Inaugurata con grande afflusso e gradimento del pubblico la stagione lirica del “Bellini” di Catania con “Carmen” di Bizet

Una regola di prudenza vigente tra impresari teatrali (enti, imprese o imprenditori) suggerisce non discostarsi dal repertorio per evitare fischi e fiaschi, insieme e senza equivoco: un’operazione culturale modesta che espone a raffronti talora pericolosi.

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Carmen di Georges Bizet, forse l’opera lirica più rappresentata al mondo, del ristretto numero in cui la protagonista è un mezzosoprano, è il titolo che ha inaugurato la stagione di lirica e balletti del teatro “Bellini” di Catania.

La cronologia della rubrica di Giuseppe Montemagno sul libretto di sala, “Prima che si alzi il sipario” dice il titolo assente dal “Bellini” dal 2012, quando l’allora direttore artistico e direttore del melodramma Will Humburg osservò “la musica spagnola più celebrata l’hanno scritta i francesi”, con evidente allusione anche al Bolero di Maurice Ravel, nativo di Ciboure sui Pirenei.

Il parigino Bizet, pur privo di contaminazioni di confine, con l’opéra-comique Carmen, che fu anche il suo canto del cigno, conseguì il successo che avrebbe meritato già prima.

Con Carmen, a parte i suoi storici estimatori (Halévy, Offenbach, Gounod, Berlioz) ottenne il plauso di Nietzsche, Čajkovskij, Puccini, Brahms e un giovanissimo Sigmund Freud. Un successo che non poté godere a lungo: alla 33.ma replica, all’età di 37 anni, morì di angina pectoris, malanno che lo affliggeva da 18 anni.

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L’opera andata in scena, nella versione Ernest Guiraud (recitativi musicati), con Fabrizio Maria Carminati sul podio, Luigi Petrozziello maestro del coro, Daniela Giambra per il coro di voci bianche; nei ruoli: Anastasia Boldyreva (Carmen), Gaston Rivero (Don Josè), Daniela Schillaci (Micaela), Anna Delfino (Frasquita), Albane Carrère (Mercédès), Simone Alberghini (Escamillo), Filippo Lunetta (le Dancaire), Saverio Pugliese (le Remendado), Claudio Mannino ( Moralès), Gaetano Triscari (Zuniga).

Se la parte canora e musicale è stata di assoluta qualità, non si può dire lo stesso della regia di Luca Verdone che si è avvalso dei movimenti di scena predisposti con accuratezza da Giusy Vittorino: la successione di quadri e scene è stata, come dire, segmentata; è mancato l’evolvere e precipitare degli eventi in consequenziale fatalità per la quale è improprio omologare la morte della protagonista come femminicidio: Carmen, guappa e guapa, violenta e sprezzante, vuole tutto e subito, non ha timore di frequentare delinquenti e uomini d’arme d’offesa e difesa, irriverente nei confronti del potere e dell’ordine costituito, dandosi a tutti a suo capriccio, asseconda il proprio istinto e calpesta i sentimenti; alla fin fine se l’è cercata e l’ha voluta.

Padrona della scena e dei propri mezzi vocali, la Boldyreva ha reso il proprio personaggio con fiero cipiglio, sottolineandone la sensualità macchiando talora la voce con quell’inchiostro della raucedine necessario a farne intendere la singolarità e la forza.

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Sulla Micaela di Daniela Schillaci è doveroso soffermarci poiché la grande soprano ne ha elevato il ruolo a deuteragonista, fronteggiando la rivale con un’esecuzione intensa, appassionata esprimendo consapevolezza della giustezza dei valori in base ai quali è mosso il suo personaggio: una novità e opportunità alla quale, forse, non si era mai pensato; una Micaela nuova, ferma e potente, ben consapevole di essere nel buono e nel giusto; di essere a suo modo Il Bene. Scartata lei la faccenda doveva finire nel sangue.

Abbiamo preso le mosse da una considerazione sulla predilezione del repertorio poiché, proprio la passata estate, abbiamo ascoltato e  visto un’altra Carmen al teatro Antico di Taormina prodotta da Aldebaran e Taormina Opera Stars. Con Sanja Anastasia e Dario Di Vietri, direttore d’orchestra Gianna Fratta, regia Antonio De Lucia. La storiaccia che intreccia contrabbando, tradimento, gelosia ed omicidi, fu condotta con rigorosa attinenza al racconto di Merimée, in maniera oleografica, giocata sul fascino  suggestivo dello sfondo naturale e magico del teatro greco. La Carmen di Sanja Anastasia, dopo qualche incertezza nel primo atto, fu potente e carismatica, con voce scura e padronanza scenica.

Che dire? La fastosa e festosa inaugurazione della stagione lirica del “Bellini” di Catania, in grande spolvero, e il debutto sul podio del nuovo Direttore Artistico dell’Ente ha avuto luce e  splendore, ma è stata esposta a un raffronto ravvicinato. È una stagione nata al margine di vicende rocambolesche che hanno interessato tutta la dirigenza dell’ente teatrale, con epilogo coraggioso, valido di notevole prospettiva futura. La coincidenza qui narrata è un avvertimento per l’avvenire.

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