“L’uomo dal fiore in bocca” di Pirandello al “Martoglio” di Belpasso

Una rivisitazione originale che assorbe altri spunti della narrativa pirandelliana

 

Certamente, uno dei drammi più rappresentativi del secolo scorso è “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello. Un atto unico dove confluiscono l’impossibile comunicazione e la precarietà della vita che mostra sotto al «baffo» del protagonista tutta la relatività dall’esistenza.
Un malato di cancro narra il suo percorso ad uno sconosciuto in un bar della stazione attraverso un dialogo che diventa piano piano un monologo, tentativo strenuo di aggrapparsi alla sua vita, vista, prima della malattia, con noncuranza e poi avvertita come essenziale. Ma è possibile un’altra possibilità dopo la fine? Un’alternativa nella rinascita? È questo il senso della rilettura di Pino Pesce, direttore del mensile “l’Alba“, che ne ha curato la regia. La pièce, prodotta dallo stesso periodico, andrà in scena il 15 gennaio al teatro “Nino Martoglio” di Belpasso.

Si tratta di una rivisitazione originale che assorbe spunti narrativi pirandelliani da “Uno, nessuno, centomila” e da “Di sera, un geranio” e che mira a superare il senso dell’ineluttabilità. Così L’uomo dal fiore in bocca (Mario Sorbello) con il suo epitelioma, male dal suono dolce, tra la vita e la morte, racconta al “pacifico” Avventore (Tony Pasqua) storie che sembrano di non senso, le quali invece, pur nella vanità e nel relativismo, reclamano la vita con la stessa tenacia dell’edera.

Tra immaginazione e mistero, tra vita e morte, si muovono L’allegoria della vita (Luisa Ippodrino) e L’allegoria del trapasso (Loredana Cannavò) in un duello finale mentre una Voce fuori campo (quella dell’attore Pino Caruso, prestatosi in sola cordialità) narra un ipotetico distacco dell’anima dal corpo.
La chiusa, di mano del regista, e il suono estatico dell’organo di Elisa Russo (compositrice delle musiche) aprono alla speranza.

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