Esprimere le proprie emozioni in Jazz secondo Rita Marcotulli

Wyton Marsalis nel suo “Come il Jazz può cambiarti la vita” (Feltrinelli, 2008) scriveva:
“Non è solo musica, il jazz. È anche un modo di stare nel mondo, e un modo di stare con gli altri. Al cuore della sua filosofia ci sono l’unicità e il potenziale di ciascun individuo, uniti però alla sua capacità di ascoltare gli altri e improvvisare insieme a loro. È stato creato dai discendenti degli schiavi, ma sa parlare di libertà. È figlio della malinconia e del blues, ma sa lasciarsi andare alla felicità più pura. Le sue radici sono nella tradizione, ma la sua sfida è la continua innovazione. E anche se vive di tensioni armoniche e ritmiche, ha saputo e sa essere ancora messaggero di  pace.”

Partendo proprio dal jazz abbiamo intervistato Rita Marcotulli.

Per Rita Marcotulli cos’è il jazz e in che misura la sua cultura prende forma nel quotidiano del musicista e dell’ascoltatore.


“Per me il jazz o improvvisazione, o suono, è la mia maniera di esprimere le emozioni. Belle o brutte ..sincere  sofferenti i 
sogni. La mia vita. Parlare con le note il mio modo di capire, di curiosare di osservare tutto e tutti per capire di più e sopratutto imparare ad ascoltare gli altri . Perché quando si suona insieme agli altri avviene uno scambio di energia  così profondo, così magico, difficile da esprimere a parole. È come percepire un’altra dimensione.  È preghiera, misticismo, il vero senso della libertà si vibra … come in amore. Dal punto di vista culturale :il linguaggio del jazz nasce in America da afro americani che hanno raccontato le loro storie e che hanno inventato un linguaggio ed un genere musicale  quello è il jazz . Ma io credo che l’arte è figlia dei tempi. E anche la collocazione geografica culturale influisce moltissimo. Penso a M. Davis, una musica assolutamente metropolitana newyorkese; o Jan Garbarek per esempio: sentire la sua musica ti porta nei fiordi della Norvegia, suoni lunghi distese di foreste.Quello che voglio dire, e  che trovo importante, è cercare la propria voce nonostante sia fondamentale conoscere il linguaggio del jazz. Ma è altrettanto fondamentale evitare che diventi una musica solo di stile, legata solo al fraseggio. Come recita Picasso il cattivo artista è quello che copia! Il bravo è quello che ruba!”

 

La musica è stata sempre presente nella vita di Rita Marcotulli. Il padre, tecnico del suono, le ha permesso di vivere in un ambiente in cui le è stato possibile sviluppare la sua sensibilità artistica su diverse prospettive, come quella cinematografica: la colonne sonore di “Nanà” di Jean Renoir (1926) e di “Basilicata Coast to Coast” di Rocco Papaleo (2010), e l’omaggio al regista François Truffaut hanno accompagnato i sentimenti legati alle immagini di un “mondo fittizio” – avvalendomi dell’accezione pirandelliana – delineandone ed accentuandone i contorni in musica.

Un lavoro eseguito più per passione o volto a  trovare un equilibrio in cui collocare le tue composizioni in una dimensione ben determinata e riconoscibile?

“All’inizio non mi pongo  il problema  di come la musica deve essere. La devo sentire: questo è quello che cerco! La musica. La mia personale opinione  per me non deve essere una dimostrazione di bravura, di virtuosismo. Non è dimostrare di essere bravi, ma è esprimere ciò che davvero si sente .”

Se la tua carriera artistica fosse la trama di un film, quali brani ne traccerebbero la colonna sonora?

“Ma per ognuno di noi c’è la trama del proprio film. La musica in questo caso me la scrivo da sola e accompagna ogni momento della mia vita o del mio film costantemente, poi nei momenti di festa mi piace mettere la musica pop o brasiliana, come James Taylor, Elis Regina, P. Gabriel, Joao Gilberto. Oppure la musica classica impressionisti o contemporanei, musica indiana e africana. E naturalmente jazz. Ma scelgo la mia musica in funzione degli stati d animo.”

Dall’inizio degli anni ’80 il curriculum artistico di Rita Marcotulli riporta la sua collaborazione con artisti nazionali e internazionali tra cui John Christensen, Steve Grossman, Joe Lovano, Michel Portail, Enrico Rava, Aldo Romano, Pat Metheny, Pino Daniele, Roberto Gatto, Ambrogio Sparagna, Bob Moses, Charlie Mariano, Marylin Mazur, Dewey Redman.

A chi ti senti maggiormente legata e perché, sia sotto il profilo umano che musicale.

“Dewey Redman è stato senza dubbio un grande amico, maestro e fonte di ispirazione; con grandissimo senso dell’ umorismo… non ho mai riso cosi tanto… una persona straordinaria !!! Con lui il sodalizio e’ durato 15 anni…Finché lo hanno voluto a suonare in Paradiso. Ma non solo. Pino Daniele anche è stata un’esperienza lunga, diversa ma anche profonda e di crescita. Come il mio periodo in Scandinavia con Palle Danielsson, Marylin Mazur ecc. o anche Billy Cobham, musica ancora diversa ma anche con lui ho suonato nel suo gruppo per 2 anni in giro per il mondo. Ogni esperienza ha portato un colore in più da aggiungere al mio quadro.”

Essere Musicisti è una missione destinata anzitutto ad accrescere quello che è il grande libro della Storia della Musica, diffondere una cultura e lo stile di vita che ne consegue, sollecitando il cuore e la mente dell’ascoltatore. E Rita Marcotulli in questo è Maestra.

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