoli a Catania a dorso di un elefante, che la tradizione popolare identifica come l’elefante di Piazza Duomo, noto come il simbolico Liotru, nome derivato dalla storpiatura di Eliodoro. Un giorno, mentre San Leone stava celebrando i riti sacri nella antica chiesa di Santa Maria di Betlemme, situata nel luogo in cui ora sorge la cattedrale, Eliodoro e i suoi discepoli irruppero nel tempio e blasfemarono contro la religione cristiana e il vescovo.

San Leone, invece di farsi turbare, completò le celebrazioni e poi si rivolse al mago per lanciargli una sfida. Davanti alla chiesa fu acceso un rogo e il test consisteva nel vedere chi dei due, attraversando le fiamme, sarebbe uscito incolume. Colui che sarebbe passato attraverso il fuoco senza subire danni sarebbe stato colui la cui dottrina predicata era la verità e meritevole di fede. Il primo a attraversare il fuoco fu il santo vescovo, che, sotto lo stupore e l’ammirazione dei presenti, uscì indenne. Successivamente, fu la volta del malvagio Eliodoro, che, nonostante i suoi tentativi magici, rimase intrappolato nelle fiamme e fu immobilizzato dalla stola che Leone gli gettò addosso. In questo modo, Catania fu liberata dalle trame oscure del mago e rimase fedele al suo vescovo e alla dottrina cristiana, testimoniando così la sua devozione e la sua lealtà.

La leggenda attribuisce a questo nobile personaggio la costruzione della statua dell’elefante, un’opera scolpita nella pietra lavica nera, nella quale il mago-sant’uomo avrebbe incluso anche l’uso della magia. L’elefante di pietra serviva a Eliodoro come un mezzo di trasporto animato magicamente durante i suoi viaggi e le sue spedizioni. Eliodoro, spesso oggetto di attacchi da parte dei soldati bizantini che cercavano di arrestarlo su ordine dell’Imperatore, sapeva come difendersi.

In un’occasione, la moglie del capitano della guarnigione derise il presunto mago. Eliodoro architettò una risposta geniale. Arrivò a Costantinopoli cavalcando l’elefante e fece spegnere tutti i fuochi nella capitale imperiale e nei territori bizantini. Allo stesso tempo, la moglie del capitano della guarnigione iniziò ad avvertire un forte mal di stomaco e un’intestinale turbolenza. Improvvisamente, dal sedere della donna scoppiò una potente fiamma. Era l’unico fuoco rimasto in tutto l’Impero, tanto che la donna dovette restare in piazza, con il sedere scoperto e la fiamma fuoriuscente, permettendo a tutti di avvicinarsi con delle torce per attingere a questa insolita fiamma e riportarla in ogni casa ed edificio pubblico. In ogni caso, la leggenda mette in risalto l’origine bizantina della statua di pietra lavica.

Un evento curioso è rappresentato dal fatto che Eliodoro fu bruciato vivo nel 778 proprio nella zona delle Terme Achilliane a Catania, lo stesso luogo in cui sarebbe poi sorto il Duomo, a pochi passi dalle due diverse collocazioni successive, al di fuori e all’interno delle mura, della statua dell’elefante. Oggi, se si osserva attentamente in Piazza Duomo, si può vedere l’elefante, che un tempo era la cavalcatura del mago, posizionato di fronte al Duomo stesso, guardando proprio verso il luogo in cui il suo padrone fu bruciato sulla pira.

Guardando le statue bianche raffiguranti santi, vescovi e figure importanti della cristianità che circondano l’edificio dell’arcivescovado, si ha una strana impressione: da dentro l’area sacra della chiesa e dalle cornici architettoniche del tempio stesso, questi personaggi sembrano fissare l’elefante, a volte con un’aria minacciosa o con un’espressione di monito, oppure nascondendo quasi il volto con una mano. In alcuni casi, sembrano anche voltarsi altrove, quasi con disgusto.

LA FONTANA DELL’ELEFANTE

La Fontana dell’Elefante, situata in Piazza del Duomo, fu creata da Giovanni Battista Vaccarini come parte dei lavori di ricostruzione della città di Catania dopo il terremoto dell’11 gennaio 1693. È stato affermato, senza prove, che l’architetto palermitano si ispirò all’Obelisco della Minerva di Gian Lorenzo Bernini. In realtà, l’iconografia dell’elefante coronato da un obelisco con un globo in cima.

