“La Sicilia al femminile e non solo…” incontra l’avv. Vicky Amendolia anche nel ricordo del padre, il giornalista Lino Amendolia

L’appuntamento mensile di settembre lo dedichiamo all’Avv. Vicky Amendolia e con vero piacere a una delle firme più importanti nella storia del giornalismo siciliano, il giornalista Lino Amendolia, attraverso il bellissimo ricordo della figlia, nostra ospite appunto di questo mese

Per  essere buoni giornalisti bisogna avere grande onestà intellettuale per narrare fatti, eventi e quant’altro anteponendo sempre grande obiettività, etica ed imparzialità. Qual è quindi la differenza sostanziale tra fare giornalismo oggi, immersi in una realtà esponenzialmente multimediale che avanza, e l’aver fatto giornalismo ieri, quello classico e tradizionale dei maestri della carta stampata? “La Sicilia la femminile e non solo…” si pone questa domanda e lo fa, cercando di segnare alcuni punti fermi, incontrando chi di questa realtà ne è stata testimone diretta, avendo avuto la possibilità di averla vissuta “dal di dentro” e quindi di potercela raccontare in maniera più dettagliata.

Siamo con l’avv. Vicky Amendolia, figlia del giornalista e scrittore Lino Amendolia, una delle firme più autorevoli del giornalismo siciliano e non solo; fu tra i primi direttori del quotidiano “La Gazzetta del Sud” (nel 1953), particolarmente apprezzato dapprima per la cronaca sportiva, poi cronaca nera e in seguito divenne una delle penne più importanti d’Italia della cronaca giudiziaria e quando era già in pensione, di nuovo per quella sportiva quale direttore dell’ufficio stampa del F.C. Messina calcio, nonché direttore di TCF Telecineforum. Una bella occasione per ricordarlo in questo incontro ed allora le rivolgiamo alcune domande:

D – Lei è avvocato e anche giornalista: quali delle due anime prevale in lei?

R – La mia professione di avvocato si è intrecciata con quella di giornalista nel corso della mia vita ma, in effetti, quella di giornalista fu la prima da me intrapresa: avevo 17 anni quando cominciai a scrivere il primo articolo e allora sarebbe stata mia intenzione proseguire con questa professione che mi è sempre rimasta nel cuore, ma papà (nonostante mi avesse fatto da maestro di giornalismo in quella fase della mia vita) aveva per me altri progetti e insistette molto affinché quella di avvocato avesse la preminenza, ma non ho mai finito di scrivere, anche perché, oltre a lavorare a Messina per lo storico indimenticabile “Il soldo” e come componente della redazione giornalistica televisiva Telespazio (direttore Silvana Polizzi)fui assunta dal Piccolo di Trieste prima e dal Gazzettino di Venezia poi, collaborando in seguito con L’Avanti! Accontentai, com’è evidente, mio padre e, per i successi professionali raggiunti, non me ne sono mai pentita, ma spesso ho nostalgia di quei tempi.

L’avv.Vicky Amendolia in un convegno del Movimento Federativo Democratico

D – Quali sono i capisaldi, le basi dei maestri della carta stampata che pensa siano essenziali e da non perdere di vista?

R Verità, obiettività, lealtà, onestà, rispetto. Ritengo che mio padre, avesse perfettamente ragione quando mi ripeteva come un mantra che dovere fondamentale di un giornalista fosse riportare la verità dei fatti con onestà intellettuale e non, come, purtroppo, ritengono molti giornalisti oggi, “interpretare la realtà”.

Il cronista non può e non deve fare a meno di riportare i fatti “nudi e crudi” nella loro interezza e l’opinionista non può prescindere dalla verità dei fatti sui quali potrà esprimere il suo punto di vista che non dovrà mai e poi mai adattare all’esigenza di chicchessia (purtroppo, oggi più che mai, sempre di natura politica) su fatti obiettivabili  senza trasmutarli con abilità, o anche solo tacendone una parte.

Va da sé che corollario del primo caposaldo è che il giornalista deve essere sempre leale e in buona fede. Non meno importante è che abbia un ottimo bagaglio culturale e non intendo riferirmi ad un titolo universitario, o a un qualunque titolo di studio, che non sono garanzia né di intelligenza né di cultura.

