Luminosa apertura di stagione al teatro Bellini con Bohème

La celebre opera pucciniana ha riscosso l’amplissimo plauso del pubblico, che ha apprezzato l’intero allestimento.

“V’entrar com voi pur ora Ed i miei sogni usati E i bei sogni miei tosto si dileguar! Ma il furto non m’accora poiché, poiché v’ha preso stanza, la speranza!” Così la celebre aria di Rodolfo, che ha intriso di sé medesima e del sogno dell’amore puro e romantico della fine dell’Ottocento (la prima di Bohème è al Regio di Torino nel 1896, direttore un giovane Arturo Toscanini)  precisa che nel momento in cui tutto si disfa, un sorriso e uno sguardo di Bellezza ricrea il mondo. Perciò dobbiamo ancora rendere mercede al Maestro e Cavaliere della Corona d’Italia Giacomo Puccini, il quale a distanza di oltre un secolo, torna a farci dischiudere il cuore: come accadde alla prima ed apertura della stagione al Teatro Bellini di Catania, la piovosa sera del 26 novembre, nei giorni in cui la Fenice inaugura la stagione veneziana col Falstaff e tristemente il San Carlo di Napoli sospende la prima del verdiano Don Carlo, per la alluvione di Casamicciola che ha causato vittime e danni.

Inaugurazione di gran livello invero, se è chiaro che il tutto esaurito dello spettacolo celeberrimo  è riuscito, come già la Tosca chiuse la pregressa stagione, a empire fino al loggione il teatro, in maniera tale da farci sognare i tempi andati, allorché nel palco numero 2 di primo ordine, sedeva Giovanni Verga con la Contessa di Sordevolo, o in platea incontravasi  il Sindaco di Catania, Giuseppe Pizzarelli, col Senatore già Ministro dell’Agricoltura Salvatore Majorana Calatabiano, ovvero i veri artefici della costruzione del teatro, fra l’attenzione dei convenuti.  Sacro Ottocento, secolo dei baffi come scrissero! Puccini del resto suscita, coi suoi drammi da Oriente a Occidente ampio entusiasmo, per aver toccato con l’arte musicale -in questo caso coadiuvato dal noto libretto di Giacosa e Illica- le corde più profonde della psicologia sentimentale e passionale dell’essere umano, nel pieno filone allora detto “verista”. Per cui poco importa se l’ispirazione dal Murger scaturisca dalla disfida musicale con Ruggero Leoncavallo (ascolteremo anche la sua Bohème, che la direzione artistica ha saggiamente scelto di dare a dicembre, come contraltare): l’operazione ha avuto buon fine ed è stata retta da perfette colonne.  La Parigi dei poeti dei pittori dei filosofi e delle fioraie, la Parigi di Luigi Filippo di Bellini e di Rossini, è l’ambientazione di codesta storia, tra le più intramontabili della lirica. Da Bohème nasce non solo un termine ma un intiero mondo: la fioraja in Luci della città è una ripresa di Mimì ma crudele, poiché abbandona il vagabondo che l’aiuta, appena essa ha la luce degli occhi perdendo quella del cuore; così Calvero (“nulla finisce: cambia soltanto…”) in Luci della ribalta muore sul palcoscenico mentre l’altra Mimì balla e trionfa: solo il genio di Chaplin ha saputo leggere nel Novecento  la tragedia del’amore dietro il sorriso.

