Un attore che sorprende: Luis Marreiros, la star portoghese dei palcoscenici di tutto il mondo

Nonostante non sia un camaleonte, Luis ha un modo di presentarsi unico: dolce ed educato sa anche fare sognare gli spettatori che lo ammirano e lo applaudono. Le sue interpretazioni ti sorprendono in modo bizzarro e particolare. Vulnerabile e caparbio sa rendere ogni sua perfomance unica!

Attore, che passione! Che pubblico favoloso, quando capisce ciò che lei, Louis esprime sul palcoscenico.

Sì, essere un attore per me è una passione. E molte volte, più che una passione, considero questo lavoro una missione di vita. Il teatro negli anni è stato per me non solo una via di salvezza dalla realtà quotidiana, dalle varie prove dell’esistenza umana, ma anche un modo di intendere queste stesse prove. Mi ha dato (e mi dà) la capacità di capire l’altro attraverso un gioco serio. E questo è per me il significato di Teatro e Vita. Dare al pubblico (gli altri, gli estranei, quelli che ti guardano e che ti ascoltano) un po’ di umanità, dare un po’ di senso alla vita ordinaria. È donare un po’ di me perché anche gli altri possano trovare la loro dimensione umana. E tutto questo attraverso un gioco serio.
Il teatro mi ha dato soprattutto il dono di non prendermi così sul serio, ma anche di cercare la profondità nelle cose più semplici. In un certo senso mi considero un attore e regista egoista. Mi spiego meglio: nel mio atto creativo cerco di capire come mi tocca lo spettacolo a cui sto lavorando, cosa provo, cosa mi dice, dove trovo somiglianze o differenze tra me, il personaggio e la storia in cui lui (il personaggio) vive. È un lavoro quasi sciamanico, di contatto interiore per capire come sono come persona. A volte è quasi un esorcismo, dove ho bisogno di tirare fuori quel “ruolo teatrale” dentro di me per capirlo, portarlo alla luce e poi dire addio alla sua presenza. E se ho la capacità di entrare in contatto con quella parte di me, quel personaggio, allora il pubblico lo accetterà e lo capirà, lo umanizzerà. E faccio lo stesso processo con gli attori con cui lavoro come regista. Penso prima all’attore, poi al pubblico. Se l’attore sente che c’è un cambiamento dentro di lui durante la costruzione dello spettacolo, sente che si è umanizzato, che ha trovato somiglianze tra i suoi dolori e i dolori del personaggio, io sono e mi sento felice. E a quel punto sono convinto che il pubblico abbia portato a casa qualcosa. Il pubblico è per me l’atto finale dell’alchimia dell’attore. È l’entità mistica a cui il personaggio si rivela, espone le sue ferite e le sue esperienze per trasformarle in Significato, Bellezza e Memoria. Il pubblico (colui che vede) è il testimone dell’Umanità e delle sue varie sfaccettature. Sta al pubblico fare qualcosa con ciò che vede! Perché l’attore ha già fatto la sua parte! Come attore e regista mi piace sperimentare diversi tipi di linguaggio e gesti. Mi piace ciò che è strano. Mi piace il corpo disarticolato. Il Butoh giapponese mi ispira molto. Le favole mi ispirano, anche i burattini. Le ombre mi dicono molto, tutto ciò che è nascosto e oscuro. Mi piace l’amore che distrugge tutto ciò che lo circonda. Mi piacciono le promesse d’amore e mi piace quando non vengono mantenute. Faccio fatica a ingoiare il lieto fine. Ma mi commuovo quando arriva. Mi interessa la spiritualità, i Tarocchi e ogni mistero di fede e superstizione, incontrare nuove persone e ascoltare le loro storie. Ma non mi piacciono le persone perfette, ho paura di loro. Mi piacciono coloro che danno il petto alle pallottole e mostrano le loro ferite, le conquiste, i difetti e le qualità. Ed è questo che voglio che il pubblico veda, tutti i colori dell’Essere Umano.

Di recente, ha realizzato in Italia dei laboratori teatrali. Potrebbe raccontare questo progetto?

I Laboratori Teatrali che svolgo qui in Italia sono una continuazione del mio lavoro in Portogallo.
Questo è quello che ho fatto finora ed è quello che conosco meglio. Non mi permetto di parlare di altri ambienti senza conoscere i fatti. Sono sempre stato nell’ambito della formazione degli attori.
Appena finita la scuola, ho iniziato a lavorare in una compagnia teatrale che lavorava principalmente con la comunità locale. Ho dei bei ricordi dei miei giorni di scuola. E ho ottimi ricordi del tempo in cui ho lavorato con la comunità. E questi progetti, con persone che entrano in scena per la prima volta, hanno uno gusto completamente diverso da uno spettacolo professionale. Primo, perché è un processo di scoperta. È un processo di spogliarsi e mettersi a nudo per la prima volta di fronte all’altro. È magico. C’è entusiasmo, vergogna, paura, voglia di conquista. C’è tutto un fermento di emozioni che non può essere spiegato.
Ed è questo che mi motiva a promuovere questi Laboratori. Dare alle persone la possibilità di provare quel liquore diabolico chiamato palco! Offrire a loro l’adrenalina di uno spettacolo, di ricevere un applauso dopo aver sentito la nudità, la solitudine, l’abbandono ai propri pensieri ed emozioni varie sul palco.

