“UN’ORA DI TRANQUILLITÀ” AL TEATRO METROPOLITAN DI CATANIA – INTERVISTA A MASSIMO GHINI … “BUONI O CATTIVI”?

“Un’ora di tranquillità”, o meglio: un’ora di agognata tranquillità, è la commedia di uno dei più apprezzati drammaturghi francesi, il giovane Florian Zeller – in scena in questi giorni al Metropolitan di Catania – che da due anni a questa parte riempie i teatri della sua nazione. Ora si accinge a diventare un successo di livello europeo e mondiale dato che sono previste date in Svizzera, in Canada, a Londra. 

massimo ghini regista e interprete di un'ora di tranquillita'

In Italia è portata in scena dal noto attore Massimo Ghini, regista e protagonista insieme a Massimo Ciavarro (idolo dei fotoromanzi della rivista “Grand Hotel” e affermato attore di cinema e fiction, qui al suo debutto teatrale), dagli attori Galatea Ranzi, Gea Lionello, Claudio Bigagli (interprete del premio Oscar “Mediterraneo” di Salvatores), Alessandro Giuggioli e Luca Scapparone.

Zeller è molto amato dal pubblico perchè nel suo scritto riesce a coniugare la tradizione del teatro con la modernità del racconto. Questa è una commedia corale, narra di un appassionato di jazz (Michelle) che vorrebbe almeno “un’ora di tranquilità” senza nessuna intrusione, per godersi in santa pace il disco in vinile del suo clarinettista preferito (trovato dopo tanta ricerca in un mercatino lungo la Senna) ma questa fatidica “ora” diventa invece una sorta di ribaltamento di una vita intera. Michelle scoprirà di essere stato tradito sia dalla moglie Nathalie che dal suo migliore amico Pierre, scoprirà di non essere il vero padre di suo figlio Sèbastien, sarà lasciato dalla sua amante Elsa (migliore amica di Nathalie), e molti altri guai… fino a che potrà ascoltare il vinile e la sua vita sarà totalmente cambiata.
Per il pubblico italiano – abituato ad una comicità più “battutara” – questo lavoro rappresenta una novità. E’ una commedia che sotto la veste comica –  si creano situazioni divertenti, raccontate da personaggi riscontrabili nella vita di tutti i giorni – mette a nudo i drammi odierni: l’incomunicabilità tra i familiari, la difficoltà d’integrazione dello straniero, la cinicità umana. Da questa commedia è stato tratto anche un film per  la regia di Patrice Leconte con Christian Clavier, Carole Bouquet, dal titolo ”Tutti pazzi in casa mia”.

ghini

 Buonasera Ghini, in questa società dominata dalla categoria della complessità, dalla velocità, dall’incontrollabile “mobilità” degli eventi umani, qual’è la sua “ora di tranquillità”?

 Quando faccio lo spettacolo. Può sembrare paradossale ma è quella la mia “ora di tranquillità” perché è l’unico momento in cui – in maniera egoistica come il personaggio – riesco a liberarmi un po’ di tutto e faccio quello che amo di più, il mio mestiere. Per uno come me che ha delle responsabilità dal punto di vista del lavoro e familiari, i problemi iniziano dopo lo spettacolo. Allora quella, stranamente e molto faticosamente, diventa la mia “ora” di svago e di “riposo.

 Prima o poi nella vita viene tutto a galla: vecchie fiamme, tradimenti, bugie, la verità soprattutto.
Ma la verità, per quanto si possa cercare di nasconderla, è sempre qualcosa di così forte, imbattibile, “rivoluzionaria”?