Dalla nostra postazione di platea in questo caso spostata verso l’ingresso così da consentire -coincidenze non casuali con Carlo G.Jung– una migliore ricezione della splendida acustica della sala, puntuale l’inizio pochi minuti dopo le 20,30, l’opera in quattro quadri già allestita a Palermo nel 2019 ma qui rinverdita, si dipanò per tre ore con grande seguito di pubblico, avendo a protagoniste il soprano napoletano Valeria Sepe (Mimi), il soprano palermitano Jessica Nuccio (Musetta), il tenore Giorgio Berrugi (Rodolfo) il baritono Vincenzo Taormina (Marcello), il baritono Italo Proferisce (Schaunard), il basso George Andguladze (Colline), il tenore Riccardo Palazzo (Parpignol), il basso Andrea Tabili (Benoit); ottimo il coro interscolastico “Bellini” diretto da Daniela Giambra con la collaborazione di Antonella Guida, che hanno seguito i piccoli artisti; Maestro del Coro Luigi Petrozziello, regia di Mario Pontiggia, scene di Antonello Conte e costumi di Francesco Zito, con la direzione d’Orchestra del Maestro Fabrizio Maria Carminati, anche direttore artistico del Bellini.  E da codesta direzione, come sempre impeccabile precisa rispettosa della partitura pucciniana come il Maestro Carminati sa essere, tracciamo le nostre succinte note: in una regia che s’attènne ala tradizione (e meno male che il modernismo registico da queste parti non è gradito), se la Valeria Sepe fu una convincente Mimi, pur con qualche incertezza negli acuti ma apprezzata nel complesso, piacque assai Jessica Nuccio la quale ha delineato, nei filati purissimi nei toni limpidi  come nelle doti recitative, una Musetta perfetta, antesignana delle “Lily Kangy” del primo dopoguerra e di tutte le “sciantòse” che il Novecento creò, specialmente tra le due guerre: il teatro di rivista, da Totò a Wanda Osiris a Macario, deriva da lì. Il Rodolfo di Berrugi convinse abbastanza, pur se Taormina fu un ancor più sicuro Marcello nel suo percorso, specie verso la fine, denso e senza tentennamenti vocali. Abbiamo anche apprezzato i due bassi, pur se l’aria “vecchia zimarra” di grande drammaticità andrebbe declinata con voce più scura di quanta l’artista georgiano avesse. Carinissimo e scintillante il giocattolaio Parpignol di Riccardo Palazzo, con un trucco da puro Settecento mozartiano.  Scene, adeguate al periodo storico e di ampia caratura visiva, a parte la bicicletta nell’ultimo quadro: non poteva esserci nella ambientazione del 1830 ma il velocipede era realtà nel 1896: citazione del tutto discreta che non stonava. Buoni anche i costumi, per non dire delle acconciature e trucco del bravissimo Alfredo Danese, che han fatto risaltare le due protagoniste. Il Coro del teatro, come anche l’orchestra che giustamente il Maestro Carminati ha voluto alla fine sul palco, hanno dato il meglio della loro professionalità.  E se la serata iniziò con l’emozionante inno di Mameli, per cui fu d’uopo la mano sul petto, si concluse coi diversi minuti di applausi che ne segnarono il successo; la stagione nuova, tra Mozart, Cilea Donizetti e Verdi, si preannuncia intensa. Abbiamo apprezzato lo sforzo che compie con notevole impegno il Sovrintendente Maestro Giovanni Cultrera di Montesano, che ha voluto la Compagnia del Balletto storico “Danzando l’Ottocento” in abiti dell’epoca, per accogliere il pubblico in questa occasione; notazione positiva anche verso tutto il personale che si prodiga per agevolare in piena efficienza lo svolgimento degli spettacoli: piace in questo senso citare la abnegazione di Andrea Sciavarrello e di tutti gli altri.

In riferimento alla mondanità che non può mancare in simili occasioni, notammo -finalmente, era ora!- diversi signori in smoking, mentre gli abiti da sera delle signore non mancarono di suscitare ammirazione nei presenti; si fecero notare per la loro eleganza la baronessa Lisa Majorana Cultrera, la stilista e organizzatrice di prestigiosi eventi Gianna Azzaro e altre.  Tra i presenti il tenore Giuseppe Filianoti, il giovane soprano giapponese Kasumi Hiyane (reduce dall’ampio successo di Butterfly data nella corte del Museo Diocesano di Catania ed al castello Ursino quest’anno, perfetta e sognante Cio cio San, allieva dei maestri Costanzo e Tanaka), il giornalista Antonino Ernesto Recca, il giornalista e scrittore Giuseppe Lazzaro Danzuso, il barone Beniamino Sorbera de Corbera del Real Ordine Mercedario, l’avvocato cassazionista Isabella Altana e altri; presente la Delegazione di Sicilia e Malta della Real Casa d’Epiro nonché la Legione Garibaldina Comando per la Sicilia.

Colline dice al suo cappotto: “Mai non curvasti il logoro Dorso ai ricchi ed ai potenti. Passâr nelle tue tasche Come in antri tranquilli Filosofi e poeti”: è la lezione della Libertà che insinua Puccini anche nei quadri dello spensierato bel vivere giovanile, come è Bohème per antonomasia: un messaggio che l’umanità in ogni sua stirpe e cultura, serba immortale. Scrisse Yukio MIshima (il 25 novembre del 1970 il suo seppuku) che “il valore di un uomo si rivela nell’istante in cui la vita si confronta con la morte” e nel momento in cui, sempre il suo pensiero, “le emozioni non hanno simpatia per l’ordine fisso”, appare la realtà. Che nelle note come nella ebbrezza della stella della sera, “bella come un tramonto” dice Mimì prima di spirare, diventano il caro Ideale, ovvero purezza ed Armonia.

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