Il teatro sa di Eros e Thanatos. Entrambi portano alla libertà dei sensi.
E voglio dare alle persone l’opportunità di essere libere! Sperimentare consapevolmente cosa vuol dire essere in contatto con la dimensione Umana, la dimensione del cuore, sia essa una dimensione macrocosmica o microcosmica. Cosa c’è dentro di me, cosa c’è dentro l’altro e cosa c’è fuori.
Noi, come razza evoluta, lo sperimentiamo pochissime volte. Lavoro con tutti i tipi di persone.
Non trovo barriere nel linguaggio, nel corpo, nel colore della pelle o nell’età. A volte trovo barriere, sì, nelle esperienze di vita, nelle paure, nei complessi che ognuno ha con se stesso. Ma è lì che si trova tutto il materiale artistico. Mi piace portare alla luce queste barriere e trasformarle in espressione. L’arte è Espressione! É tutto ciò che tace e che vuole uscire allo scoperto.
Un artista è colui che è disposto a dare vita a quella cosa silenziosa che ha dentro di sé.
Mi piace quando le persone si rivelano e si esprimono. E mi piace ancora di più quando le persone vedono se stesse, e nei loro complessi, paure e gioie trovano valore, materia cruda! Oro, se vogliamo!

Lei, Luis, è nato a Faro. Vive da sempre in Portogallo? Come potrebbe definire l’arte teatrale portoghese? Ci sono secondo lei delle differenze di recitazione con quella italiana?

Ho vissuto in Portogallo fino all’età di ventiquattro anni. Sono arrivato in Italia nel 2016.
Vengo da Albufeira (FARO), una cittadina relativamente piccola nel sud del Portogallo. Zona costiera, buoni ristoranti, belle spiagge, molti bar, ma poca cultura. Non ho mai trovato l’occasione giusta per trasferirmi nella parte centro-settentrionale del Paese, dove il fermento artistico è maggiore. E così ad un certo punto, il mio “acquario” ha iniziato a diventare troppo piccolo. Conosciamo bene la storia; giovane, lavoro che dura 5 mesi, poche prospettive di crescita personale. Cultura, zero! Non riesco a inquadrare il panorama artistico portoghese, tanto meno quello italiano! Ma la verità è che vedo un interesse più vivo per le arti qui in Italia. C’è più pubblico. C’è più sete! Senza dubbio, nel panorama artistico, l’Italia è un paese ricchissimo di Arte e artisti. Ma non dimentichiamo che è tre volte più grande del Portogallo. E per certi versi più sviluppato. Ma non trovo differenze di qualità artistica tra i due. Differenze di rappresentazione? No. Lingue completamente diverse, ma l’essenza, la professione, l’artigiano è sempre la stessa! Non abbiamo infuso in noi il culto dell’opera. E questa è quasi una certezza. Paesi diversi, ma l’essenza e l’artigiano non cambiano!

Ci ricordi quali sono stati gli spettacoli più significativi dove lei ha recitato.

Posso dire che lo spettacolo che più mi è piaciuto fare è stato un omaggio a Edith Piaf, dove ho rappresentato Edith! È stata una scoperta incredibile in termini di sentimenti, passione musicale, sfida dell’attore, caratterizzazione e accoglienza del pubblico. Ho anche molti bei ricordi di uno spettacolo che ho fatto nel Regno Unito, il mio primo contatto con il teatro musicale, in una produzione semiprofessionale del musical Fame. Lo spettacolo è stato allestito in una settimana e furono giorni di completo orrore, entusiasmo, disciplina, demotivazione, dolore alle gambe, gioia. Non so se ripeterò ancora l’esperienza, ma è stata una settimana elettrizzante dove ho imparato molto e ovviamente ho avuto la mia prima opportunità di rappresentare all’estero. Lo spettacolo più onesto che ho fatto, in termini di verità della rappresentazione, è stato un monologo intitolato “O Judeu que Guardou Portugueses no Quarto de Van Gogh” della mia cara regista, maestra e autrice Luisa Monteiro. Un testo che parla del viaggio che alcuni portoghesi (della mia regione) hanno fatto in treno da Dachau fino a raggiungere i campi di concentramento nazisti. Ho sentito i brividi lungo la schiena durante lo spettacolo, ho sentito il freddo della morte e della nostalgia. È come se i morti fossero lì, davanti a me, a ricevere il tributo che nessuno gli ha dato in passato.
Questo spettacolo mi ha dato la possibilità di ricevere un premio come miglior attore a livello regionale, ma oltre a ciò ha aumentato il legame che ho con le mie origini e, soprattutto, ha aumentato il rispetto e la venerazione che ho per i dolori e ricordi delle persone.

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