Io vengo da una generazione che diceva: “la verità è rivoluzionaria”. In realtà anche in quest’espressione c’è una contraddizione e in qualche maniera una menzogna. Nel senso: la verità è sempre rivoluzionaria perché di fronte alla coscienza, alla morale che si è creata, mantenersi coerenti ad essa diventa rivoluzionario. Il problema è che spesso e volentieri, da artista, la bugia diventa uno strumento per trovare un compromesso di felicità. Cito al riguardo l’episodio emblematico di un romanzo “documentario” molto bello, “Il tè nel deserto” (di Paul Bowles), in cui il protagonista (un newyorchese snob e intellettuale) che fa per la prima volta un viaggio in Marocco viene preso in giro da una persona alla quale chiede: <<Qui c’è un autobus per andare a Marrakesh>>? E lui gli risponde: <<si, domattina alle 9.00 in punto>>. Quest’autobus invece non arriverà mai, e quando il protagonista (adirato) chiede conto e ragione al marocchino sul perché gli avesse detto quella bugia, lui gli risponde che non voleva tradire tutto quelle immagini “avventurose” che si erano create nella sua mente, il suo sogno … che non era da “turista” ma da “viaggiatore”.
Ecco, quando la bugia diventa fantasia, allora ti accorgi che entrambe sono indispensabili, che tutto questo serve a rendere migliore la vita.

Ghini ha sempre avuto la musica “nel sangue”: da piccolo sognava di diventare direttore d’orchestra. Nella sua lunga e variegata carriera si è reso protagonista di diversi musical teatrali.
Michelle (il personaggio che in questa commedia interpreta) è un appassionato di musica jazz …  e l’idea del vecchio disco in vinile fa sicuramente riscoprire il gusto per il passato.
C’è una colonna sonora di un film che non ha mai dimenticato? Se si, perché?

Ce ne stanno tante, ma l’altro giorno in occasione dell’anniversario della morte di Luchino Visconti, ho provato l’ennesima emozione nel rivedere ”Morte a Venezia”. Con questo film (che ho da sempre nel cuore) ho pure scoperto “la quinta” di Mahler. Quella musica mi è rimasta talmente addosso che riaffiora sempre nei miei ricordi. Una magica commistione in cui non si sa più se è la musica che diventa film o il film che diventa musica. E’ talmente forte che mi mette immediatamente in una condizione di grande emozione rispetto alle immagini.

Lei è da sempre un personaggio molto criticato. La regia di questo spettacolo, per le sue intrinseche “peculiarità”, non è stata cosa semplice. In questa commedia corale, “il Ghini regista”, ha incontrato più difficoltà con gli attori o lato sensu con il pubblico? 

Sicuramente con il pubblico, e hai fatto bene a dire “lato sensu”, perché mi riferisco a “un certo tipo” di pubblico. Oggi ho letto un’ennesima critica sul web che mi ha fatto ridere. Qualcuno diceva che si era un po’ spaventato guardando il filmato (girato a Parigi) che noi proiettiamo all’inizio della commedia. Questo mi fa capire quanto siamo poveri di spirito in questo Paese, ed è la cosa che più mi distrugge. Scopro che c’è un’aridità culturale che fa sì che ogni volta che si mette in scena qualcosa di valore, non c’è mai il coraggio morale, il rispetto di dire : ”E’ bello, mi è piaciuto”. Continua a darmi fastidio per il male che può procurare questo tipo di mentalità e di filosofia di vita basata sul pregiudizio. Il fatto che quel critico bolognese dica: <<Ho sudato freddo quando ho visto quel video in apertura. Ho pensato a quest’uomo che ha fatto tante cose anche molto importanti e poi ultimamente si è dato ai cinepanettoni …>>. Ma quando si arriva a questo, capisci che si va al teatro esclusivamente per vedere se sei dalla “parte mia” o sei da “un’altra parte”. Perché se tu parti da questo presupposto significa che mentalmente fai la distinzione tra l’Italia dei “buoni” e “cattivi”. Allora cosa dovrei rispondere a questo tizio e a questo malessere che vive la cultura italiana? Beh, che me ne frego e che non mi voglio piegare. Io non ho paura, ed è  la mia tragedia; se avessi avuto più paura avrei vissuto molto meglio. Sono sempre stato così, e continuo ad esserlo, in prima fila e provocatorio con tutti (anche quando ero Segretario generale del Sindacato Attori Italiani). Nel mio profilo Fb ho messo (provocatoriamente) una fotografia con Coppola (mentre stavamo sul set) in cui io sono vestito come lo sceicco bianco insieme a un monumento. Questa foto rappresenta esattamente la mia anima: lo sceicco bianco ed il grande maestro insieme.
Qui vengono all’incirca mille persone alle quali regaliamo un’emozione. Io mi preoccupo del pubblico. Ho passato l’inizio della carriera da parvenu – quale sono stato anch’io – con la non preoccupazione del pubblico. Quando una cosa non andava significava che il pubblico non aveva capito niente e lì ho capito che io non avevo capito niente. Allora la preoccupazione del pubblico non è fargli le cose semplici. Io non ho voluto semplificare questa commedia, l’ho lasciata così com’è. Non è che l’ho tradotta in siciliano perché vengo in Sicilia, o in napoletano se vado a Napoli. No, ve la beccate così, nel suo valore autentico!
Se io vinco questa scommessa al sud – dove so che vengo a scontrarmi con una certa mentalità – non facendo il napoletano, il barese, il siciliano, dunque senza dire “u capisti”, ma semplicemente “l’hai capito”, per me è quella la soddisfazione più grande.

