Aldo Naro e il treno con il passeggero sbagliato

Trovarsi in quel posto, in quel momento e avere il corso della propria vita cambiato.

Può accadere in positivo o in negativo, come ci insegna il film “Sliding doors” ed è quello che, negativamente, è accaduto a Palermo la sera dello scorso sabato, giornata in cui si festeggiava il carnevale e san Valentino.


Aldo Naro
, neo laureato in medicina con il massimo dei voti e lode, ad appena 25 anni è stato preso a calci e pugni da un 17enne che lo ha ucciso.

Potremmo dire, ora che il giovane 17enne, che, nel momento in cui a San Cataldo si celebravano i funerali del promettente medico, si è recato al tribunale per i minorenni di Palermo con i genitori e un avvocato e ha confessato di aver sferrato quel calcio mortale, “giustizia è fatta“.

Ma non è così. Qui ci sono due vittime.

Aldo in primis, che ormai non potrà più raggiungere i propri obiettivi professionali e di vita e la cui morte addolora le molte persone che lo conoscevano e amavano. 

Il minorenne dello Zen che ha compiuto tale atto criminoso. Figlio di un pregiudicato per stupefacenti, durante l’interrogatorio ha dichiarato di non essere “andato li per impelagarmi in una situazione del genere” e di “chiedere scusa alla famiglia, desiderando il loro perdono”. 

 

In queste ore in molti, anche sul web, sono diventati giudici e sociologi: si discute sulla provenienza del ragazzo da un quartiere difficile, come se questa fosse la certezza del motivo per cui ha sferrato quel pugno.

Rassicura molti genitori della società “bene” che quel giovane venga da una zona i cui abitanti “tirano la carretta” e che porta a generalizzare e pensare che la delinquenza di uno sia di tutti.

Non è così, cari genitori “bene”.

Quel pugno poteva essere sferrato da chiunque e in fondo Perugia, Erika e Omar, la baby gang romana, sono sì figli della società del consumo, ma anche di ottime famiglie.

Sia chiaro, nessuno giustifica il giovane dello Zen che ha ucciso Aldo Naro. Nessuno potrà mai giustificare la violenza e ancor più la violenza ingiustificata.

Ma non si può accusare un intero quartiere. Non ci si può girare dall’altra parte di fronte alla mancanza di accoglienza, sensibilità che i giovani di ovunque vivono e che forse, non sanno neanche come trasmettere.

Questa storia dove far riflettere ognuno di noi, perché per uno scherzo, per una bravata, così come con delle parole, si può uccidere un uomo.

La goliardia, l’euforia, miste da risa, alcol e chissà cosa, possono portare a ciò e a nessuna possibilità di riflessione nel momento in cui si sta compiendo “quel” gesto che sta cambiando la propria vita e quella altrui. 

E’ successo sabato sera a Palermo. 

Sempre a Palermo è successo tanti anni fa, che un uomo, Francesco Viviano, anche lui di un quartiere difficile, ha deciso di non premere il grilletto e di non vendicarsi, cambiando vita.

Ma questa è un’altra storia. Con lieto fine.  

 

 

 
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