Deve, inoltre, essere fedele al segreto professionale su chi sono le fonti delle informazioni che assume; deve rispettare la libertà di opinione di chiunque, senza ignorarla, nel momento in cui egli non la trovi rispondente alle sue idee (o a quelle del proprio editore); rispettare i diritti e la dignità delle persone… potrei continuare, ma non farei altro che ripetere ciò che è contenuto nel testo unico dei doveri del giornalista, che molti colleghi oggi dovrebbero ogni tanto ripassare con attenzione.

A dx un giovanissimo Lino Amendolia con la moglie e nonna Lia

D – In cosa si differenzia il giornalismo attuale da quello degli anni passati? Ci sono differenze sostanziali o tanti aspetti sono come allora?

R – Tutto cambia con l’evoluzione della società e dei costumi, com’è normale che sia, ma non è necessario che avvenga “in pejus” e, soprattutto, a discapito dei principi cui ho fatto cenno prima. Oggi sono perle rare i giornalisti che non si piegano alle regole del “mercato” o meglio al malinteso buonismo del “politically correct”, concetto la cui esasperazione imbavaglia spesso la libertà di espressione e crea un ambiente non certo adeguato alla delicata libertà di stampa.

In Italia (ma non solo) a vari livelli e in varie fasce professionali, ma anche della popolazione, si soffre di “americanismo” nel senso che vige incontrastata un’ammirazione incondizionata  per modelli culturali e sociali provenienti dagli Stati Uniti (nazione nata “ieri” e che non ha, dunque, le profonde e nobili radici storico culturali della nostra… dovrebbero essere loro a copiare da noi) e a questo fenomeno soggiace anche gran parte del mondo giornalistico, sulla scorta del quale, per esempio, “si sbatte il mostro in prima pagina” per fare sensazionalismo anche quando il mostro non esiste: la chiamano “libertà di stampa” interpretando erroneamente questo sano dettato costituzionale. E così si assiste alla rovina della vita di tante persone: basti pensare che sostanzialmente non esiste più il segreto istruttorio e anzi, la maggior parte dei magistrati (nella stragrande maggioranza politicizzata e, quindi, priva della necessaria terzietà) hanno, ormai, l’insana e più che discutibile abitudine di tenere conferenze stampa nel mentre un’indagine è ancora in corso, spesso agli albori:  una persona viene processata e condannata dai media e, quindi, dalla società, perfino ancora prima che il suo caso arrivi in aula, con l’effetto che da quel momento la sua vita e la sua immagine sono per sempre distrutte e la macchia sul suo nome resterà indelebile, perfino dopo essere stato assolto con formula piena dopo anni di processi e vari gradi di giudizio. Quest’uso scellerato dei media lo trovo riprovevole, anzi vomitevole ed è purtroppo specchio della società odierna.

Stessa cosa per quanto riguarda, per esempio, le trasmissioni televisive che propongono discussioni  worldwide tese a produrre “opinione pubblica”, nelle quali soggetti che un tempo non sarebbero mai stati presi in considerazione nemmeno per dire la loro su quale metodo sia migliore per fare il caffè, starnazzano e si scannano l’un l’altro, dicendo la loro su temi che meriterebbero una cultura e una preparazione specialistica di cui costoro sono totalmente privi. Anche lo stile di queste performance è cambiato: chi è over 50 ricorderà le tavole rotonde di un tempo, quando ogni partecipante esprimeva il proprio punto di vista, con educazione e assertività, senza essere aggredito o sopraffatto da alcuno degli altri partecipanti, il tutto orchestrato da giornalisti che conducevano la trasmissione con abilità e autorevolezza.

Adesso quasi tutto il mondo dell’informazione televisiva è “circo mediatico” al servizio di questo o quel “padrone”, non certo al servizio della gente, che secondo determinati occulti intendimenti ha bisogno solo di “panem et cincerses” come si faceva nell’antica Roma: questa strategia politica demagogica serve ad “ammaestrare” il popolo e a “oppiarlo” affinché non si renda conto della sua reale condizione di oppressione e becera sudditanza.

L’avv.Vicky Amendolia in un convegno organizzato da Unibit

D – L’informazione di oggi è quantitativamente maggiore ma la qualità è andata di pari passo o presenta delle lacune…vedi fake news etc…?

