L’opera “Il Pirata” incanta il pubblico al Teatro Massimo Bellini

“Il Pirata” di Vincenzo Bellini, in scena al Teatro Massimo di Catania, a partire dal 23 settembre, il giorno dell’anniversario della morte del compositore, fino al 2 ottobre.

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L’Opera belliniana, Il Pirata”, andò in scena per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il 27 ottobre 1827. Bellini debuttava, aveva solo ventiquattro anni e pochi credevano nella sua affermazione in un teatro di tale spicco. L’impresario Domenico Barbaja, di gran fiuto, invece, gli diede credito e gli mise al fianco il librettista ufficiale del teatro milanese, l’illustre Felice Romani (1788-1865).

Il libretto fu tratto dal mélodrame di Isidore J. S. Taylor “Bertram, ou le Pirate”, andato in scena a Parigi nel novembre 1826, a sua volta ispirato alla tragedia in cinque atti “Bertram, or The Castle of Saint-Aldobrand” di Charles Maturin (1816).

Vincenzo Bellini, nato nel 1801 e morto nel 1835, fu il genio musicale, generato e nutrito nei primi anni dalla generosa terra di Sicilia. “Ah non credea mirarti sì presto estinto o fiore”, si legge, dal libretto de “La Sonnambula” sul suo monumento sepolcrale nel duomo di Catania, e umanamente è vero, se si pensa che il compositore, rinomato anche per la sua bellezza, morì a Parigi, oltretutto in solitudine ed in circostanze misteriose, a soli 34 anni. Ma forse a poco vale che i concittadini lo abbiano riportato con gran pompa verso la fine dell’800 nella sua Patria, restituendolo alla sua terra, se egli vi giace rischiando di non essere adeguatamente ricordato e celebrato.

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Alla prima scaligera, a dar vita a questi personaggi, cui è negata la felicità sulla terra e che per questo vengono travolti da un ineluttabile cupio dissolvi, viene selezionata una compagnia di canto stellare: accanto al soprano Henriette Méric-Lalande (Imogene)  e al baritono Antonio Tamburini (Ernesto) spicca nel ruolo del titolo il tenore Giovanni Battista Rubini (Gualtiero) chiamato a dar voce, con il suo canto angelico.

TRAMA

L’opera è composta da due atti:

ATTO I

Gualtiero, esule costretto a fuggire dalla patria in quanto partigiano di Manfredi di Svevia, è un pirata contro la cui flotta aragonese invano si sono scontrate le forze di Ernesto di Caldora, usurpatore della signoria e seguace di Carlo II d’Angiò.

Durante una tempesta, il Pirata è costretto ad approdare in prossimità della reggia di Caldora. La bella Imogene, amata da Gualtiero e costretta dagli eventi a divenire sposa di Ernesto, corre in soccorso degli sventurati naufraghi, i quali si guardano bene dal rivelare la propria identità.

Tra di essi, Itulbo, il luogotenente di Gualtiero, dà alla nobildonna la falsa notizia della morte del Pirata, che in realtà era stato invitato a nascondersi dal fido Goffredo, unico degli antichi seguaci ad averlo riconosciuto.

Imogene tuttavia crede in cuor suo di aver ravvisato nelle sembianze dello straniero i tratti dell’amato Gualtiero, e, dopo aver incaricato la fida ancella di cercare discretamente conferma a tali impressioni, le trova personalmente nelle parole dello stesso Pirata, che le rivela la propria identità.

La donna ne è però sconvolta: è costretta a propria volta a narrare all’amato del proprio matrimonio col perfido Duca di Caldora, tanto che Gualtiero, in un impeto collerico, risolve di uccidere il figlioletto nato dal matrimonio con Ernesto, frattanto condotto nella stanza dalle damigelle.

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L’insano gesto viene evitato per l’implorazione della madre, mentre dall’esterno giungono gli echi festosi del ritorno di Ernesto, dopo la definitiva vittoria sulla flotta dei pirati.

Il Duca si stupisce della tristezza di Imogene in un tale momento di gioia, e, dopo aver avuto notizia della presenza di alcuni naufraghi ospitati all’interno del castello, il dubbio si impadronisce di lui. Sarebbe suo desiderio metterli in prigione fino a che egli stesso non sia perfettamente sicuro della loro provenienza, ma, per intercessione della moglie, concede a costoro di partire non oltre l’alba del giorno successivo. Gualtiero riesce comunque a farsi promettere da Imogene un ultimo incontro.

ATTO II

Il Duca è ormai sicuro del turbamento della moglie, la interroga, e, sebbene questa tenti ancora di sviare le insinuazioni di Ernesto, ben presto la verità ha il sopravvento. Imogene incontra quindi Gualtiero, ma, a sua insaputa, è stata seguita dal marito che, trovata conferma al sospetto, si lancia in duello con il Pirata, rimanendone tuttavia vittima.

Gualtiero, che tenta invano di convincere Imogene a lasciare Caldora ed a seguirlo, anziché fuggire, si consegna al Gran Consiglio dei Cavalieri di Caldora, per rispondere dell’uccisione del Duca. Viene condannato a morte, ed Imogene cade in preda alla follia.

 

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