La Fiera che spegne 323 candeline

Articolo interessante sia dal punto di vista culturale che storico inviatoci in redazione dalla scrittrice, prof.ssa Graziella Lo Vano riguardante la storica fiera che si svolge ogni anno a Sant’Agata di Militello e che quest’anno raggiungerà le 323 candeline

Continua ad attrarre e a costituire un punto di riferimento per l’Italia Meridionale, la storica Fiera di Sant’Agata di Militello. Infatti è la più antica e quest’anno – eccezion fatta per gli anni bui della pandemia – spegnerà 323 candeline.

Per l’occasione affluiranno in città, venditori di svariate regioni del Mezzogiorno, dalla Campania, Puglia, Calabria. E si svolgerà nei giorni 14 e 15 Novembre sul lungomare, nei pressi della contrada denominata comunemente “Giancola”. Sono ben oltre 300 i posti assegnati alle bancarelle sul viale della Regione, dalla villa Falcone Borsellino fino alla fine della via Cosenz, per oltre due chilometri e mezzo. E come accadeva in passato continua ad essere montata ancora oggi a cielo aperto, nell’incognita dell’intemperanza degli umori del tempo.

Lo “smalto” della fiera a più di tre secoli dalla sua nascita, continua, però, a restare lucido, e continua il suo cammino confermando la centralità e l’importanza che riveste nel settore fieristico non solo per la Sicilia, ma addirittura per il Meridione d’Italia. Il diritto a svolgerla, venne concesso infatti, nel lontano 28 luglio del 1700, al principe del tempo, Don Gaetano Gallego Ventimiglia e costituiva allora, una delle occasioni più favorevoli di mercato per un’economia prevalentemente pastorale e agricola. Oltre alla compravendita di capi di bestiame, particolarmente apprezzati erano gli acquisti di prodotti artigianali e di consumo (tessuti a metraggio per confezionare vestiti, cappotti o lenzuola per completare il corredo della figlia da maritare; utensili per la campagna, canestri di verghe, fusi e conocchie per filare lana, lino etc.). Occasione unica questa tra venditori e acquirenti per gente che viveva isolata molti mesi l’anno e lontana dalle grandi vie commerciali.

La fiera nel tempo si ingrandì diventando un momento distintivo delle attività economiche di Sant’Agata di Militello, i cui amministratori, poi, agli inizi del secolo scorso, in virtù di una crescita demografica, ne promossero una seconda edizione. Furono due, quindi, gli appuntamenti importanti con i connotati rimasti intatti nel tempo: il 14, 15 aprile che “apre” tutte le fiere e il 14, 15 novembre a chiudere. In passato l’uomo seguiva proprio il corso delle stagioni e l’inverno rappresentava la conclusione degli affari e delle compravendite da effettuare prima dell’arrivo dei mesi di letargo.

E continua ancora oggi a essere un punto di riferimento per questo genere di contrattazioni. Tale importante evento prevede nella giornata del 14 una sezione per la vendita del bestiame: buoi, cavalli, asini, capre etc. – anche se negli ultimi anni questo aspetto commerciale risente della diminuzione dell’attività zootecnica e prosegue con quella di mercanzia varia. Non una fiera monotematica, ma un’esposizione di prodotti esposti nella lunga serpentina delle bancarelle. Svariati i prodotti in vendita. Antico e moderno si intersecano indifferentemente: dagli utensili per la casa a quelli in ferro battuto, fornacelle, ammortabrace, alari per il camino, zappe, pale, arnesi di un lavoro contadino che va sempre più scomparendo.

Si passa quindi da elettrodomestici, lampade alogene, dischetti per computer a divani, piante esotiche, tappeti di ogni qualità, e poi vestiti, magliette, biancheria intima Sbandierta ai supporti dei tendoni ed esaltata da robuste voci stentoree che invitano le signore ad acquistare ciascuno i propri prodotti. Il vociare dei venditori e dei compratori si mischia a incontri inaspettati, saluti, contrattazioni. Merce che secondo le urla degli ambulanti è la migliore in qualità e prezzo. Si intersecano così, vulgate e accenti “forestieri”, il pugliese si mischia al catanese e al napoletano, solo per citarne alcuni, i quali fanno a gara per farsi udire tra il frastuono degli altoparlanti e il chiacchiericcio dell’enorme folla arrivata con pullman o in auto dai paesi dei Nebrodi: Alcara Li Fusi, Castell’Umberto, Tortorici, Capo d’Orlando, Caronia, Capizzi e da ogni dove.

<<Signora Mariaaaa, signora Mariaaaa!…>> grida l’ambulante ergendosi con voce altisonante, mentre a tutto volume, gli altoparlanti intonano mazurche, tarantelle e canzoni dell’ultimo festival di Sanremo. Nell’aria si espande l’odore dolciastro dello zucchero a velo, mischiato a quello dei semi di zucca, delle noccioline e della calia appena tostata – famosa quella di Naso – da sgranocchiare ancora calda e scoppiettante tra le dita. Il torrone viene spalmato su basi lisce, girato e rigirato, appiattito con enormi coltelli e alla fine tagliato a listarelle, per la golosità dei piccini (e non solo). Ma c’è anche il moderno street food che viene preso d’assalto soprattutto dai giovani che gradiscono maionese e Kecap.

Ancora oggi la fiera si trasforma in festa – anche per gli studenti che ne approfittano per marinare la scuola -, contagia anche chi era sceso annoiato e immusonito “solo per dare un’occhiata”, e che si lascia invece coinvolgere, e riesce a combinare qualche buon affare. Infatti, dagli innumerevoli sacchetti stracolmi e portati in giro, sporgono manici di padelle, con i quali si rischia di venire contusi nella calca. Le giovani mamme sospingono i passeggini nei quali i piccoli si deliziano a guardare il loro palloncino colorato, legato alla manina con uno spago. Ma sono frequenti gli ingorghi, data l’affluenza di migliaia e migliaia di visitatori.

Improvviso si blocca il fiume umano. “E’ qualche svendita!” “Tutto a metà prezzo”: <<Venite donneee! Accorreteee!>> Continuano a sgolarsi i banditori. <<Mi voglio rovinare questa mattinaaa>>, intona più forte, quello che si rifà alla migliore sceneggiata napoletana. Ma si sa, il baccano attira l’attenzione e procaccia clienti. Si miscelano quindi, eterogenei colori che formano dei dipinti naturali e che potrebbero essere paragonati a quelli di Giovanni Fattori, Renato Guttuso o Anton Smik Pitloo con la sua scuola di Posillipo.

Oggi, tra generi di abbigliamento più svariati, si ha facilmente la possibilità da parte delle signore più esigenti, di ammirare e provare anche delle pellicce di visone ed ermellino. E gustando il pistacchio di Bronte, non è difficile imbattersi ancora in truffaldini esperti nel gioco delle tre carte o negli ultimi superstiti di quelli che lo scrittore Leonardo Sciascia, negli anni ’40, chiamava induvinavintura, i quali con organetto e pappagallo invitano ad acquistare il biglietto della sorte. E perché no? In fondo la speranza aiuta a vivere meglio.

a Cognita Design production
Torna in alto