I dati Ocse castigano i lavoratori italiani

L’ultimo rapporto dell’Ocse dice che i salari italiani sono molto al di sotto della media. Il sistema pensionistico sarà il principale problema per i prossimi pensionati

L’ultimo rapporto dell’Ocse – l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – dice che i salari italiani sono al di sotto della media degli altri paesi dell’Ocse: 28.900 euro contro 31.500 euro l’anno. L’Italia è in coda anche tra i paesi europei: guadagniamo la metà di Germania e Regno Unito, e un terzo di Svizzera e Norvegia.

Non c’è tregua per i lavoratori italiani. Secondo il report Pension at a glance 2013 dell’Ocse – l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – la media dei salari italiani è ben al di sotto della media dei paesi che fanno parte dell’organizzazione economica: se la media Ocse è di 42.700 dollari annui, pari a 31.500 euro, i lavoratori italiani hanno un salario medio di 38.100 dollari l’anno, che corrispondono a 28.900 euro.

Facendo un rapido confronto – improponibile, ovviamente – con alcuni paesi dell’Ocse, ci rendiamo conto che la paga dei lavoratori italiani è davvero misera: in Svizzera si guadagnano 94.900 dollari, in Norvegia 91mila dollari, in Australia 76.400 dollari, in Germania 59mila dollari, in Regno Unito 58.300 dollari e negli Stati Uniti 47.600 dollari. In Europa, come facilmente si evince, l’Italia paga i propri lavoratori la metà di Germania e Regno Unito, e un terzo di Svizzera e Norvegia. E però i messicani (7.300 dollari) e gli ungheresi (12.500) stanno sotto di noi. Possiamo esserne fieri, volendo.

Quando poi il rapporto prende di mira il sistema pensionistico italiano, viene denunciato che il metodo contributivo, assieme alla totale assenza di pensioni sociali, saranno il principale problema per i pensionati del prossimo futuro. Sul banco degli accusati troviamo, ovviamente, il precariato: «I lavoratori con carriere intermittenti, lavori precari e mal retribuiti sono più vulnerabili al rischio di povertà durante la vecchiaia», spiega il rapporto. Il sistema contributivo – continua l’Ocse – è strettamente legato alla quantità di contributi versati, pertanto chi ha versato poco o ha avuto contratti di lavoro intermittenti, si ritroverà una vecchiaia assai difficile o addirittura una situazione di povertà perché «l’Italia non prevede alcuna pensione sociale per attenuare il rischio di povertà degli anziani».

Il rapporto vede la riforma Fornero, approvata alla fine del 2011, come l’unica che porrebbe un calo agli aumenti: «Con la riforma del sistema pensionistico adottata dal ministro del lavoro Elsa Fornero, l’Italia ha fatto un passo importante per garantirne la sostenibilità finanziaria». In realtà le conclusioni si basano per lo più sull’aumento dell’età pensionabile adottato in quella riforma. Tant’è, secondo l’Ocse, che grazie all’aumento dell’età pensionabile, nel 2015 la spesa pensionistica italiana scenderà al 14,5 per cento del Pil e al 14,4 per cento nel 2020. Nel 2010 la spesa pensionistica in Italia era al 15,3 per cento del prodotto interno lordo.

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