Musicoterapia: nascita e funzione terapeutica. Conversazione con il dr. Branca

Le sette note liberano i mediatori chimici e svolgono una funzione di attivazione neuronale, esercitano inoltre un ruolo plastico nella fisiologia e nella neurochimica cerebrale

La musica, una delle arti più antiche, è non solo scopo di intrattenimento, ma anche una disciplina che in molti casi riesce a risolvere i problemi di integrazione e socializzazione di soggetti portatori di handicap. Ne abbiamo parlato con il dott. Branca, musicoterapeuta.

Come é nata e quando questa disciplina si é sviluppata nel corso degli anni?

La musicoterapia è nata in America nel dopoguerra; le abbiamo dato questo nome, ma i effetti non era ancora musicoterapia, era più che altro un utilizzo del suono per fare stare un meglio i militari che tornavano dalla guerra e che avevano avuto delle esperienze abbastanza traumatiche, anche sul piano fisico. Si pensò di chiamare dei maestri di musica per allietare un po’ le loro giornate nella degenza in ospedale, ma niente di terapeutico ancora, non si poteva chiamare musicoterapia, perché quando noi parliamo di terapia in genere occorre la presenza del terapeuta che deve  cercare di instaurare una relazione significativa con il paziente.

Quando é stata definita propriamente musicoterapia?

Nel 1959 si cominciò a definirla musicoterapia; in America sono stati sempre più avanti con tutte queste tecniche non ben riconosciute, non ben collocabili. A New York nasce il Music Therapy Center insieme con il Creative Arts Riabilitation Center, dove si progettano degli interventi più strutturati e strutturanti di musicoterapia. In Argentina  abbiamo una figura molto importante, riconosciuta in tutto il mondo; si tratta di  Rolando Benenson, docente presso l’università del Salvador di Buenos Aires. Il suo metodo si basa sull’Iso (dal greco “uguale”); è come se il terapeuta dovesse riuscire a individuare un suono, un ritmo che appartiene al paziente e cosi può intraprendere una intesa e una relazione che gli consenta di entrare nel suo mondo. In Europa la musicoterapia si affaccia nel 1959; in Austria viene organizzato un corso di formazione presso l’Accademia Musicale di Vienna, e a Salisburgo  un corso di specializzazione con riferimento al metodo Orff,  una tecnica messa a punto Ghertrude Orff,  sorella del compositore Carl Orff.

In cosa consiste?

Si utilizza uno strumentario didattico di facile utilizzo, formato non da strumenti tradizionali come  il pianoforte, il violino, la tromba etc., ma da strumenti come xilofoni, metallofoni, percussioni varie, ecc…, che sono più facilmente fruibili anche dal bambino portatore di handicap, perché si prestano ad essere adattati e modificati secondo le esigenze e il bambino riesce ad esprimersi sonoramente e a produrre musica anche in gruppo.  La finalità di questo tipo di intervento è quella di  permettere la socializzazione anche del bambino che presenta difficoltà relazionali inserendolo  in un contesto dove lo strumento diviene mediatore relazionale.

Lei ha parlato di musicoterapia nata in America. E in Europa?

 In Europa la musicoterapia si affaccia nel 1959; in Austria viene organizzato un corso di formazione presso l’Accademia Musicale di Vienna, e a Salisburgo  un corso di specializzazione con riferimento al metodo Orff,  una tecnica messa a punto Ghertrude Orff,  sorella del compositore Carl Orff. In Francia nel 1980 un’associazione di musicoterapia all’università di Parigi insieme con l’Istituto di formazione permanente mette in atto dei corsi di formazione; in Germania vi è il Comitato Tedesco di Musicoterapia con un corso di formazione all’università di Lipsia, che viene attuato attraverso un percorso di interfacoltà a cui vi sono diverse università collegate. In Inghilterra c’e la British Society For Music Therapy, che rilascia un diploma abilitante alla professione. Ma vorrei citare anche la Cina, dove esiste un culto della musica che noi nemmeno immaginiamo. In questo Paese riescono a fare delle cose con i bambini piccolissimi, con suoni strutturati che diventano un ritmo generale, e ne abbiamo visto qualche esempio all’apertura delle alle olimpiadi del 2008.

