Opera drammatica e forte, dai tratti intensi di tragedia, musicata dal Maestro bussetano (Cavaliere dell’Ordine Civile di Savoja e sodale del Generale Giuseppe Garibaldi) nel 1851 con le parole dell’amico librettista Francesco Maria Piave, in scena per la prima volta alla Fenice di Venezia (ove Piave era direttore) quell’anno
Il SestoSenso Opera festival ha inaugurato la sua prima stagione nello scenario incomparabile del teatro antico di Taormina col Rigoletto, opera centrale di Giuseppe Verdi la quale, in tempi non lontanissimi, era detta della “trilogia popolare” (col Trovatore e Traviata).
Opera drammatica e forte, dai tratti intensi di tragedia, musicata dal Maestro bussetano (Cavaliere dell’Ordine Civile di Savoja e sodale del Generale Giuseppe Garibaldi) nel 1851 con le parole dell’amico librettista Francesco Maria Piave, in scena per la prima volta alla Fenice di Venezia (ove Piave era direttore) quell’anno. Opera in cui v’ha tutta l’etica possente dell’Ottocento, con la “rivolta” del buffone di corte che invano comunque si ribella al potere costituito: opera che il nostro Verdi italianizzò nell’ottica risorgimentale ma che deriva dal dramma “Le Roi s’amuse” dell’immenso Vittòre Hugo, la quale ebbe drastici problemi di censura vent’anni prima, tanto che Verdi preferì ambientarla nella Mantova cinquecentesca. Ma qualcosa del filo conduttore del poeta e scrittore francese, grande illuminato -come il Verdi del resto- rimane, non si può non pensare al Quasimodo di Notre Dame, nel rivedere Rigoletto. Eppure, Verdi avrebbe voluto “La maledizione” come titolo (“In quanto al titolo quando non si possa tenere Le roi s’amuse, che sarebbe bello… il titolo deve essere necessariamente La maledizione di Vallier, ossia per essere più corto La maledizione. Tutto il soggetto è in quella maledizione che diventa anche morale. Un infelice padre che piange l’onore tolto alla sua figlia, deriso da un buffone di corte che il padre maledice, e questa maledizione coglie in una maniera spaventosa il buffone, mi sembra morale e grande, al sommo grande”), ma si scelse per esigenze pratiche Rigoletto. Successi numerosissimi fino alla seconda metà del XX secolo, opera che contiene arie tra le più conosciute, anche e soprattutto ai “profani”.
L’edizione curata dal SestoSenso del tenore Marcello Giordani, meritevolissimo personaggio a cui il mondo della lirica e la sua Augusta in particolar modo (con l’Accademia Yap e altre organizzazioni con cui collabora, in particolare la Corale Euterpe diretta da Rosy e Cettina Messina) devono molto, con la regia dell’attore Bruno Torrisi e la direzione d’orchestra del Maestro Angelo Gabrielli, per l’organizzazione di Orangeblu di Umberto Sturniolo, è stata gradita dal pubblico che ha presenziato a Taormina alla prima dell’undici luglio: verità vuole che si dica che, a parte il settore inferiore (anch’esso non pienissimo), la parte superiore era densa quattro settori su sette, gli altri erano vuoti. Nei tre atti, i protagonisti hanno avuto un per così dire piccolo ma significativo crescendo vocale, mentre si segnalavano per bravura il baritono Giovanni Meoni nel ruolo di Rigoletto, il soprano Desiree Rancatore nel ruolo di Gilda, il basso Dario Russo nel ruolo di Sparafucile. Meoni fu invero il più applaudito, avendo messo il pathos che poteva nel ruolo altamente drammatico imposto dalla partitura; la Rancatore, da cui molto ci si attendeva, riescì nella difficile parte, specie nei gorgheggi, anche se spezzò molti filati (“Caro nome…”) e la voce non raggiunse tutto l’uditorio con la necessaria intensità. Vogliamo garbatamente sorvolare sul tenore Raffaele Abete nel ruolo, che è importantissimo, del Duca di Mantova: le arie “questa o quella per me pari sono” (I atto), “la donna è