Froome vince la prestigiosa Maglia Gialla, dietro di lui Quintana (secondo) e Valverde (terzo). Nibali chiude quarto davanti ad Alberto Contador, che manca così l’accoppiata Tour-Giro
Greipel vince anche la tradizionale volata che conclude il Tour ai Campi Elisi, battuti nettamente Coquard e Kristoff. Va al tedesco la palma di miglior velocista della corsa. Giusto così.
Finita la corsa e’ tempo di tirare le somme.
Pensandoci bene il resoconto di una corsa è un esercizio tanto inutile quanto presuntuoso, nel quale tutti quelli che hanno seguito l’evento, addetti ai lavori e non, si impegnano, spesso accanitamente, quasi come se potesse servire a cambiare il corso delle cose accadute. Tuttavia per chi come me, che si è dilettato a commentare con puntalità ogni singolo episodio del lungo romanzo “giallo”, diventa un passaggio necessario senza il quale il suo lavoro gli sembrerebbe incompiuto. E’ dunque con questa consapevolezza che mi appresto a stilare il mio resoconto sul Tour, tenendo ben presente che parlare è il più facile dei mestieri, che sul divano non si fa tanta fatica, che chi vince ha sempre ragione.
Mi attendevo un Tour spaziale, o almeno c’erano tutti i presupposti. I migliori erano tutti al via. Le motivazioni pure. Contador mirava alla prestigiosa accoppiata Giro-Tour. Nibali alla riconferma, anche alla luce degli ingiusti mugugni dei tanti ben pensanti che ancor oggi definiscono monco il successo dello scorso anno. Froome ad un bis di prestigio. Quintana al definitivo salto di livello. I giovani francesi a continuare l’escalation verso l’olimpo, anche grazie ad un percorso a loro favorevole. Van Garderen a dimostrare che la fiducia di una grande multinazionale, la BMC, era ben riposta. La strada poi, come sempre accade, ha imposto le sue gerarchie. Direi che lo ha fatto secondo valori relativi e non assoluti. Io non ho visto alieni, ho visto poche azioni che mi hanno fatto stare con il fiato sospeso. Per questo credo che questo Tour non passerà alla storia, come avevo erroneamente creduto. Andiamo, comunque, con ordine.
Froome ha vinto, ma non stravinto. Una eccellente prima settimana, culminata con la bella affermazione di La Pierre Saint Martin, gli ha consentito di gestire un buon vantaggio. Lo ha fatto assieme ad una compagine poco più che sufficiente, che ha concesso larghi vantaggi a chiunque fosse ritenuto incapace di arrecare fastidi al proprio leader. Facendo così non ha permesso a Froome di cercare altri traguardi parziali che avrebbero impreziosito il suo successo. Forse, però, la chiave della vittoria dell’inglese sta proprio nell’aver saputo centellinare le forze di un gruppo non eccelso, messo veramente alle strette solo nelle ultime battute. Chi l’avrebbe dovuto o potuto fare? Bella domanda. In teoria tante squadre avevano i numeri per farlo, la pratica ha dimostrato tutt’altro. Non di certo l’Astana. Il team kazako si è presentato al Tour con un livello medio di condizione assolutamente insufficiente, il grave passaggio a vuoto di Zelande, che ha subito caricato di secondi il fardello di Nibali, e l’ordine d’arrivo sul Mur di Bretagne, ne rappresentano le prove tangibili.