Sono scuole diverse a livello di metodologia? E in Italia?

Si, sono diverse; alcune scuole seguono un indirizzo psicoanalitico, mentre altre sono di tipo educativo e didattico. Tra i vari indirizzi possiamo ricordare, oltre quelli già citati, quello di Alvin, Nordoff-Robbins e Lecaurt. L’Italia risente dell’influenza americana, anglosassone, tedesca e austriaca. Nel 1970 si comincia a utilizzare la musica per favorire l’inserimento dei portatori di handicap nella scuola.  Il bambino che non riesce a seguire un programma didattico come tutti gli altri,  attraverso un intervento mirato,  può essere coinvolto in attività sia musicali che di altro tipo; se l’insegnante possiede una formazione adeguata, con il bambino che non sa leggere o non e in grado di parlare, si può fare un lavoro con i suoni di un certo periodo storico, oppure, dovendo imparare una poesia   e il bambino non è in grado di impararla a memoria, se ne può evidenziare l’aspetto ritmico. Questo gli consentirebbe di partecipare all’attività didattica con le proprie capacità/possibilità senza venire emarginato dal resto della classe e addirittura di diventare il fulcro attorno al quale può essere strutturato il progetto didattico.

Si rende quindi necessario che gli insegnati siano preparati per questo tipo di disciplina

Si, è necessario porsi  al servizio del bambino, e sia l’insegnante curriculare che quella di sostegno si dovrebbero sentire gratificate quando il bambino più indietro rispetto agli altri riesce ad    imparare una poesia e a recitarla anche  storpiandola: si deve valutare lo sforzo che fa quel bambino; questa modalità risente dell’approccio musicoterapico anche se il suono non viene utilizzato in modo strutturato.

In Italia quand’è che si comprende effettivamente l’importanza della musicoterapia?

Nel 1973  il gruppo di psicologia delle Arti  presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano, gestisce un laboratorio di musicoterapia coordinato dal professor Loredano Matteo Lorenzetti, uno dei fondatori della scuola di Assisi; psicologo e musicista, ha elaborato il Metodo Dinamico Transdisciplinare (MDT), che viene insegnato proprio nella scuola di Assisi. Nel 1975 a Bologna viene creata la prima Associazione Italiana di Studi di Musicoterapia (AISMT). Nel 1976 ad Assisi vengono organizzati seminari e convegni presso la sezione musica del Centro di educazione permanente, e nel 1981 viene avviato il corso quadriennale secondo questo metodo transdisciplinare. Gli inizi sono stati difficili perché vennero coinvolti insegnanti provenienti da diverse parti del mondo, che proponevano metodi diversi per cui i corsisti erano disorientati. Assisi comunque diventa un Centro molto frequentato e con il tempo in quasi tutte le regioni vengono fondate delle associazioni che promuovono la musicoterapia; in Sicilia, nel 1992 viene fondata l’Associazione Musicoterapeuti Professionisti Siciliani – operatori di Arti-terapia (AMPS) composta da specialisti  formati alla scuola di Assisi. Tale scuola non era una vera e propria scuola di formazione; io la definirei scuola di informazione, proprio perché risentiva dell’influsso di diversi indirizzi. Noi siciliani abbiamo sentito questo limite e abbiamo continuato la nostra formazione  per diversi anni con la supervisione del professor Lorenzetti per approfondire la conoscenza del  Metodo Dinamico Transdisciplinare che da allora viene applicato negli interventi che programmiamo nei centri di riabilitazione e nelle scuole ed è il riferimento all’interno dei corsi di formazione che abbiamo organizzato dal 1997 nel ragusano  e a partire dal 2005 fino ad oggi, a Catania.

Si studia anche la musica a livello teorico oppure è soltanto un intervento orientato sul suono?

