Alessandro Preziosi e Vincent Van Gogh: l’affascinante inquietudine senza tempo dell’Arte

“Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco” con un brillante Alessandro Preziosi al Teatro Vittorio Emanuele di Messina su un intenso testo di Stefano Massini per la regia di Alessandro Maggi

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Dopo una lunga tournée in tutti i principali teatri italiani ed aver riscosso ovunque un grandissimo successo, fin dal debutto a Napoli e poi al Festival di Spoleto nell’estate del 2017, lo spettacolo teatrale “Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco” è giunto anche al Teatro Vittorio Emanuele di Messina mercoledì 22 gennaio (in replica il 23 e il 24). Con la produzione di Khora e TSA Teatro Stabile D’Abruzzo, per la regia di Alessandro Maggi e la supervisione artistica dello stesso Alessandro Preziosi, la pièce teatrale è tra i primi testi di Stefano Massini che, nel 2005,  vinse il Premio Riccione Teatro “Pier Vittorio Tondelli” per «la scrittura limpida, tesa, di rara immediatezza drammatica»: un’opera coinvolgente, penetrante, non priva anche di una delicata poetica.

Il cuore del testo ruota attorno ad uno degli artisti più famosi di tutti i tempi, Vincent Van Gogh: immenso ed universale, nell’immaginario collettivo rappresenta l’artista moderno per eccellenza che identifica la sua arte con la sua vita, vivendo l’una e l’altra completamente e con profonda drammaticità.

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Una gran bella sfida la complessità di Van Gogh per un artista e per un attore che gli si accosta per interpretarlo. Un’affascinante sfida a cui il grande talento di Alessandro Preziosi, che ne ricopre il ruolo, ben risponde prestando tutto se stesso, per un’ora e mezza sempre sul palco: si muove ed interpreta il suo Vincent con tutto con il suo corpo ed appropriata mimica anche nei dettagli (da notare i movimenti dei piedi e delle mani), accartocciato su se stesso e bravissimo nel saper rendere uno stato mentale alterato tra squarci di pura genialità e il manifestarsi della malattia. Preziosi cattura totalmente l’attenzione dello spettatore nel ripercorrere e rappresentare  la fragile natura e l’irrequietezza della vita di Van Gogh.

La vicenda è collocata temporalmente nel 1889 quando Vincent Van Gogh, a 36 anni, viene internato (dall’8 maggio indica il testo) presso l’ospedale psichiatrico nel manicomio di Saint-Paul-de-Manson, a Saint-Rémy-de-Provence, località molto vicina alla sua amata Arles. Risale a qualche mese prima l’episodio in cui la partenza improvvisa di Paul Gauguin (con cui aveva iniziato un intenso sodalizio artistico) gli procurò una grande crisi per cui si tagliò il lobo di un orecchio: probabile primo acceso grido e traccia di un’inquietante e crescente follia.

Nel presentare i vari personaggi già nel testo l’autore, Stefano Massini, li associa ad una caratteristica “cromatica”: Vincent Van Gogh è la disperata sete di colore, il fratello Theo è una pacifica innocenza del colore, il Dottor Peyron è una traccia di colore nel bianco, il Dottor Vernon-Lazàre senza colore è natura morta e gli infermieri Gustave e Roland, barili di birra e spreco di colore.

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Ma il bianco (che è luce, assoluto valore di chiarezza) e il nero (che è buio, assoluto valore d’oscurità) sono le due posizioni estreme della tavolozza cromatica in cui, pur appartenendo ad essa, il colore si perde e, nello stesso tempo, sono le due realtà in cui lo stesso Van Gogh vive, ed è costretto a vivere, i giorni di reclusione nella casa di cura.

Ecco quindi che “L’odore assordante del bianco” non è solo una sinestesia, un’associazione espressiva tra due parole attinenti a due diverse sfere sensoriali, non è solo quello che può sembrare un artificio letterario ma appena si apre il sipario se ne comprende in pieno il significato.

Dal buio del palcoscenico un raggio di luce illumina la figura di Van Gogh che, vestito di bianco, rotolando sul piano del pavimento è accompagnato dalla voce fuoricampo di una bimba che annuncia: «É stato ammesso oggi in ospedale il signor Vincent Van Gogh, trentasei anni. Egli è colpito da manie acute, con allucinazione della vista e dell’udito: si reputa incapace di vivere e gestirsi in libertà. Necessita sottomettere il soggetto a prolungata osservazione psichiatrica».