mobile” e “bella figlia dell’amore” (III atto), ovvero tra le pagine più democratiche della lirica mondiale, furono interpretate… Non potèmmo fare a meno, rammentando quegli esempi che non dovrebbero essere mai dimenticati, di avere la eco delle voci di Alfredo Kraus e di Franco Corelli ma anche, per rimanere nel XXI secolo, di Juan Diego Florez (e se vi fosse stato lui, crediamo che il teatro sarebbe stato stracolmo.. forse è utopia pensarlo per la Sicilia). Non giungiamo, come un carissimo prezioso amico ci ricordava, a rievocare l’immenso Gino Bechi al cui “vendetta tremenda vendetta” crollava il teatro dagli applausi: Bechi fu un divo di certa non lontana epoca e immancabilemente il pubblico (quel pubblico, che aveva visto la guerra mondiale direttamente o de relato e si commuoveva ed appassionava in modo oggi assolutamente impensabile) lo invitava nel finale a cantare la canzone suo “cavallo di battaglia”, “Vieni, c’è una strada nel bosco…”. Altra epoca, eppure l’entusiasmo è come l’Amore, può sempre rinascere, dipende dalla persona, se ci crede…
Colpì invece la densa brunitura della voce di basso di Dario Russo, in pieno agio nella non secondaria parte di Sparafucile: non casualmente egli viene spesso chiamato all’estero a ricoprire ruoli di grande intensità vocale. Piccole parti ma laudevoli quelle di Sabrina Messina (Contessa di Ceprano-Giovanna), Agostina Smimmero (Maddalena), Gianni Giuga (Conte di Ceprano), Gaetano Triscari (Conte di Monterone), Giovanni Guagliardo (Marullo), il sempre brillante e colorito Riccardo Palazzo (Borsa) e il cameo delicato della giovine Noemi Muschetti (Paggio). Scenografie semplici e non ricercate, diciamo sbrigative. Merito del Maestro Giordani è valorizzare gli artisti locali, che hanno la necessità di esibirsi sui nostri palcoscenici, come anche si plaude alla gestione informativa (affidata alla brava collega Michela Italia). L’orchestra Medisonus fu composta da varii elementi, alcuni a noi noti e sulla cui bravura e perfezione tecnica non si discute: e però la direzione del Maestro Gabrielli fu chiaramente sottotono: voluta scelta? Strategìa? Resterà un mistero. All’attacco del terzo atto, ma sarà stato un problema da nulla, egli si fece attendere un po’ di minutini, salvo poi accogliere i timidi applausi della scena. Applausi che a fine spettacolo, tutti i protagonisti (il cui impegno per la riuscita, dai truccatori alle maestranze, è chiaro evidenziare) attesero con speranza e che ci furono, ma brevi, quasi spezzati, per terminare con l’alzarsi del pubblico per avviarsi all’uscita e le luci spente sugli attori ancora sul proscenio. Da notare che la stessa sera dell’undici luglio, a Firenze vi son stati ben dodici minuti di applausi per il Maestro Riccardo Muti che ha diretto, in occasione dei cinquanta anni di palcoscenico, il Macbeth verdiano (e in forma concertata!): ma lì è il Maggio Musicale e Firenze fu pure capitale d’Italia…
Edizione gradita comunque, il luogo davvero magico e insuperabile nonché le stelle della notte aiutano a contemplare la bellezza. Fra le presenze notate, il Comando della Legione Garibaldina per la Sicilia. Per quel che infine concerne lo stile, pochissimi uomini in cravatta (estate, ma una prima è una prima anche a Taormina..), molte più donne in abito lungo, scuro o comunque con fiori densi, si spera più nel cuore che nelle vesti, a simboleggiare la gradevolezza che l’occhio cerca non già e soltanto nel corpo, ma soprattutto nell’anima. Verdi è Verdi comunque, ben accetto pur se incespicante. Il SestoSenso opera festival replica Rigoletto domenica 15 luglio e torna alla lirica popolare il 29 luglio con “le grandi voci”, la Rancatore, la Schillaci, Nicola Alaimo e Marcello Giordani, sempre al Teatro Antico di Taormina.