La meticolosa programmazione del picco di forma da raggiungere proprio in questo periodo non ha evidentemente funzionato. Nibali si è salvato grazie soprattutto alla sua classe indiscussa. Poi man mano che passavano i giorni, con la crescita della sua condizione e di qualcuno dei suoi, si è intravisto qualche movimento di squadra che gli ha anche consentito di firmare la più bella impresa di questo Tour. In ogni caso a risultato pieno largamente compromesso. Peccato, insisto dicendo che il bis era possibile. Non poteva essere la Tinkoff, migliorata rispetto al Giro, ma forse non adeguatamente spronata e pungolata da Contador, assai bravo tatticamente, ma, che malgrado il suo coraggio, si è rivelato poco efficace in attacco. La BMC si è dimostrata assai compatta nella prima fase, centrando un paio di successi parziali (Dennis, Van Avermaet) e quello prestigioso della crono squadre, poi è divenuta ingiudicabile con l’abbandono del suo leader alle prese forse con l’antico male della terza settimana. Van Garderen, a lungo ai vertici, ha corso in modo eccessivamente speculativo e poco entusiasmante. Lui, nella migliore delle ipotesi,è da rivedere. Tra le grandi, con ambizioni di classica, resta la Movistar. Qui il discorso diventa più articolato. I due gradini più bassi del podio raggiunti, lo zero nella casella successi di tappa, insieme alla sensazione rimasta dopo le ultime due tappe, cioè che Quintana fosse il miglior uomo di questo Tour, mi fanno sostenere che non hanno corso nè da grandi, né da piccoli.
Non hanno mai preso il comando delle operazioni, in favore di un probabile successo di Valverde o dello stesso Quintana, quando c’era da chiudere sulle iniziative a cui gli Sky avevano concesso sin troppo vantaggio. Non hanno mai effettuato la necessaria selezione, lungo tante salite lontano dal traguardo, che gli avrebbe consentito di lasciare il leader in un pericoloso isolamento. Quando lo ha fatto un altro (Nibali), hanno stremato Herrada in un inutile lavoro di tamponamento verso La Toussuire. Un Herrada che sarebbe tornato utilissimo l’indomani. Insisto dicendo che Valverde (il migliore mai visto in un GT ed ottimo terzo) doveva essere lasciato a casa per un Quintana capitano unico. Fra gli altri protagonisti nessuno ha mai corso per il giallo di Parigi. Fra questi anche gli Etixx, sempre eccellenti nella prima fase, nella quale centrano anche un bel tris di successi con Cavendish, Tony Martin e Stybar. Forse in futuro dovrebbero decidere di guardare alla classifica con maggior interesse. Poi, sottolineato il bel piazzamento finale di Gesink, tante belle vittorie sono il frutto della particolare abilità nelle volate o della buona capacità nello sfruttare le occasioni figlie dei troppi lasciapassare. Per gli sprint, promosso a pieni voti Greipel, sufficiente Cavendish, bocciati l’atteso Kristoff e Degenkolb.
Fra gli altri molto bene Rodriguez che porta a casa due successi, come pure Bardet e Pinot, entrambi assai caparbi nel cercare e centrare un successo, e soprattutto nel non essersi arresi alle avversità della prima settimana che facilmente potevano indurli all’abbandono. Detto di Villermoz, Cummings, Majka, Ghescke, Plaza bravi a sfruttare al meglio le opportunità che gli si sono presentate, un cenno particolare lo merita Sagan, un eccellenza per tutto il Tour, facile maglia verde, a cui manca solo il successo di tappa. Peccato che gli possiamo facilmente perdonare per lo spettacolo offerto dal primo all’ultimo giorno. Bravo.
La valutazione del risultato portato a casa dai nostri fa i conti inevitabilmente con il Tour “in salita” disputato da Nibali. Vincenzo alla fine, con la sua caparbietà e la sua classe, riesce a far quadrare il conto ed a spuntare un risultato complessivo positivo. Un bellissimo successo parziale ed un quarto posto finale non sono poca cosa, cerchiamo almeno per un attimo di dimenticare il numero uno puntato sulla schiena. Nulla è scontato, men che meno al Tour. Poi buona la prova di Damiano Caruso, che ha corso la parte finale del Tour facendo i conti con i postumi di una caduta. Il ragusano firma in prima persona anche il successo della BMC nella cronosquadre.
La sufficienza la merita anche Scarponi per l’aver saputo stringere i denti quando facile non era, superando con sofferenza i problemi fisici che lo attanagliavano, per riuscire poi a dare un discreto apporto al bel finale di Nibali. Fra gli altri qualche buon piazzamento di Oss, Malori e Cimolai e forse un oscuro lavoro di tanti difficile da saper giudicare.
Facile, invece, rinnovare gli auguri a Basso. Che il suo Tour, interrotto bruscamente, sia a lieto fine!
Resoconto infinito finito!