Poi, su un dialogo tra Vincent ed il fratello Theo, tutto si illumina su uno spazio racchiuso in un unica grande scatola scenica, un abbagliante e “bianco” ambiente come lo è anche il pavimento: un piano inclinato in una pendenza che pare arrivare fino in platea. Poi tre pareti dove, sul fondale, è ripreso il quadro “Campo di grano con volo di corvi”, sempre in bianco: non c’è altro sulla scena, non c’è nulla se non una pianta anch’essa con bianchi fiori.

Una totale assenza del colore che per un pittore è come non avere ossigeno, una sorta di granitico “castello bianco” che racchiude una dimensione di grande sofferenza che finisce con scardinare l’artista dalla realtà e da cui Vincent vuole disperatamente fuggire, implorando il fratello Theo ad aiutarlo in questo.

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Un grande lavoro fisico e mentale quello di Alessandro Preziosi in quest’opera che porta in scena una sorta di thriller psicologico attorno al tema della creatività artistica. Come risultato vi è una perfetta sovrapposizione, dall’inizio alla fine, fra l’attore e il personaggio che ben restituisce realisticamente l’angoscia e il tormento continuo del pittore e ci immerge nella sua  controversa e profonda personalità. Non facile reggere tale dimensione anche per gli altri attori in scena che, nondimeno, durante tutto lo spettacolo hanno tenuto un ritmo ben saldo ed equilibrato: Francesco Biscione (il dottor Peyron), che ha saputo dare particolare profondità al personaggio come anche significativamente importanti, nei rispettivi ruoli, sono stati Massimo Nicolini (Theo Van Gogh), Roberto Manzi (il dottor Vernon-Lazàre), Leonardo Sbragia (Gustave) e Antonio Bandiera (Roland).

La regia di Alessandro Maggi ha ben orchestrato il tutto con perfetto equilibrio tra testo, scena, luci e musica. Valerio Tiberi e Andrea Burgaretta hanno gestito le luci in modo da rendere ciò che vive Van Gogh in ogni momento, mentre la musica, che Giacomo Vezzani unisce ai rumori (quali il battito del cuore), ben esprime i passaggi di pensiero del protagonista trasportando lo spettatore nel sentire del pittore.

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Le scenografie di Marta Crisolini Malatesta rappresentano perfettamente il freddo e gelido ambiente che accerchia ed intrappola l’artista tramite il bianco del colore cosi come è altamente significativo il rilievo del dipinto “Campo di grano con volo di corvi” che ricopre la parete di fondo: incombente e funesto presagio di quella che sarà la drammatica fine di Vincent Van Gogh l’anno successivo, proprio in quel campo di grano, il 29 luglio 1890.

Una gran bella operazione artistica che alla fine chiude il sipario tra i tantissimi applausi del pubblico, attento e col fiato sospeso fino all’ultima battuta dell’epilogo finale (che non sveleremo), ed offre un’occasione che consente di “sentire” e meglio avvicinarsi all’intensità del percorso artistico ed umano di Vincent per meglio capire e “sentire” cosa intendesse quando scriveva, tra le tantissime lettere, all’amato fratello Theo «…per il mio lavoro io rischio la vita e ho compromesso a metà la mia ragione…».

Van-Gogh-Notte_stellataSi aprono inoltre considerevoli opportunità di riflessione sul rapporto tra le arti e sul quale sia, nello specifico, il ruolo dell’artista nella società contemporanea, quali rischi contempla la ricerca pura e, quindi, cosa comporta la nascita di un processo creativo… E certamente, dopo questa esperienza di indubbio arricchimento culturale e personale, magari qualcuno di noi osserverà con occhi diversi ed “ascolterà” con più attenzione l’immensa, prorompente e sconvolgente energia delle opere di Van Gogh, come nella “Notte stellata” (Saint-Rémy, giugno 1889) dove se “ascolti” con attenzione… puoi sentire all’unisono tutte le voci dell’Universo.

Teatro Vittorio Emanuele:

Mercoledì 22 gennaio 2020, ore 21:00 – Turno A

Giovedì 23 gennaio 2020, ore 21:00 – Turno B

Venerdì 24 gennaio 2020, ore 17:30 – Turno C

 

ALESSANDRO PREZIOSI

in

VINCENT VAN GOGH,

L’ODORE ASSORDANTE DEL BIANCO

di Stefano Massini

con Francesco Biscione

e con Massimo Nicolini, Roberto Manzi, Leonardo Sbragia e Antonio Bandiera

scene e costumi Marta Crisolini Malatesta

disegno luci Valerio Tiberi e Andrea Burgaretta

musiche Giacomo Vezzani

supervisione artistica Alessandro Preziosi

regia Alessandro Maggi

produzione Khora e TSA Teatro Stabile D’Abruzzo

durata 90 minuti atto unico

Vincent Van Gogh manifesto

 

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