La fontana ha un basamento costituito da un piedistallo di marmo bianco posto al centro di una vasca, anch’essa realizzata in marmo, da cui sgorgano getti d’acqua. Sul basamento, due sculture rappresentano i fiumi di Catania, il Simeto e l’Amenano. In alto, si erge la maestosa statua dell’elefante con la proboscide puntata verso la cattedrale di Sant’Agata. Questa statua, di origine incerta, era, in principio, scolpita da un unico blocco di pietra lavica, ma le zampe posteriori si frantumarono a causa del terremoto del 1693. Vaccarini stesso le restaurò prima di collocarla in piazza, aggiungendo gli occhi bianchi e le zanne in pietra calcarea. Ai lati dell’elefante, una gualdrappa marmorea reca gli stemmi di Sant’Agata, patrona di Catania.

Sulla schiena dell’animale si erge un obelisco, probabilmente, utilizzato come misuratore del tempo (meridiana) in stile egiziano, alto 3,66 metri, realizzato in granito, presumibilmente proveniente da Syene (Assuan). Non presenta geroglifici, ma è decorato con figure di stile egizio che non costituiscono una scrittura geroglifica completa. La sua datazione è incerta, ma potrebbe essere stato uno dei due obelischi dell’antico circo romano di Catania, mentre l’altro, più frammentario, si trova nel cortile del Castello Ursino. Sulla sommità dell’obelisco è stato collocato un globo, circondato da una corona di foglie di palma (che simboleggia il martirio) e di gigli (che rappresentano la purezza). Sopra di esso, c’è una tavoletta metallica con l’iscrizione dedicata a Sant’Agata, con l’acronimo “MSSHDEPL” («Mente sana e sincera, per l’onore di Dio e per la liberazione della sua patria»), e infine una croce. Tuttavia, la statua dell’elefante continua a essere venerata dalla gente del posto e ammirata dai turisti.

L’ELEFANTE SIMBOLO DELLA CITTÀ DI CATANIA

La statua dell’elefante è un simbolo di grande importanza per i catanesi, che gli hanno dato un significato e un’interpretazione unici. Secondo la tradizione locale, l’elefante di pietra rappresenta la forza, la potenza e la saggezza. Per i catanesi, l’elefante simboleggia anche la protezione e la difesa della città. Si crede che l’elefante abbia un potere benefico e che possa portare fortuna e prosperità a Catania e ai suoi abitanti. Inoltre, l’elefante è associato alla storia leggendaria di Eliodoro, il mago che secondo la tradizione popolare si trasformò in pietra insieme al suo elefante.

La sua presenza in Piazza Duomo, nel cuore della città, rappresenta una connessione con il passato e testimonia la ricchezza storica e culturale della città stessa. L’elefante, come simbolo, rappresenta diversi significati e concetti a livello culturale e simbolico in varie tradizioni e credenze. Ecco alcuni dei significati comuni associati all’elefante come simbolo:

Forza e potenza: l’elefante è spesso considerato un simbolo di forza fisica e potere. La sua mole imponente e la sua capacità di sollevare e trasportare pesi enormi lo rendono un simbolo di forza e resistenza.

Saggezza e longevità: nella cultura indiana, a esempio, l’elefante è collegato al dio Ganesha, considerato il signore della saggezza e della conoscenza.

Pazienza e calma: l’elefante è proverbialmente noto per la sua calma e pazienza. La sua lentezza nel muoversi e la sua natura tranquilla sono considerate virtù da emulare, simboleggianti la pazienza e la tranquillità interiore.

Prosperità e fortuna: in molte tradizioni, l’elefante è associato alla prosperità e alla fortuna. Le statue o le immagini di elefanti posizionate nelle abitazioni o nei luoghi di lavoro sono considerate di buon auspicio e si ritiene che portino buona fortuna e prosperità.

Famiglia e solidarietà: gli elefanti sono animali sociali che vivono in gruppi familiari stretti. In quanto tali, sono spesso simboli di legame familiare, solidarietà e cooperazione. L’immagine di elefanti che camminano in fila con la proboscide tenuta dalla coda del predecessore è un’icona di unità e connessione familiare.

Memoria e saggezza ancestrale: gli elefanti sono noti per la loro straordinaria memoria e si crede che portino con sé la saggezza delle generazioni precedenti.

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