Roma, Teatro San Virgilio in scena “Medea” di Euripide

L’associazione culturale ‘Sperimentiamo, Arte Musica e Teatro’ presenta la tragedia del drammaturgo greco “Medea” di Euripide che andrà in scena, al teatro romano San Virgilio, venerdì 24 marzo.

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L’associazione culturale ‘Sperimentiamo, Arte Musica e Teatro’ presenta “Medea” di Euripide, al teatro romano San Virgilio (Via Paolo Di Dono, 218, ore 21).

Lo spettacolo, diretto da Daniela Bracci, con le scenografie di Amedeo D’Amicis e i costumi di Paola Tosti è interpretato da Mariagabriella Chinè, Alessia Pattumelli, Daniela Bracci, Fabio Fantozzi, Marcello Cirillo.

Perché “Medea”? Perché scegliere una tragedia classica per portare alla ribalta un problema attuale? Perché l’animo umano è cristallizzato fin dai tempi antichi, tanto che anche la psicanalisi fa riferimento a personaggi classici per definire alcune sindromi (proprio come la sindrome di Medea, appunto).

La storia tragica di Medea è una delle più cupe nell’universo del mito antico, forse la più nota tra le vicende del mito antico legate alla figura dell’altro e dello straniero.

Ed è questa. Medea, donna, sapiente e straniera, diventa figura rappresentativa dell’alterità, tema-problema presente nei testi classici, ma ancora aperto, vivo e vicino. In questo senso, la tragedia di Euripide, è un testo esemplare e sorprendente per la sua attualità, essendo i nostri tempi segnati da uno dei temi pregnanti della Medea e cioè, dal confronto-scontro di civiltà. Medea, infatti, maga e figlia del re della Colchide, si innamora del greco Giasone giunto nel paese di Medea sul mar Nero per impossessarsi del vello d’oro.

Per Giasone Medea tradisce il padre, uccide il fratello, abbandona la patria; ma l’atto che la distingue per la selvaggia tragicità è quello che Euripide scelse di rappresentare nel suo dramma: l’uccisione dei figli, l’atto estremo con cui essa si vendica dell’abbandono di Giasone e che costituisce per lei un punto di non-ritorno. L’adattamento rende fruibile il linguaggio della tragedia greca, pur mantenendone intatte le caratteristiche che tanto ci affascinano; una per tutte il coro, presente a volte come testimone dei fatti, a volte come personaggio che interagisce in scena. La reggia di Corinto è simboleggiata da una vela, il ricordo di quella nave (Argo) sulla quale tutto è cominciato e sotto la quale tutto avrà fine; le colonne sono in realtà molli, incapaci di sostenere il palazzo e la furia della donna tradita. Nel finale tutti gli inganni sono svelati, anche quelli teatrali, e il pubblico potrà vedere, proprio dietro la vela strappata da Giasone, gli strumenti utilizzati per creare la magia attraverso la finzione.

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