Scorsese-DiCaprio, un sodalizio più che vincente

Giunti alla quinta collaborazione dopo “Gangs of New York”, “The Aviator”, “The Departed” e “Shutter Island”, il duo regista-attore è sinonimo di garanzia, mettendo d’accordo critica e botteghino

 

     

Saldo in vetta al Box Office, “The Wolf of Wall Street” continua a consolidare un primato frutto di molteplici fattori: una regia sinonimo di garanzia, un Leonardo DiCaprio convincente e coinvolgente, una storia accattivante, che narra l’ascesa e la caduta di un uomo ambizioso, vizioso e simbolo di un mondo – quello del mercato azionario – spesso in conflitto con questioni etiche e morali. In preda alla smania di far soldi, manipolare il mercato, continuare a fare soldi, spenderli per poi rifarli, Jordan Belfort è l’emblema di uno stereotipo che la cinematografia hollywoodiana ha più volte rappresentato e che trova il suo esponente principe in quel Gordon Gekko, interpretato magistralmente da Michael Douglas in “Wall Street”, pellicola che ha segnato un’intera generazione di broker, agenti di borsa o semplici investitori affascinati dal mercato azionario. Memorabili i dieci minuti iniziali del dialogo al ristorante tra un timido e impacciato Leonardo DiCaprio e uno scheletrico quanto magnetico Matthew McConaughey – tirato a lucido per il ruolo da protagonista nell’acclamato “Dallas Buyers Club” che gli è valso una candidatura agli Oscar come migliore attore protagonista. Dieci minuti, niente di più, ma così intensi, al limite del surreale, da entrare a pieno titolo nella storia del cinema. L’esperto e navigato Matt, catechizza un novellino quanto audace Leonardo, iniziandolo alla sadica arte del prendere dai fondi dei clienti per rimpinguare i propri. La pellicola vietata ai minori di quattordici anni, esplicita in modo nudo e crudo scene di sesso, di prostituzione, di alcol e droga, tratteggia tutto il marcio della speculazione azionaria a cavallo tra gli anni ottanta e novanta dello scorso secolo, contribuendo a scavare la fossa dentro cui molti sarebbero precipitati negli anni a seguire. Nel film di Scorsese, il piede è sempre pigiato sull’acceleratore, sulla volontà di diventare delle macchine da soldi, consapevoli di frodare il prossimo, senza remore o ripensamenti di sorta. Tutto all’insegna della provvisorietà, dell’effimero, dell’illusione. Ville mastodontiche, imbarcazioni da 50 metri, mogli, amanti, stupefacenti a tutte le ore, contribuiscono a costruire nel protagonista e nei suoi più stretti collaboratori un mondo artificiale, come le droghe che assumono continuamente. Spazzata con la prima tempesta all’orizzonte, la vita di Jordan Belfort crolla come un castello di sabbia bagnato dal mare. Gli affetti, la famiglia, i principi etici, tutto calpestato in nome della sfrenatezza e dell’ingordigia. Una Black comedy, dai toni eloquenti e sopra le righe, che punta l’obiettivo su un mondo contorto, esagerato, in cui la morale è calpestata e buttata via. Ancora una volta Scorsese colpisce il bersaglio, portando a casa una pellicola che è destinata a recitare un ruolo da protagonista durante la prossima Notte degli Oscar.

 

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