Splendida Lucia acclamata dal pubblico catanese al Teatro Bellini

Il capolavoro del Donizetti – Lucia di Lammermoorcon la intensa interpretazione di Maria Grazia Schiavo e Francesco Demuro, lungamente apprezzato.

Quando, il 26 settembre del 1835, nella memorabile serata del San Carlo a Napoli regalissima, dàvasi la prima della Lucia di Lammermoor, indi il trionfo senza tramonto di Gaetano Donizetti, tanto desiderato trionfo, nessuno sapeva ancora -i tempi erano molto dilatati e unica tecnologia erano le carrozze della posta a cavalli- che tre giorni prima in seno ad una tremenda tempesta, era solitario morto stringendo al petto il ritratto della “mammùzza” e di Sant’Agata nella periferia parigina, l’unico “rivale” ma assaj più fulgido, che il compositore bergamasco potesse avere, ossia il nostro Vincenzo Bellini, in città e dai parenti chiamato Nzùddu, dal mondo dipoi il Cigno. Rivalità che era nell’amore e nella mente del Donizetti ma che Bellini non considerava: prima del tramonto di quell’astro biondo nato per motivio fatali in una città bianca e nera di luce e di lava, nessuno mai fra gli Italiani senza Italia poteva dire di volare così in alto, se non il Rossini e poco più in basso ma sempre librandosì nei cieli della luce, l’altro catanese, Giovanni Pacini, che a Napoli fu Direttore dei Regi Teatri e già aveva colto i trionfi prima del biondazzurro concittadino.

Bellini si spegneva amatissimo e invidiatissimo (Heine che ne sapeva una più del diavolo lo profetizza: “siete bello e amato dalle donne, morirete giovane“, per la gioia dei “brutti” che altri argomenti trovavano per farsi amare…) ma il popolo elevava gli altari, come è sempre accaduto ed accadrà, all’altro nume, Gaetano il baffuto che però non colse, anni dopo, l’agognata direzione del San Carlo. Ma era necessario che accadessro certi segni del destino ? Che le note di “bell’alma innamorata” risuonassero nel luogo ove il cantore di  Elvira aveva scritto il suo cammino? Non lo sapremo mai, vero però è che il fil rouge della follia amore e morte, lega i due grandi personaggi del primo Romanticismo, estinti dopo aver tanto donato all’Arte immortale.

La sera di antevigilia del 2777 Natale di Roma tuttavia, nel teatro Bellini di Catania, la Lucia del duo Salvatore Cammarano-Donizetti, diede novella aurora all’accorso e trepidante pubblico catanese della première , che da oltre 130 anni accoglie le note del belcanto: con la sicura direzione di orchestra del Maestro Stefano Ranzani, la regia collaudata di Giandomenico Vaccari, l’allestimento classico del romanzo di Scott da cui è tratto il testo, di Alfredo Troisi, l’opera trovò grande successo e riscontro , non soltanto perchè è tra le più amate e rappresentate da quasi duecento anni -noi non dimentichiamo le versioni della “stupenda” Dame Sutherland e del Pavarotti, diretti dal supremo Bonynge oggi lucidissimo 93enne, al Covent Garden nel 1971- ma anche per il parterre ottimo degli interpreti, che andiamo immantinente a sceverare.

In primis la lumonosa arte belcantistica del soprano di agilità Maria Grazia Schiavo orgoglio di Napoli, una Lucia al massimo del suo splendore, sia nelle arie estremamente difficili del fraseggio voluto dall’autore, sia nei filati che nella drammaticità delle scene di follia, sia nella pronta sentita ed entuisiastica risposta del pubblico che ha gremito in pieno il teatro nostro il quale in più occasione e  convintamente ha espresso con lunghi applausi il compiacimento per i pezzi celebri dell’opera, la consacrarono come ottima interprete donizettiana: avevamo già avuto occasione di udirla e ne apprezzavamo il livello, che è notevolmente aumentato in questi anni costruttivi.  Tale è altresì il livello alto del tenore Francesco Demuro, un Edgardo da ricordare, che venne anch’egli più volte apprezzato ed acclamato. Similmente di qualità l’Enrico di Cristian Federici, l’Arturo di Marco Puggioni, il Raimondo di George Andgulatze e il Normanno di Nicola Pamio.

