“Giano Bifronte” il libro di Licia Aresco Sciuto. La storia parla di te!

DE TE FABULA NARRATUR: Il lettore che volesse rendersi conto, in estrema sintesi, del contenuto di questo volume, non ha che da soffermarsi sulla sua copertina, nella quale in via simbolica si racchiude il senso della vita umana, delle sue finalità, della sua ricchezza. Cop Giano Bifronte OK (2)
Non è una copertina esornativa: è, come certe simbologie pittoriche del Rinascimento, una avvertenza tacita, destinata a sorprendere chi da un libro di racconti si attende solo una serie di avventure certamente realistiche, e non, soprattutto esemplari: dove il realmente vissuto si intrecci continuamente con la libertà dell’immaginazione, perché un racconto che non abbia solo finalità commercialmente ricreative, deve trasmettere immaginazioni, speranze, sorprese, convinzioni.

E questo libro di Licia Aresco è un mosaico scintillante di gioia di vivere, di autentiche speranze, di affetti sinceri. Il ritratto di una vita che ha attraversato stagioni diverse: la civiltà contadina che ancora sopravviveva in Sicilia dove le autostrade erano una realtà lontana, quasi mitica; e dove i sentimenti si conservavano schietti non turbati ancora dalla tempesta delle immagini mediatiche, volutamente false, quanto apparentemente seducenti.

Questo libro non è una ricerca del tempo perduto. È stato scritto oggi. Non è un libro di inutili malinconie. Ma ne indica tutte le delusioni. È un libro che vuole coinvolgere il lettore nel cammino creativo, dunque declina al presente quel che normalmente viene proposto nei tempi storici.

L’autrice, come tutti gli autori di creazioni letterarie, regge le fila delle vicende sentimentali, ne propone gli esiti, fausti e nefasti che siano. Ma lascia al lettore la facoltà di decidere, come facevano anche i classici quando modificavano i miti inveterati, riscattando la virtù di Elena, il dolo di Ulisse, come hanno fatto nei rispettivi secoli Euripide e Pascoli.

L’Autrice non racconta miti, ma esperienze quotidiane, che dunque sono affascinanti perché se ne avverte subito la verità. Ma accanto ai sentimenti lirici fa comparire gli aspetti taglienti della realtà umana più prosaica. Queste pagine non hanno il sapore dolciastro della narrativa romantica; non sono avvelenate dal cupo pessimismo degli scrittori funesti. Lasciano decidere al lettore. L’impianto narrativo è evidentemente realistico: ricorda i tratti di quella civiltà precedente alla globalizzazione, quando le conoscenze, i lavori, gli spostamenti, tutto insomma, aveva una lentezza oggi irripetibile; quando si vivevano gli entusiasmi, giorno dopo giorno; o se ne riconoscevano gli amari tramonti nel corso di interminabili stagioni.

Ognuna delle novelle ha un doppio finale, di senso contrapposto. Spetta al lettore scegliere quello che ritiene più appropriato. Come hanno fatto i classici da Omero a Dumas. Ma qui la scelta non si rimanda al sequel, ma è raccolta nelle ultime pagine di ogni narrazione. Con un esito felice e con uno che non lo è.

Perché questo? Per quel motivo che risuona come titolo di questa nota: il protagonista della vicenda è il lettore. La narrazione propone vicende, sentimenti, entusiasmi, dolori. Ma, come avviene nella vita quotidiana, ognuno ha la libertà di scegliere l’indirizzo che ritiene più opportuno. E siccome sicuramente ogni lettore leggerà le due possibili conclusioni, comprenderà che nelle cose umane chi decide non è un anonimo Destino, ma lo stesso soggetto che si fa trascinare dalle inclinazioni, dalle simpatie e non sempre ne scorge le trappole. Il libro dunque non è ordinaria narrativa dove affetti e passioni si intrecciano, ma richiama il libero arbitrio umano a rendere conto a se stesso delle proprie scelte.

E per questo va letto e riletto. E soprattutto va considerato nelle sue prospettive. È stato scritto con viva maestria stilistica, con affettuose sfumature sentimentali, con la serena pacatezza di chi ha vissuto intensamente i decenni dei sogni, delle speranze la cui realizzazione sembrava prossima. Un libro dunque dalla superficie levigata e dalla sostanza solida come nelle pagine di Pascal. Il lettore che considera la letteratura non come puro intrattenimento avrà già compreso che su queste pagine troverà un ritratto delle speranze e delle delusioni che a tutti sono comuni sicché lui (il lettore) non potrà isolarsi in una beata, irresponsabile, quanto irreale, torre d’avorio.

È la caratteristica della vera letteratura: come silenziosamente avvertito dalla copertina.