Ieri, interloquendo con Gea Lionello, abbiamo tratto questa conclusione: in Italia, per quanto riguarda il teatro “di contenuto”, siamo fermi a Goldoni. Dobbiamo per forza “importare” dalla Francia …

Ma tu trovami in Italia uno che ha il coraggio e la possibilità di scrivere la stessa commedia di questo “ragazzino” (Zeller ha soli 36 anni). In questo spettacolo c’è dentro di tutto: ipocrisia della società borghese, razzismo, cattiveria, cinismo … trovami in Italia uno che scrive un testo così! Devono essere tutti “politically correct”. E ci hanno rotto i “cabbasisi” co’ sto “politically correct” … non se ne può più! Perchè alla fine è diventato peggio del vero “politically correct”: dietro questa “finzione” nessuno ha il coraggio di dire le cose come stanno. Oppure c’è la ricerca, che oramai è diventata istituzionale. Perché in Italia hanno inventato pure una classe di registi (vestiti tutti uguale) “specializzati” in ricerca. Ma la ricerca è bella se io vado in giro e faccio la vera ricerca.

 Stasera in contemporanea al Teatro Stabile reciteranno Luca Lazzareschi e Laura Marinoni con “La Prova”. Sembra di capire, anzi l’ha già detto a chiare lettere, che l’arte in Italia non è libera. Si “ragiona” per categorie: ci sono “i buoni” e “i cattivi”… c’è chi sta “dentro” e chi sta “fuori”…

É proprio così: l’arte in Italia non è per niente libera ed è frutto solo di un gioco di compromessi, della presunzione di non avere una vera libertà in tutti i sensi, soprattutto culturale. Per cui qui a Catania, come a Palermo, come a Roma, come a Venezia, come a Firenze, vi è questa esatta divisione nella lavagnetta tra “i buoni” e “i cattivi”. Io so’ felice di essere tra “i cattivi”. I nomi che hai citato sono “buoni”, ma non li critico affatto, anzi secondo me là vedi degli attori che sono molto e molto più bravi di quello che gli devono far fare chiudendoli “lì dentro”. Oggi mi verranno a vedere tutto lo staff del Teatro Stabile, compreso il direttore artistico Giuseppe Di Pasquale, mio grande amico assieme a Laura (che ho pure tenuto “a battesimo”), però gli ho detto: <<a me dentro quel recinto non mi ci vedrete mai>>.

Quello che io lamento, vedendoli nelle interviste, è quell’aria di sfida che spesso assumono quando li inquadrano, è come se dicessero con gli occhi a chi sta dall’altra parte: <<adesso ti facciamo vedere noi come ti sfracelliamo>>. Questo è per me un atteggiamento sbagliato, completamente sbagliato. Io ti posso far venire e raccontarti la storia più drammatica del mondo, ma se già prima d’iniziare io ti dico <<sono molto drammatico>>, allora è finita, già so dove vai a parare, si perde quello che è il vero gusto del teatro. A mio giudizio non ci deve essere questa presupponenza: bisogna andare a teatro o al cinema per la gioia di vedere lo spettacolo e di condividere col pubblico quell’emozione. La linea da seguire qual’è? Brutto/bello, fatto bene/fatto male, non esistono altre divisioni. Non è che se dico una battuta di Cechov o di Scarpetta di là so’ genio e di qua so’ cretino!
Adesso son sicuro che ti sarai stancato di ascoltarmi … eh lo so … mandami affanculo pure te … dai …

 

 

 

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