Ci sono diversi livelli: col bambino portatore di handicap non possiamo utilizzare una musica scritta su una partitura, per cui si utilizzano delle altre tecniche in modo che questi riesca a poco a poco ad approcciare uno strumento musicale che diventa un tramite relazionale. Anche i soggetti meno capaci sul piano cognitivo possono avere la possibilità di integrarsi in un gruppo  partecipando attivamente e godendo del risultato finale come artefici della produzione musicale. Questa tecnica permette di non considerare tutti uguali i bambini, ma di sfruttare ogni minima risorsa che possa favorire il raggiungimento del benessere psicofisico dell’individuo, l’integrazione e la socializzazione

Chi sono i fruitori della musicoterapia?

Tutti possono usufruirne a diversi livelli; è particolarmente indicata nella presa in carico sia dei bambini normodotati che per i soggetti portatori di handicap che per i pazienti psichiatrici, ma dovrebbe trovare specifica applicazione nell’area della prevenzione.

Perché Il bambino normodotato fa musicoterapia? Se gli obiettivi del bambino portatore di handicap sono la socializzazione e l’integrazione, nel bambino normodotato quali sono?

Per noi è la stessa cosa; in ogni caso abbiamo di fronte un essere umano, non una diagnosi. Così a scuola,  all’asilo, ancora in culla o addirittura prima della nascita, l’intervento di musicoterapia è finalizzato a favorire l’instaurarsi di relazioni  nel contesto familiare, scolastico e sociale, in modo che ogni individuo possa sentirsi accolto e riesca a crescere e maturare in una continua “messa in forma estetica” che possa rendere attuabile un progetto per un futuro pieno di bellezza.

Che genere di musica si ascolta o produce? C’e una classificazione?

Per quanto riguarda l’Orff ci sono delle partiture, dei libretti; si lavora con la danza, la musica e il canto; riunendo queste tre cose si permette ai bambini di partecipare. Ma la musica non si produce solo con gli strumenti: possiamo suonare con le mani o stare paradossalmente in silenzio. L’importante è che il bambino riesca a interagire e a sentirsi integrato.

C’è un accostamento tra la musicoterapia e la psicoanalisi, una sinergia tra le due discipline?

Lorenzetti  considera la musicoterapia una tecnica psicocorporea che fa riferimento a dei principi psicoanalitici e in tali aspetti si allinea perfettamente alla psicoanalisi. Per il resto possiede una propria specificità: mentre nella psicoanalisi il corpo viene coinvolto il meno possibile per dare maggiore spazio alla mente, nella musicoterapia è fondamentale il movimento che, producendo suono e ritmo, comunica in maniera libera l’espressività della persona.

Un vostro obiettivo è quello di sensibilizzare la scuola, organizzate un corso di formazione anche per gli insegnanti, come viene strutturato?

Il corso è privato e vi può accedere chiunque sia in possesso di un diploma di scuola media superiore. Durante i colloqui preliminari, essendo il corso impegnativo, cerchiamo di disilludere coloro i quali non mostrano una sufficiente motivazione. A conclusione del percorso si consegue un diploma che consente di esercitare la professione. Questa figura professionale oggi trova collocazione nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nella psicoprofilassi al parto, nella demenza senile, nei centri di riabilitazione, con assunzioni che possono essere a tempo indeterminato, determinato, a progetto, a prestazione occasionale.

Per finire, ci dica qualcosa su I Cimbali, un gruppo musicale che ha delle particolarità

Si tratta di un gruppo musicale composto da soggetti che presentano un ritardo psico-fisico, tutti ospiti e utenti dell’Oda (Opera Diocesana Assistenza) dove frequentano il laboratorio di musicoterapia. La loro presenza è stata richiesta in svariati contesti (congressi,spettacoli di beneficenza,corsi di formazione, etc.). Questa attività costituisce un esempio di integrazione nei tre livelli: dell’individuo con se stesso (prima fase dell’intervento); dell’individuo inserito in un gruppo e  del gruppo nel contesto sociale. Si tratta di una tecnica relazionale che si presta ad essere applicata con esiti soddisfacenti nel trattamento di soggetti affetti da ritardo psicomotorio anche con innesti psicotici e disabilità cognitive (capacità attentiva, memoria, concentrazione).

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