R – E’ sillogico, per quanto ho detto prima, che la qualità dell’informazione giornalistica odierna sia fortemente scemata, ancor di più con l’invenzione del comodo “fake news” il fatto che esistano perfino siti che rendono il servizio di segnalare quali notizie siano tali e quali no, mentre, di fatto, si occupano di tacciare come tali notizie scomode a questa o quella lobby, la dice lunga in merito alla matrice di questa utile e insidiosa invenzione statunitense; nel nostro codice penale all’art. 656 è previsto il reato di Pubblicazione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico, basterebbe una vigilanza maggiore e appropriata e qualche condanna esemplare per ridurre il fenomeno. Io, sinceramente, non ho notizie in merito.

Altra caratteristica del giornalismo odierno rispetto al passato è la povertà del linguaggio. Le capacità di astrazione e di linguaggio hanno permesso l’evoluzione da Homo Habilis a Homo Sapiens e di ciò oggi non si tiene alcun conto e anzi pare che si facciano sforzi inauditi affinché il livello intellettivo e culturale della popolazione si appiattisca verso il basso: un popolo ignorante è più facile da gestire, un lessico povero e una capacità limitata nel coniugare i verbi limitano la persona nell’esprimere le proprie emozioni e di elaborare un pensiero complesso e articolato.

E’ vero, oggi siamo sommersi da una marea di informazioni, ma son quasi sempre pillole propinate attraverso articoli di non più di venti righe che hanno disabituato la gente a leggere, approfondire e pensare.

D – C’è un episodio della vita professionale di suo padre che ha segnato anche le sue di scelte?

R – Di  episodi ce ne sono tantissimi e quasi tutti connessi al lavoro di giornalista di cronaca giudiziaria. Dal caso Spanò, a quello di Lucio Piccolo di Calanovella, quello di Gnagnà di Cuccubello, il processo per la strage di Bologna (che papà seguì da inviato ecc.). L’elencazione sarebbe oltremodo lunga, ma fu il caso di Antonino Spanò il primo che sicuramente determinò le mie scelte: uno dei più madornali errori giudiziari, portato alla ribalta della cronaca dal giornalista Giuseppe Messina, ma alla cui liberazione contribuì non poco mio padre con articoli che fecero epoca.

In quell’occasione ebbi l’onore di conoscere personalmente il Sen. Avv. Giovanni Leone (che papà aveva convinto ad assumere la difesa di Spanò gratuitamente), fine giurista che in seguito divenne il Presidente della Repubblica: fu ospite a pranzo a casa nostra (mia madre era una cuoca sopraffina e lui un buongustaio che aveva espresso il desiderio di assaggiare il suo “pescestocco a ghiotta”) e le discussioni tra lui e mio padre, che spaziavano tra diritto, filosofia e sociologia, furono talmente affascinanti e colpirono così tanto le mia mente di quindicenne che in me nacque il forte desiderio di studiare giurisprudenza e, nel contempo, di fare la giornalista.

A dx Lino Amendolia insieme al figlio, l’avv. Giuseppe Amendolia, per tutti Pucci, noto penalista messinese

D – Quali le migliori qualità di suo padre come giornalista e questo anche in rapporto con la sua Sicilia?

R – Mio padre era un uomo di cultura eclettico: oltre a essere cronista, era opinionista su testate giornalistiche nazionali (con pseudonimo, perché aveva un rapporto di lavoro di esclusiva con la Gazzetta del Sud), scrittore e sceneggiatore (aveva collaborato con vari registi, tra cui il grande Sergio Amidei) e anche per il teatro (per esempio per Carmelo Rifici e con Nino Frassica, quando era agli inizi della professione e faceva cabaret).

Non facile enumerarle. In primo luogo era detentore di una profonda cultura enciclopedica: il prof. Salvatore Pugliatti (Rettore dell’Università di Messina, grande amico di mio padre) diceva di lui che aveva letto “tout le livres” e la sua non era un’esagerazione. Il suo studio era foderato di volumi e quelli che non riusciva più a sistemare ivi me li portavo io a casa (sono anche io una divoratrice di libri e ho ancora la bellezza di circa un migliaio di libri suoi a casa che lascerò ai miei figli che hanno anch’essi questo “vizio”, in ciò osteggiati dalla vita frenetica che fanno). Altre sue caratteristiche fondamentali erano la sua profonda umanità, la sua rettitudine morale, il profondo rispetto per le persone, la sua umiltà (cosa che lo ha danneggiato non poco in varie occasioni, ma è pur sempre una qualità ammirevole) e in ultimo, ma non ultima, il suo amore sfrenato per la Sicilia.

