Definita dal critico Leonid Grossman “una delle storie di disperazione più potenti nella letteratura universale”, La Mite è un racconto poco noto, ma di infinito spessore, di Fëdor Dostoevskij ed è uno dei primi flussi di coscienza mai scritti. Questo racconto affascinante e avvolto da un nichilismo tragico è al centro della pièce che, con l’adattamento e la drammaturgia di Valeria La Bua (che cura anche la regia insieme con Davide A. Toscano), vede in scena gli attori Giovanni Arezzo e Alessandra Pandolfini.
Lo spettacolo, prodotto da Teras Teatro in collaborazione con Associazione Città Teatro, andrà in scena venerdì 19 e sabato 20 aprile, ore 21, al Piccolo Teatro della Città. La storia comincia con un uomo che porta in scena il cadavere della moglie, appena suicidatasi (si è gettata dalla finestra, tenendo tra le mani un’immagine sacra). Il flusso del suo racconto sarà il tentativo di ricomporre la realtà, di capire il motivo del gesto della donna.
I due si erano conosciuti presso il monte dei pegni dell’uomo, che faceva lo strozzino: la donna andava da lui per chiedere dei soldi in cambio di piccoli oggetti. Attratto dalla sua giovane età e dal suo carattere mite, l’uomo decide di sposarla, sottraendola a due zie cattive e alle attenzioni di un vecchio bottegaio. La storia va avanti svelandoci poco a poco la verità…
Si tratta di un testo che, come scrivono i due registi, “disvela, con conoscenza chirurgica, i rapporti di potere – a volte nascosti – che si celano dietro un rapporto di coppia”. E lo fa attraverso un protagonista che ha perso il suo posto nel mondo, in cerca di una vendetta nei confronti della società e attraverso una donna – la Mite, appunto – che lui ha scelto, appositamente giovane e ingenua, per essere totalmente sua».
«Ciò che è certo – dicono i due registi – , è che in questo racconto l’altro rimane un enigma insondabile, profondo e oscuro. I pensieri della Mite ci rimangono ignoti fino alla fine: quali fossero i suoi sogni, i suoi desideri, le sue paure e le sue emozioni, tutto ci è ignoto. Il suo punto di vista è totalmente eclissato, sommerso dalla logorrea del protagonista. La sua “scomparsa” ricorda quella delle vittime nei casi di femminicidio, in cui a prendere rilevanza, a riempire le prime pagine è soltanto la figura dell’assassino”.
«La regia – continuano – mette l’accento su questa scelta di Dostoevskij, dando voce solamente al protagonista maschile, interpretato da Giovanni Arezzo. Costui, uno dei tanti uomini del sottosuolo che caratterizza la produzione del maestro russo, è un personaggio sordido ma allo stesso tempo animato da buoni propositi, e, forse, dotato perfino di un animo nobile. E’ però la relazione col mondo esterno, con la società, a viziarne il carattere, a renderlo tormentato, severo e, infine, vendicativo nei confronti di una donna che sarebbe stata disposta ad amarlo. La figura insondabile della Mite, sempre accanto a lui, ma chiusa nel silenzio della propria infelicità, sarà interpretata da Alessandra Pandolfini. A lei toccherà il compito, in un certo senso, di “condurre” il ricordo dell’uomo. Questi due personaggi, marito e moglie, uomo e donna, si fronteggiano come due duellanti: costretti a combattere tra di loro, ma “umani troppo umani” in cerca di comprensione, salvezza o, forse, più semplicemente, amore».
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