Menzione speciale per la parte di mezzosoprano di Alisa, interpretata da Claudia Ceraulo, giovane e brillante cantante catanese la quale, dopo il suo perfezionamento in diversi teatri, ha meritamente il giusto riconoscimento nella città nativa, foriero di più ampi percorsi. Particolare plauso eleviamo al Coro diretto dal Maestro Luigi Petrozziello che, se è sempre impegnato nelle varie scene, ha riscontrato in questa opera ampia compattezza anche per le “nuove leve” che per motivi ovvi e cronologici vanno a sostituire i precedenti coristi, con risultati di ampia e laudevole qualità. Orchestra decisa ed emergente in più punti, specie nella partitura per solo flauto che sostituisce, per le note vicende, quella della glassarmonica in origine pensata. Nè potremmo più avere una Fanny Tacchinardi che per capriccio di diva volea eccedere, nel XXI secolo del “blob” ogni personalismo andrebbe a spengersi. Come sovente le acconciature e trucco furono curate da Alfredo Danese, autore anche dell’allestimento all’ingresso.

Impeccabile come sempre il Sovrintendente del Bellini Maestro Giovanni Cultrera di Montesano con la consorte Lisa, nel ruolo perfetto da anfitrione: come è d’uopo in tale occasione, si apprezzarono gli abiti delle signore accompagnate secondo l’etichetta, dai cavalieri in vestito scuro e diversi, nel più classico dei papillon.  Notàronsi insigniti degli Ordini dinastici della Real Casa di Savoja nonché della Legione Garibaldina, comando per la Sicilia.

Se amore significa morte, come Lucia e Edgardo fanno emergere dal loro dramma con le tragiche parole del Cammarano (Verdi e prima di lui, Pacini, ne usufruiranno per le loro opere) e se la scena degli anelli rifiutati dopo essere stati esaltati nella stupenda aria “Verranno a te sull’aure i miei sospiri ardenti” precede di quarant’anni la celebre e simile di Carmen del Bizet – ma Carmen si sa, è una sigaraja, una “ragazza di vita” avrebbe detto Pasolini, non certo una Dama come Lucia- e se è vero che anche Flaubert dedica in Madame Bovary un capitolo alla nostra opera, alle eroine che muoiono consumate da questo sentimento che annienta, dalla Dame aux Camelies del Dumas (indimenticabile la Garbo del film omonimo) ad Anna Karenina del Conte Tolstoj, il reale è che la follìa della protagonista colpisce non molti anni dopo il Donizetti istesso: il cervello assiepato dalla lue, si accascia sul nulla e muore nel mentre l’Europa è nel più pieno tripudio del Risorgimento!

Leggenda poi in parte velata dal miele della pietà vuole che parte del cranio suo sia stato nel trentennio successivo, utilizzato in bottega di commerciante, onde raccogliere i cosiddetti “palancòni” (le monete del Regno da 10 centesimi con l’effigie dei Re Vittorio Emanuele II) quasi una sorta di nèmesi, se il karma esiste, per colui che mirò forse troppo ai metalli che allontanano anzi separano per sempre, l’iniziato dal profano: come gli aveva insegnato il Maestro suo Giovanni Simone Mayr ed egli, chi sa, dimenticò. Ma nel cuore della croce che porta alla rosa, il mistero permane. Mentre nella realtà del teatro, il prossimo appuntamento all’opera della stagione è col Senatore del Regno e Maestro bussetano, ovvero il verdianissimo  gobbo “Rigoletto”, dal 29 ottobre.

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