“VENI CA, CA TI CIVU IU!”, un articolo senza notizia

La nostra pietanza favorita, rappresenta quell’infinita carezza ricevuta dai nostri cari, quando da piccoli, ci confortavano e ci coccolavano attraverso il cibo4

Un articolo senza notizia, senza apparente motivazione, se non quella di promuovere l’amore attraverso il cibo ed i ricordi dell’infanzia. I ricordi dei sapori ci legano alle nostre radici familiari e territoriali. La nostra pietanza favorita, nei suoi colori, nei suoi odori, nei suoi sapori, rappresenta quell’infinita carezza ricevuta dai nostri cari, quando da piccoli, ci confortavano e ci coccolavano attraverso il cibo.

Lo sguardo amorevole dei nonni, che con i loro gesti e le loro parole ci educavano ad aver cura di noi, durante le infinite influenze, le malattie stagionali, i mal di pancia causati forse dal “mal di scuola”. Ecco sentirle dire “ Venica, ca ti civu iu “ , vieni qui che ti do da mangiare, ti cibo io, come a voler trasmettere l’infinito, l’eterno soffio di vita , così mangiare il merluzzo bollito in bianco, al limone, diventava la migliore medicina, la panacea alla nostra indisposizione.2

Ricordo ancora le mani gentili ed eleganti di mia nonna, dentro il piatto, che con cura pulivano il pesce, facendo attenzione a non lasciare neanche la più piccola spina, e la vedo imboccarmelo mentre mi racconta la favola “C’era una volta un re Befè biscotto e minè …che aveva una figlia …” Ed io a dirle: “ Nooo, nonnina, non questa!” e lei rideva, la casa profumava di pesce bollito, era il profumo del suo amore. Le tradizioni culinarie di ogni popolo camminano parallele ai ricordi custoditi nella mente o nel cuore.

In un momento sociale in cui l’arte della cucina sembra sia diventata retaggio solo di chef stellati, in un momento in cui si parla sempre più di Nouvelle cuisine, che ha rappresentato un taglio netto con l’arte tradizionale , forse dovremmo obbligatoriamente ritornare a ciò che di semplice e vero ci è stato trasmesso a tavola. La vera innovazione sarebbe ritornarne al passato ai gesti tramandati da generazione in generazione.

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Come si pulisce il pesce, come si lava, come si cucina, come si presenta ai commensali, sono riti che si apprendono da bambini quando lo sguardo arrivava a stento, al livello del tavolo; i coltelli iniziavano a togliere le squame dentro il lavandino mentre l’acqua scorreva, squame variopinte, scintillanti, trasparenti quasi una magia, per poi ritrovarsi le palline bianche dentro il piatto, come fossero un giochino, per apprendere in seguito, che erano gli occhi del pesce che probabilmente continuava a guardarti e nonostante tutto imparare a gustare il piatto superando le paure. Un concetto verghiano, strettamente siciliano, restare legati alle proprie tradizioni familiari per rimanere in vita, come l’ “ideale dell’ostrica” secondo il quale l’ostrica, per l’appunto, vive fin quando è attaccata allo scoglio.

Non importa dove stia arrivando la follia di questa società con i suoi format televisivi di arte e fornelli, ciò che importa e continuare a trasmettere passione ed amore ai nostri figli anche donando loro le sane abitudini alimentari.

 

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