Lui diceva sempre che il popolo siciliano (ne sosteneva la sussistenza di una forte identità mai sopita), aveva una marcia in più rispetto ad altri perché aveva subito nei secoli le invasioni di varie popolazioni, senza farsi mai davvero dominare nel senso stretto del termine, ma,  senza chinare la testa, ne aveva assorbito tutti i tratti culturali migliori. Era orgoglioso della propria sicilianità: la Sicilia era per lui uno scrigno carico di gioielli costituiti da bellezze naturali e storico-culturali impareggiabili e uniche nel loro genere e il suo amore per Messina era stratosferico.

D – Ci vuole raccontare un episodio, un aneddoto che ricorda con piacere di suo padre come uomo o come giornalista?

R – L’episodio che mi viene in mente è legato al suo essere uomo buono e umile proteso sempre ad aiutare gli altri. Vi era una persona, avanti negli anni, che una sera si recò alla Gazzetta del Sud, chiedendo di lui per fargli leggere le proprie poesie, perché voleva il suo parere e qualche consiglio, dicendogli che lo leggeva con piacere da sempre, lo ammirava e che lo riteneva “il miglior giornalista del mondo”.Mio padre scoppiò a ridere schernendosi, ma dovette dirgli che non poteva in quel momento dedicargli tempo, perché doveva lavorare, ma gli promise che sarebbe passato da lui nel deposito che gestiva e ne avrebbero parlato. La persona gli lasciò i suoi scritti e se ne andò, convinto che non l’avrebbe più rivisto (ammise in seguito).

Le poesie erano prive di alcun pregio e si capiva che erano scritte da chi non aveva cultura, ma mio padre aveva fatto una promessa e lui gli aveva fatto tenerezza e qualche giorno dopo andò a trovarlo per discutere con lui delle sue poesie e dargli indicazioni, poesia per poesia, su come migliorarle. Ogni settimana quel signore dai modi gentili veniva a casa, restava sulla porta e consegnava a mia madre le sue poesie affinché mio padre le leggesse e lui poi, dopo qualche giorno, andava a trovarlo e gli dedicava un po’ di tempo. Gli chiesi perché lo facesse e lui mi rispose: “Quell’uomo incolto è un “poeta naturale”, un uomo buono, ha una bella anima e un cuore delicato; non mi ha chiesto altro che aiutarlo ad esprimere quello che sente e io lo faccio con piacere”. Questa sorta di collaborazione durò per molti anni, fino alla morte del “poeta naturale”.

D – Per cosa le fa piacere e ritiene giusto venga ricordato? 

R – Papà era molto popolare tanto che la gente lo fermava spesso per strada per congratularsi con lui e scambiare qualche opinione sul pezzo che avevano letto quel giorno. Gli esponenti del mondo culturale, politico e universitario lo stimavano enormemente e amavano confrontarsi con lui su vari temi, tanto che quando morì al suo funerale la chiesa e le strade limitrofe erano stracolme di gente realmente addolorata che voleva rendergli onore: mancavo solo io che colta da malore alla notizia della sua dipartita, ero in ospedale. 

“Trovo che non sia giusto che Messina lo dimentichi e, anzi, dovrebbe l’amministrazione comunale annoverarlo tra gli uomini insigni della città, intitolandogli una piazza o una strada: il suo ricordo può essere ispirazione per tanti giovani, perché Lino Amendolia era un uomo di grande personalità, oserei dire unica nel suo genere, che ha dato lustro alla sua città (che ha tanto amato) e deve essere ricordato anche per l’amore e la stima che i messinesi hanno provato per lui, per quello che era come uomo e come giornalista”.

Doveroso e sentito per noi riportare anche, dopo questa intervista, delle note biografiche di un grande messinese come Lino Amendolia. Ringraziamo l’Avv. Vicky Amendolia per questi toccanti e significativi ricordi condivisi che ci hanno tanto emozionato.

