“LA CENA” DA NON PERDERE AL TEATRO VITTORIO EMANUELE DI MESSINA

In scena dal 14 al 22 maggio “La Cena” con un istrionico Andrea Tidona e la regia di Walter Manfrè lo spettacolo, fuori abbonamento, chiude la Stagione di Prosa 2018/2019 del Teatro Vittorio Emanuele LA-CENA_cast

Una proposta molto particolare quella che è stata inserita in cartellone dal 14 al 22 maggio per  il fuori abbonamento che chiude la Stagione di Prosa 2018/2019 del Teatro Vittorio Emanuele di Messina. Con l’eccellenza della regia dell’illustre messinese, Walter Manfrè, “La Cena” si è rivelata essere una scelta che ha mantenuto pienamente quanto già era stato preannunciato dal Direttore della sezione prosa, Simona Celi Zanetti, durante la conferenza stampa del 7 maggio per presentare l’opera teatrale, conferenza che ha visto anche la partecipazione del regista. Un testo forte, altamente impegnativo e molto singolare, scritto da Giuseppe Manfridi, tra i maggiori esponenti della drammaturgia italiana contemporanea: “Questo spettacolo – ha affermato Simona Celi – rappresenta in un certo senso il cuore di questa programmazione che è stata tutta incentrata su due aspetti: il primo sul linguaggio per le scelte operate su grandi lavori, grandi allestimenti, grandi traduzioni mentre l’altro è la sfida a cercare di essere attrattivi per il pubblico, per riportare il pubblico a teatro… Questo spettacolo io lo considero lo spettacolo perfetto dal punto di vista drammaturgico; una macchina perfetta in cui c’è un meccanismo ad orologeria incredibile che “prende” lo spettatore, in tutti i sensi…. – e ancora aggiunge – È recitato benissimo, con una regia che si esprime nella dimensione in cui Walter Manfrè è sicuramente uno degli esponenti più importanti, ovvero il «Teatro della Persona»…”

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Quella del “Teatro della Persona” è la definizione che venne coniata dal critico Ugo Ronfani nel ’93 (dopo aver assistito a “La confessione” in cui  venti attori/penitenti per venti spettatori/confessori recitavano i testi d’una ventina di scrittori e drammaturghi italiani), definizione quindi con cui sintetizzò il modus operandi teatrale, nonché il senso della poetica, espresso dal percorso registico di Walter Manfrè. Un percorso che si è delineato in una serie di spettacoli (La confessione, Visita ai parenti, Il letto, Il viaggio, La Cerimonia) rispondenti a caratteristiche particolari, una delle quali è sicuramente l’annullamento della distanza tra pubblico e spettatore e l’assegnazione, a quest’ultimo, di un ruolo all’interno del dramma senza che ciò possa mutare lo svolgimento della “trama”.

Citando Ugo Ronfani riguardo al “Teatro della Persona” di Manfrè  «E’ una scoperta, un passaparola, una goccia che diventa rigagnolo e poi torrente e scorre con la forza di un fiume in piena. Cercate il teatro di Walter Manfrè nelle vostre città, nei luoghi nascosti e oscuri, nelle culle segrete dei carbonari della cultura, cercatelo sotto la cenere del vecchio teatro che non esiste più. Con Manfrè il teatro è vivo…».

“La Cena va avanti dal ‘92 e indubbiamente c’è qualcosa dentro, – ha dichiarato il regista – forse una sincerità che arriva direttamente al pubblico …secondo me ciò che più cattura e intriga  è il non detto, quello che non si può dire, l’oscuro, il taciuto. Ecco, sta lì nell’impudico, nel vergognoso, in quella la zona nascosta che sta dentro e a quanto è racchiuso in qualche gesto che si contraddice…”.

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L’opera teatrale, carica di tensione drammatica e di amara ironia, nei suoi sessanta minuti di durata non richiede particolari indicazioni allo spettatore per condurlo all’interno del “Teatro della Persona” la cui particolarità è l’andare “oltre”, varcare la famosa “quarta parete” del palco teatrale, ovvero giungere all’annullamento della distanza tra attori e pubblico a cui viene assegnato, all’interno del dramma, un ruolo senza che ciò possa mutare lo svolgimento della trama condotta, nel caso de “La Cena”, dai quattro protagonisti (padre, figlia, fidanzato e maggiordomo).

E quindi il via! Si va in scena nel foyer del Teatro Vittorio Emanuele, in una gran bella e raffinata sala tra lo scintillio dei lampadari e quadri alle pareti; il numero di spettatori/invitati è limitato a 27 e si viene introdotti nel salone, 3 alla volta, da uno dei personaggi, il maggiordomo Fangio, (Cristiano Marzio Penna) che con perfetto stile ci accompagna al posto assegnato attorno ad una grande tavola, elegantemente apparecchiata con una raffinata tovaglia, piatti e bicchieri a calice in cui è sempre il maggiordomo a versare del vino rosso. Ad attendere gli spettatori/invitati c’è già il padrone di casa, il padre (Andrea Tidona), seduto a quella tavola con aria seriosa ed accigliata. Adesso si è già in scena, dentro quell’ingranaggio del “Teatro della Persona”, macchina perfetta dal punto di vista drammaturgico. Già è partito tutto, basta sedersi, prendere il bicchiere di vino e assistere, come quando si va a cena dai parenti, a ciò che all’improvviso avviene: qualcosa di così forte, di intimo e privato da lasciare tutti inermi, seduti al proprio posto, nella propria sedia, protagonisti turbati e coinvolti in attesa di quanto potrà succedere. Inizia la discussione tra il maggiordomo, Fangio, e il padrone di casa contrassegnata da punte di amaro sarcasmo mentre si attende il ritorno della figlia, Giovanna (Chiara Condrò), per l’occasione insieme al genero, Francesco (Stefano Skalkotos), un ritorno dopo ben cinque anni in cui si era allontanata da casa e, soprattutto, dal dispotico padre.

