Intervista a Pippo Oddo, scrittore, saggista ed ex sindacalista

Gentile Pippo Oddo, incominciamo questa intervista con il ricordare ai lettori la tua lunga esperienza come sindacalista della CGIL; un resoconto di quegli anni, una cosa positiva che ti ha dato questa esperienza, una cosa negativa?

“La scelta di fare il sindacalista è maturata progressivamente dopo la soppressione della linea ferroviaria Palermo-Corleone (1° febbraio 1959), che passava da Villafrati, dove sono nato nel 1940. Avendo organizzato una protesta spontanea per denunciare all’opinione pubblica i guasti che stava facendo quella scellerata scelta governativa che condannava un pezzo di Sicilia interna al sottosviluppo, cominciai ad occuparmi di politica locale come militante del Partito socialista italiano e sostenitore della Cgil. Nel gennaio 1964, quando le correnti si sinistra del Psi costituirono il Psiup, io vi aderii e vi rimasi fino al luglio 1972, quando si sciolse. Il giorno dopo aderii al Pci, ma non senza qualche riserva attinente alla politica delle alleanze internazionali e al centralismo democratico. Vi rimasi iscritto fino alla fine. E subito dopo presi la tessera del Pds. Dal 1994 non più avuto nessuna tessera di partito. Frattanto era diventato sindacalista a tempo pieno con ruoli diversi a Palermo, a Ragusa, a livello regionale, e infine come consulente nazionale di Turismo Verde.Tra le molte esperienze positive fatte come sindacalista, considero la più importante quella di avermi fatto conoscere bene la Sicilia e tutti i suoi territori locali, i suoi problemi, i torti storici che hanno subito e le loro potenzialità di sviluppo. Esperienze negative, non ne ho fatte; ma ho sofferto molto per certo burocratismo sindacale e per il lungo collateralismo tra i sindacati e i portiti politici di riferimento, che spesso hanno infrenato le potenzialità positive del sindacato. Anche per questo, alla soglia dei 40 anni ho incominciato a indagare la storia e la cultura del territorio in tutte le sue sfaccettature, nel tentativo di lasciare qualche traccia più duratura delle iniziative sindacali che – per quanto importanti – a memoria mia, non hanno mai avuto maggior fortuna dei castelli di sabbia costruiti sulla spiaggia”.

Nel tuo libro dal titolo: “Il miraggio della terra in Sicilia”, tu poni la storia siciliana come un lungo racconto che pone il possesso della terra come protagonista, tracciando così un “filo conduttore” che parte da metà del ‘700 e termina negli anni ’60. Che sensazioni hai avuto nello scrivere questo libro di più di 600 pagine e che messaggi hai voluto dare ai tuoi lettori?

Per la verità, tutte le mie opere – compresi i due romanzi (Pensione Colabra e Memoriale di un vecchio portabandiera, ispirato alla vicenda umana e politica di un mio bisnonno eroe risorgimentale), le due edizioni del Manuale di agriturismo. L’ospitalità rurale tra storia e progetto e gli scritti di varia natura attinenti alla cultura alimentare e alle tradizioni rurali – roteano tutti intorno all’idea dello sviluppo locale sostenibile e alla conseguenziale ricerca delle risorse da inventariare e mettere a valore. A questa regola non sfugge Il Miraggio della terra, opera in quattro volumi, che nell’insieme coprono più di 1.800 pagine e oltre 5.300 note, molte delle quali citano fonti inedite, d’archivio. Mi corre il dovere di precisare che la ricerca specifica sul “miraggio” è durata una dozzina d’anni, ma ha fatto tesoro degli studi e delle esperienze precedenti. A darmi lo spunto per sottopormi a tale fatica è stato il prof. Francesco Renda, presidente dell’Istituto Gramsci Siciliano, suggerendomi di scrivere una biografia sui sindacalisti uccisi. Ho risposto, prima a lui e poi al suo successore prof. Salvatore Nicosia, che l’avrei fatto, ma non senza aver prima ricostruito la questione agraria siciliana dalla fondazione del regno borbonico alla fine degli anni ‘60. La sensazione che ho avuto è che la classe dominante ha tentato sempre di rimangiarsi ciò che era stata costretta a concedere ai contadini, e la maggior parte delle volte c’è riuscita”.

Pippo, hai ricevuto tanti premi ed hai scritto tanti libri e saggi, ma cosa farai da “grande”, soddisferai ancora una volta la tua voglia di scrivere o intraprenderai magari un progetto sociale chiuso per anni in un polveroso cassetto?

“Mah, la sola cosa che so è che, che poiché ogni stagione dell’esistenza umana produce frutti diversi dalle altre, non potrò più intestarmi progetti poliennali, come quelli che mi hanno visto impegnato nella ricerca delle mie radici e dello sviluppo incompiuto, dell’utopia della libertà e del miraggio della terra, e non solo in quanto studioso, ma – ancor prima – in qualità di cittadino e di sindacalista. Certo è che non lascerò arrugginire il cervello, finché ne avrò in qualche misura la padronanza”.

In questo periodo, che cosa occupa la tua voglia di fare? Che libro stai pensando di scrivere? Ci potresti dare delle anticipazioni?

