Grecità, modernità e satira di Pirandello, nel musical “Liolà” di Moni Ovadia, Mario Incudine e Paride Bellassai

Il teatro “Brancati” apre la stagione 2023-24 con la rivisitazione del Liolà di Pirandello ad opera di tre nomi illustri dello spettacolo: Moni Ovadia, Mario Incudine, Paride Bellassai.

I tre, forse suggestionati dalla recensione di Antonio Gramsci pubblicata sull’Avanti!, in occasione della ‘prima’ del 1916 al Teatro Argentina di Roma con la compagnia di Angelo Musco, hanno tentato un’operazione spericolata ma felice, molto apprezzata dal pubblico.

Gramsci al tempo osservava che l’opera non ebbe molto successo perché il pubblico, nel finale, voleva “il sangue o il matrimonio“, aggiungendo peraltro “è il prodotto migliore dell’energia letteraria di Luigi Pirandello, è una farsa che si riattacca ai drammi satireschi della Grecia antica, Mattia Pascal, il melanconico essere moderno, vi diventa Liolà, l’uomo della vita pagana, pieno di robustezza morale e fisica”.

Nelle note di regia, infatti, leggiamo “Liolà è amore e morte, sole e luna, canto e silenzio; incarna il Don Giovanni di Mozart e il Dioniso mitologico”.

La società contadina descritta da Pirandello nella commedia, richiama, per certi versi, le tematiche verghiane, caratterizzate dalla brama di possesso per ricchezze materiali, la terra, la roba.

Un mondo rurale piccolo, egoista, ipocrita, a fronte del quale grandeggia e agisce da elemento sovvertitore la figura panica di Liolà, bracciante senza interesse per il benessere materiale, che agendo senza scrupoli la sua sessualità, sconvolge allegramente e inavvertitamente le regole della società in cui vive, dando voce alla sua personalità più viva e autentica, indifferente alla forma che la società gli vorrebbe imporre.

Pirandello la scrisse in un momento doloroso: il figlio detenuto in un campo di prigionieri di guerra e la moglie afflitta da sempre più frequenti crisi della sua malattia mentale. L’opera invece, nonostante questa angosciosa condizione della vita dell’autore, è molto giocosa ed allegra, quasi spensierata, al punto che l’autore stesso dirà «è così gioconda che non pare opera mia».

La storia scaturisce dallo stupore di Zio Simone (Angelo Tosto) per il matrimonio senza figli con Luzza (Rosaria Salvatico), non immaginando la propria infertilità. Liolà (Mario Incudine) irrompe in scena con la sua trascinante spensieratezza facendosi beffe del coro di popolane pettegole acide e maliziose (Olivia Spigarelli, Aurora Cimino, Graziana Lo Brutto, Federica Gurrieri, Valentina Caleca, Emile Beltrami, Emanuela Ucciardo, Chiara Spicuglia, Flavia Papa), cui fa il controcanto Zia Ninfa (Rori Quattrocchi), la madre di Liolà, che accoglie e alleva il frutto delle “scappatelle” del figlio. Luzza, in questo vortice di situazioni, via Liolà rimarrà incinta nonché stordita dalla gioia del maturo consorte che finalmente ottiene il frutto tanto sperato del suo matrimonio.

L’azione sospinta, come nel tetro greco classico dal coro (le pettegole) e dalla maschera di Pauluzzu ‘u fuoddi (Paride Bellassai), è gradevolmente arricchita dai siparietti dello Zio Simone pronto a tutto pur di avere un erede e dalla presenza scenica dei musici Antonio Vasta e Denis Marino.

Una riduzione della commedia pirandelliana interessante e intelligente per testo, musiche (Mario Incudine che ha curato anche le scene), coreografie (Dario La Ferla, Irasema Carpinteri).

Brava tutta la compagnia: se per Incudine, Tosto e Spigarelli è l’ennesima conferma, vanno sottolineate per giusto merito le presenze sceniche satiriche di Bellassai e Quattrocchi, i movimenti di scena d’insieme, corali e di contrasto, che hanno accompagnato con grande efficacia tutto il lavoro. La Stagione al “Brancati” si apre sotto i migliori auspici.

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