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Appena arrivano si apre subito il dialogo tra padre, figlia e genero riguardante, dopo i primi convenevoli di regola, gli oscuri affari di famiglia, evidentemente di carattere strettamente personale che troppo turbano, sensazioni che marcatamente si avvertono anche tra gli invitati/spettatori, “Oh, niente di che. – dice il padre rivolgendosi al genero – I misteri di qualsiasi catacomba. Ogni famiglia ha la propria, pure tu, Francesco, avrai esperienza di analoghe oscurità tra le quali gli adepti sanno muoversi con la destrezza dei pipistrelli, come in pieno giorno…”.

Forse si potrebbe giungere a un rappacificamento tra figlia e padre ma questi invece prepara un inganno per Giovanna (di cui si percepisce il complesso e non risolto rapporto padre/figlia), inganno esteso anche al futuro genero.

Il padre è la figura forte, dominante protagonista, ogni sviluppo all’interno della storia in qualche modo in lui ha inizio e fine: crudele e affascinante, affabulatore di grande maestria, colto ed estremamente intelligente ma che attacca, ferendo sadicamente chi gli sta vicino; mette a punto dei “giochetti” insieme a domande volutamente provocatorie che non hanno altro fine se non far emergere la parte più buia ed inconfessabile di ognuno come l’avidità e la debolezza del giovane Francesco (deriso e sbeffeggiato per l’abitudine di usare troppo l’intercalare “insomma”), la sete di denaro del maggiordomo, la figlia che finirà quasi con l’accontentarsi di un amore verosimilmente non vero pur di allontanarsi da un padre autoritario e possessivo.

Da sottolineare la forza e la capacità fluida dei dialoghi che con opportuna mira giungono a colpire, con precisione i bersagli previsti da un sottile gioco infernale nel quale, alla fine, non c’è altro se non l’obiettivo di svegliare e far venire a galla il lato peggiore e più oscuro di tutti. Bravissimi tutti gli attori che danno il giusto spessore ai personaggi, con appropriata profonda sensibilità, e bellissimi i testi della pièce che grazie all’autore, Giuseppe Manfridi, sanno scrutare nell’animo umano e a cui, con le parole di Walter Manfrè, riconosciamo il giusto merito – Manfridi è stato sempre il mio autore di riferimento, insieme ad Aldo Nicolaj, e a Manfridi  ho raccontato sempre le mie storie che lui mi restituiva puntualmente nella forma scritta teatrale aggiungendo, mettendo momenti in cui la storia cadeva o non si reggeva o mancava di ritmo, colmando i miei vuoti ed anche inserendo qualche sua invenzione, come la parte del gioco in questo testo, essendo in grado di stemperare la situazione per poi farla ripiombare nuovamente nel dramma”.

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Alla fine i dubbi non risolti, gli sbagli fatali, le paure ancestrali non sopite, un mare di sensazioni che riaffiorano faranno sì che ognuno si possa ritrovare ad essere vittima e carnefice allo stesso tempo. Un turbinio di emozioni trasmesse dai personaggi, emozioni forti delineate anche dall’incisiva timbrica delle loro voci, voci che entrano dentro, che si fanno strada nei meandri del pensiero, tra i “non detto” di ognuno. Una trama che coinvolge nella sua descrizione di aspetti, oscure sfaccettature, misteriose ossessioni dell’animo umano che si possono ritrovare nei cassetti segreti di tante, in apparenza, “belle e sane famiglie”.È quasi un gioco al massacro che, in crescendo, innesca un’escalation che non riveleremo in dettaglio per non togliere nulla al piacere della scoperta per i futuri spettatori.

Calorosi i lunghissimi applausi del pubblico, coinvolto emotivamente e preso di sorpresa, tra un piatto rotto e un improvviso urlo, ma consapevole di essersi trovato al centro di uno speciale ed unico momento di teatralità che non si può definire in maniera più appropriata se non il “Teatro della Persona” di Walter Manfrè.

Stefano Skalkotos, Chiara Condrò e Andrea Tidona per GLOBUS Magazine
Stefano Skalkotos, Chiara Condrò e Andrea Tidona per GLOBUS Magazine

LA CENA

di Giuseppe Manfridi

con Andrea Tidona

Chiara Condrò e Stefano Skalkotos

e Cristiano Marzio Penna

progetto teatrale e regia Walter Manfrè

produzione Teatro della Città

 

Foyer del Teatro Vittorio Emanuele dal 14 al 22 maggio 2019:

14 maggio ore 21:00

15 maggio ore 21:00

16 maggio ore 19:00 e ore 21:00

17 maggio ore 19:00 e ore 21:00

18 maggio ore 19:00 e ore 21:00

19 maggio ore 19:00

20 maggio ore 19:00

21 maggio ore 19:00

22 maggio ore 21:00

disponibilità posti a recita n. 27

MANIFESTO LA CENA

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