“Lavoro da quasi un anno ad un progetto editoriale avente per titolo: Le tante vite di un sogno incompiuto. Riflessioni autobiografiche. Sono a circa metà dell’opera e, in qualche maniera, soddisfatto, non tanto per i contenuti (che non spetta a me giudicare), quanto perché l’opera ha già una sua compiutezza, degna di esser pubblicata, sia pure con una riformulazione del titolo, ma non già del sottotitolo, perché sempre di Riflessioni autobiografiche si tratta, ancorché per un solo step del lavoro preventivato. Va da sé che andrebbe ripensato e ricondotto ai canoni espositivi tipici dell’introduzione anche il Prologo”.

Pippo, da divulgatore storico, da scrittore cosa imprimeresti in modo particolare alle giovani menti siciliane?

Penso di non poter imprimere nulla alle giovani menti siciliane. Ogni esperienza culturale è figlia di particolari processi di formazione storica, irripetibili. Ma ho sempre cercato di dialogare con i giovani su quelle che mi piace chiamare le “radici del futuro”. Non mi sono mai stancato di invitarli a guardarsi attorno per cercare di cogliere i segni del passato e a recuperare la memoria condivisa dei luoghi per valorizzarla in funzione del proprio futuro. Un futuro fatto preferibilmente con le proprie mani e le migliori risorse mentali, nella propria terra. I soli consigli che posso dare attengono alla perseveranza e alla capacità dell’attesa dei risultati, alla cultura del progetto, che abbiamo ereditato dalla civiltà contadina. Mentirei, però a me stesso, se non aggiungessi che ho imparato molto dai giovani in materia di saperi tecnologici (che possono diventare veicolo di diffusione di saperi cosmici del mondo rurale e delle tecniche di ricerca dello studioso tradizionale). I processi formativi di un così ampio respiro postulano per i giovani la necessità di uscire per qualche tempo dal guscio protettivo del territorio d’origine per confrontarsi anche con i problemi del mondo globalizzato del terzo millennio, senza nessun complesso d’inferiorità né timore di restare se stessi e di tornare, poi, a impegnarsi nella propria terra, d’intesa con la propria gente, per affermare i valori fondanti della comune identità e tradurli in occasioni di sviluppo diffuso e duraturo”.

Tre aspetti negativi della nostra Sicilia e tre aspetti positivi, senza offesa per nessuno.

“Non mi piacciono le facili generalizzazioni, anche perché i vizi e le virtù dei siciliani non sono, poi, troppo diversi da quelli degli altri cittadini d’Italia e del mondo e, nel contempo, in ogni parte del pianeta i tipi umani sono tutti casi a sé stantie. Se di peculiarità è proprio necessario parlare, bisogna premettere che esse sono figlie della storia e della geografia umana. Tuttavia, è vero, tra gli aspetti distintivi dell’identità siciliana è possibile distinguere alcuni tratti peculiari (esotratti) negativi ed altri positivi. Tra i primi: 1) la persistenza di larghe sacche di familismo amorale (nell’accezione di Edward C. Banfield) da cui nell’Isola trae alimento più che altrove la piovra mafiosa l(a lunga latitanza di Matteo Messina Denaro è lì a dimostrarla); 2) la cultura della scorciatoia, di cui il clientelismo a tutti i livelli è solo la punta dell’iceberg, che finisce per mortificare la certezza dei diritti e la dignità di chi se ne serve e di chi vi tre illecito profitto; 3) la tolleranza di poteri diversi da quelli legali. Tra gli aspetti positivi spiccano la fantasia creativa, la laboriosità e la cultura dell’accoglienza”.

Dove acquistare i tuoi libri?

Questa è una nota davvero dolente. L’editoria siciliana non si è ancora dotata di un’adeguata rete di distribuzione. Gli acquisti si fanno presso le varie case editrici o on line, tramite Amazon e strutture simili, solo pochi nelle residue librerie siciliane”.

Ma secondo te, era necessario versare tanto sangue come tributo alle lotte per l’accaparramento della terra? Non sarebbe stato meglio che la terra fosse andata a chi la ama e la considera come vera fonte di sviluppo?

“Credo d’aver già risposto implicitamente, almeno in parte, a questa domanda. Aggiungo che il sangue è stato versato, nella stragrande maggioranza dei casi, perché gli agrari assenteisti hanno fatto di tutto per fare restare tale il miraggio della terra, che è stato il motore della storia del mondo occidentale, dalla riforma agraria dei Gracchi fino al secondo dopoguerra e, addirittura, fino ai nostri giorni, se volgiamo lo sguardo alle vicende planetarie. Lo sviluppo in Sicilia c’è stato, però distorto e incompiuto. Lo spreco (per usare un termine tanto caro a Danilo Dolci) di risorse naturali e di vite umane è stato, non solo inutile e delittuoso, ma anche motivo di disaffezione alla terra, scandito dal fascino della tuta blu o di un qualsiasi posto fisso nel primo stipendificio disponibile. Tutto ciò ha creato le premesse perché le nuove generazioni, altamente scolarizzate e specializzate, che pure amano la Sicilia, sono spesso costrette a mettere i loro cervelli largamente a disposizione di Paesi stranieri”.

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