Note biografiche:

Lino Amendolia, giornalista e scrittore, a 15 anni fu assunto come stenografo dal giornalista Carmelo Garofalo, editore e direttore della storica testata  “L’Eco del Sud”, il quale, vedendo quel ragazzo, più maturo dell’età che aveva, dotato di ottima cultura per la sua età, lo avviò alla professione di giornalista insegnandogli i segreti del mestiere e facendogli scrivere i primi articoli.

Aveva 18 anni quando cominciò a lavorare a Catania per “La Sicilia” assunto dall’editore Mario Ciancio Sanfilippo,  dopo aver vinto un concorso nazionale di stenografia  prima e poi come dattilografo più veloce d’Italia. Nella testata etnea fece il proprio praticantato per l’iscrizione all’albo dei giornalisti e da lì a qualche anno pubblicò il suo primo libro “Freddo Natale” basato su una storia vera.

Quando il sen. Uberto Bonino decise di fondare la Gazzetta del Sud chiese a Mario Ciancio di segnalargli qualche giornalista di valore per la propria nuova testata e lui gli segnalò Lino Amendolia: Umberto Bonino andò personalmente a Catania per parlare con lui e convincerlo al trasferimento e fu colpito dalla verve e serietà del giovane, dalla sua preparazione e dal suo linguaggio forbito. Dopo Gino Bruti e Michele Torre, Lino Amendolia assunse l’incarico di direttore della testata messinese, per poi diventare una delle penne più autorevoli di cronaca giudiziaria.

Fra i libri pubblicati (pregevoli romanzi e racconti di cronaca giudiziaria) diede anche alle stampe il manuale di stenografia «Cima facile» edito da Signorelli nel 1966 che fu adottato in tutte le scuole professionali italiane. Già in pensione continuò la propria attività giornalistica assumendo l’incarico di direttore della televisione TCF Telecineforum e di capoufficio stampa del F.C. Messina.

Vicky Amendolia, avvocato specializzato principalmente in contrattuale, fallimentare, societario, penale societario e amministrativo.

Ha ricoperto numerosi incarichi pubblici, tra cui, in varie legislature, consulente legale di alcuni assessorati regionali, tra cui Turismo e Trasporti, Cooperazione e Commercio, Segreteria di Presidenza, Infrastrutture e Trasporti e componente Commissione lavori pubblici Regione Siciliana, nonché consulente legale della CGIL regionale. Ha redatto varie leggi regionali, tra cui il testo base della Legge quadro sul Turismo in Sicilia e quello della Legge quadro sulle Comunità montane.

Nella veste di vice-segretario regionale del Movimento Federativo Democratico (fondato dal filosofo e sociologo Giancarlo Quaranta e da Giovanni e Agnese Moro) ha collaborato con l’Anci per la stesura del disegno di legge sul Difensore civico in Sicilia; quale rappresentante del partito socialista della sede provinciale di Messina ha, altresì, partecipato alla stesura delle modifiche del codice penale per quanto riguarda il reato di violenza sessuale.

Presidente del Consorzio Unibit (consulenza di globalizzazione). Ha operato nell’interesse di aziende italiane e straniere (particolarmente nel settore dei pubblici appalti) con i paesi del nord Africa e ha avuto lo studio a Malta dal 1992 al 2001, nonché con la Romania dal 1992 al 1995. E’ stata componente del direttivo nazionale del Movimento Federativo Democratico, nonché componente della Commissione Giustizia per la quale ha condotto studi sulla tutela dei microdiritti e sulla figura del Difensore civico, ricoprendo anche questo ruolo per condurne una sperimentazione in Sicilia.

E’ anche giornalista pubblicista dal 1974 e ha lavorato presso diverse testate giornalistiche, tra cui Telespazio, Il Soldo (con una propria rubrica satirica “In salsa piccante”, di cui ha la proprietà intellettuale), Il Piccolo di Trieste, Il Gazzettino di Venezia, L’Avanti!

Ha ricoperto l’incarico di responsabile di vari uffici stampa, tra cui quello della sede provinciale di Messina del PSI. Attualmente collabora saltuariamente con la gloriosa testata giornalistica L’Eco del Sud, fondata dal giornalista Carmelo Garofalo, la stessa testata dove suo padre, Lino Amendolia (appena quindicenne) cominciò a lavorare prima come stenografo, poi come giornalista.

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