La immagine di copertina è tratta da un celebre dipinto di Nicolas Poussin (1594-1665) intitolato La danza della musica del tempo, realizzato tra il 1634 e il 1636, attualmente conservato in Inghilterra. Si tratta di una allegoria della vita, con le immagini delle stagioni, (o delle età della umana esistenza) con un Giano bifronte e altri simboli. Quadro neoclassico, nel pieno rigoglio del rinascimento italiano di cui il pittore francese, come il conterraneo Claude Lorrain (1600-1682), fu nobilissimo interprete. Il soggetto del dipinto era stato proposto da Giulio Rospigliosi (1600-1669), rampollo di una ragguardevole famiglia di Pistoia, fin da ragazzo avviato ad essere principe della Chiesa. Che cosa voleva che il geniale pittore raffigurasse? La mutabilità della vita e la responsabilità delle scelte.

Il Rospigliosi attorno al 1639 non poteva immaginare quel che sarebbe successo. Prima di diventare cardinale visse tra le lotte (le beghe), i trionfi e le miserie della politica romana e internazionale, ma sapeva osservare con il regard éloigné della sua vasta cultura. Scriveva. E trasferiva nella scrittura le immaginazioni, le considerazioni, la sensibilità sociale che la frequentazione dei maestri gli aveva reso familiari. Scrisse delle commedie, le fece anche rappresentare con gran successo nel teatro dei Barberini, nel loro palazzo principesco. Con tale successo che ne fece diverse edizioni. Storie eroiche come Chi soffre speri (1637), che furono coperte di melodie divenendo opere liriche. Ma: all’interno delle studiate rime, dei caratteri eroici, degli amori intrepidi e di tutta quella onesta finzione – che è rimasta tipica del melodramma italiano almeno fino alla Madama Butterfly e alla Cavalleria Rusticana – , inserì delle parti comiche in cui personaggi popolari affrontavano i problemi della vita con il ruvido buonsenso di chi fatica per campare. È quello che il Manzoni ha fatto mettendo don Abbondio e la sua Perpetua a poche pagine di distanza dal Cardinale. Non basta. Due di questi popolani (nell’opera teatrale del Rospigliosi), parlano in dialetto (cosa che Mascagni non ha osato fare con il carrettiere di Vizzini), anzi parlano due dialetti: bergamasco l’uno e napoletano l’altro. E lì la saggezza popolare si confronta con gli epifonemi letterari. La verità autentica e la retorica si scoprono. È la vita reale che sfronda le convenienze retoriche. Conferisce verismo sostanziale alle formalità artistiche.

Ecco spiegata, visivamente, la doppia soluzione delle novelle di Licia Aresco: è l’assunzione della responsabilità. Il destino siamo noi; le nostre scelte, sono più o meno consapevolmente motivate. Non possiamo tirarcene fuori. Nella fine tragica di certe vicende, nell’esito positivo possibile per le medesime non possiamo assumere la posizione comoda di chi sta dall’altra parte dello schermo e si gode lo spettacolo. E per chiarire meglio le cose chi scrive queste annotazioni deve aggiungere una nota esplicativa. Giulio Rospigliosi divenne cardinale, legato alla casata patrizia dei Barberini, e fu scelto come papa tre anni prima di morire. Impostò la sua opera evangelica con la stessa umanità e filosofica serenità che era stata sua fin dagli anni giovanili. La saggia serenità l’umana solidarietà sono anche le caratteristiche salienti della letteratura di Licia Aresco.
Nelle sue “novelle” si riconoscono i dettagli di persone autentiche, di vicende reali, da non giudicare secondo i luoghi comuni delle mode prevalenti. Bisogna assumersi le responsabilità. Non come lettore-spettatore, ma come testimone della vita nella quale siamo intrecciati. Le tragedie o i sorrisi che ci circondano dipendono (anche) da noi.

92493115_2590274081292270_6419191965220339712_nLicia Aresco Sciuto bionasce a Trieste e vive in Sicilia, a Catania. Da questa sua “diplopia originaria ed esistenziale“, supportata dall’amore per i viaggi che intraprende in qualsiasi periodo dell’anno e nei luoghi più disparati della Terra, dà vita ai personaggi delle sue novelle, spesso alla ricerca di un io interiore, ma sempre cittadini del mondo…
Anche per la sua cultura e i suoi studi, ha scelto ecletticamente i saperi più disparati, spaziando dagli studi di Giurisprudenza a quelli di Medicina, da Interior Designer ad Organizzatrice di Eventi, a socia e Presidente di Club Service internazionali ed Associazioni di Volontariato. A Licia Aresco Sciuto è stato assegnato nel 2011 il “Premio internazionale Nino Martoglio”, per il libro In amore succede…, nel 2014 il “ Premio Angelo Musco”, per il libro Le mie piazze metafisiche, nel 2016 Menzione Speciale “Premio Ercole Patti”, nonché numerosi altri Premi e Attestazioni di merito in campo nazionale ed internazionale.
Nel 2027, vede la luce il suo ultimo impegno letterario, Bellissima, una raccolta di novelle e poesie, il cui fil rouge ruota, appunto, sul concetto di creatività, espressione di una matrice feconda che sa produrre e nutrire, un sentimento che travalica i segni del tempo…

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