Stabat Mater a San Camillo per il concerto natalizio della scuola di Canto del Maestro Costanzo

La prestigiosa partitura sacra gioiello del barocco napoletano settecentesco, interpretata dagli allievi provenienti dal Giappone.

E’ sempre una sfida affrontare le pagine più intense e prestigiose di un periodo musicale tanto rinomato come la musica barocca della scuola napoletana del Settecento: se poi si tratta della Stabat Mater, celebre composizione sacra del famoso Pergolesi, da cui trasse ispirazione persino il divino Giovanni Sebastiano Bach, è opera più che ardua. Ci spinse quindi il desiderio di conoscere tale volo sulle ali del sentimento rafforzato dalla tecnica, nel partecipare al concerto del 29 dicembre nella splendida chiesa di San Camillo dei Mercedari ai Crociferi nella via omonima di Catania, organizzato dalla scuola di Canto dei Maestri Giuseppe Costanzo e Orie Tanaka. Invero èbbimo più occasioni onde apprezzare le allieve di tale indirizzo, anche se ciascuno di loro percorre poi una strada a se stante. Supportate dal quintetto di archi composto da Bruno Crinò, Alessandro Pizzimento, Lorenzo Fallica, Cecilia Costanzo e Lucrezia Costanzo (queste ultime figlie dei Maestri) , le cantanti Kasumi Hiyane e Hitomi Otsuki (soprani) e Saya Kamikubo e Nakako Ito (mezzosoprani) si sono cimentate nelle famose pagine, che sostituirono Scarlatti nelle intenzioni della Confraternita dei Cavalieri della Vergine dei Dolori la quale ne commissionò la composizione allo zoppo e poliomelitico Giovanni Battista Pergolesi (Draghi in realtà, ma il soprannome gli valse da cognome, come da italica consuetudine) nel 1734: il nipote del ciabattino assurto all’olimpo della gloria musicale ne morì, se è vera la tradizione che lo vuole vergàre le ultime pagine fino al giorno del decesso (16 marzo 1736).  Aveva avuto modo di comporre, tra le altre operte famose, dalla Olimpiade a Lo frate ‘nnammorato, una Serenata per le nozze nel 1735 del Principe Raimondo di Sangro di Sansevero: ovvero l’illuminato nobile che restitui a nuova vita il percorso di Luce della intellettualità colta napolitana, ad onta delle persecuzioni del Ministro Tanucci.

Il tempio, che è centro della Real Compagnia dei Cavalieri della Mercede, culto mariano antico e prestigioso, sodalizio di cui è referente in città il Barone Beniamino Sorbera de Corbera , ha accolto le quattro voci presentate -dopo una introduzione di Monsignor Giuseppe Romeo, prevosto di San Camillo-  dalla Maestra Orie Tanaka la quale ha voluto sottolineare come la difficoltà del momento imponga una sobria espressione di preghiera, anche se lo Stabat fu scritto per la Settimana pasquale. La udibilità vocale per la posizione delle cantanti, in senso del tutto orizzontale, ha fatto sì che di Kasumi Hiyane e Hitomi Otsuki si notasse la purezza vocale non scevra da una ampiezza tonale notevole in entrambe, proprio per non dimenticare, specie nella Hiyane (conosciuta per il successo della “Butterfly del Sole Levante”) l’impronta verista della stessa.  Per quanto concerne le due mezzosoprano, rendiamo un plauso ai Maestri Costanzo e Tanaka i quali hanno saputo modulare il ruolo da Alto (comè è nella partitura pergolesiana: il mezzosoprano non esiste nel Settecento e fino a Rossini al massimo è soprano secondo: il nostro Bellini mai scrisse per mezzo, anche se ora lo cantano tutte) per le voci della Kamikubo e della Ito, facendole cantare “con il corpo” nella tonalità giusta.  La qualità indi fu alta ed il successo indiscusso, suggellato dai lunghi applausi del pubblico: non mancò un piccolo “bis” creato ad arte dalle cantanti con brani appositamentre tradotti.

In tale occasione fu presente la non folta ma consistente comunità delle belcantiste giapponesi, tra artiste del Coro del Teatro Bellini e di altre compagini o soliste, di stanza a Catania. Tra loro, segnaliamo il soprano Sachika Ito in compagnia del chitarrista Davide Sciacca. Presente la Legione Garibaldina Comando per la Sicilia e la Real Casa d’Epiro Delegazione di Sicilia e Malta.  E’ sintomatico come codeste voci del lontano Oriente dove si leva il Sole che non tramonta, quando in Occidente la decadenza della qualità in tutti gli ambiti (dal sentimento alla raffazzonatura, per limitarci al campo musicale: apprendiamo di concerti barocchi di vario genere nelle nostre valli, su cui il tacere è bello) è manifesta, compensino come per magico sentire, le manchevolezze musicali della ultra millenaria Europa: forse solo nella forma poiché l’espressione dei sentimenti è “incomunicabile” (avrebbe detto il buon Antonioni de l’Avventura) ma è già qualcosa. La musica sacra seppure con le innovazioni pergolesiane, non è l’opera, l’amore rimane casto come è giusto che sia, in una cràsi che non si vuole sanare. A questa aporia, diede la giusta risposta lo scrittore e poeta Yukio Mishima (con la poesia Le stelle): “Quando gli uomini guarderanno le stelle, nel loro cuore si leverà, carico di essenze, il vento della notte. Sulla foresta, sul lago, sulla città, le nuvole fluttueranno tranquille. Allora le stelle inizieranno a cadere copiose e come la rugiada copriranno ogni cosa. Nel disegno tracciato dall’invisibile nastro divino, tutte le costellazioni crolleranno a una a una con estrema eleganza. D’allora in poi le stelle dimoreranno nella nostra anima, e forse torneranno ancora quei giorni in cui gli uomini erano dolci e meravigliosi come gli Dei”. Forse torneranno: il seppuku come il coltello di Butterfly, sa. Così si chiude il 2022.

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