“GIUSEPPE”, IL DIARIO OLTRE LA LETTURA PER UN RAPPORTO AUTENTICO DI PADRE

DAL LIBRO “GIUSEPPE”,  OLTRE LA LETTURA. Un rapporto autentico nel diario di un padre-scrittore sul figlio scomparso tragicamente. Questa è una bella storia che merita essere raccontata proprio dalle maglie poetiche dello scrittore El Grinta.

Il 25 novembre 2017, sono stato ospitato a Corleone, al Caffè Teologico Letterario. Ho iniziato a girare per tutta Italia per presentare il mio libro, GIUSEPPE, firmato con lo pseudonimo di El Grinta ed edito da Albatros, dalla fine del 2016.
Quello è il secondo viaggio che effettuo in Sicilia. Lo devo alla buona eco riscossa con la vincita del secondo posto ex aequo per la narrativa edita, al Premio Piersanti Mattarella 2016.
Il romanzo è ispirato al suicidio realmente accaduto nella notte tra il 24 ed il 25 marzo 2014 a Milano, città in cui vivo, di Giuseppe, il mio primo figlio, all’epoca ventunenne (il primo di tre), quando cioè apre la finestra della sua camera, all’ottavo piano di un palazzo, e si lancia nel vuoto.
Ho cercato di raccontare il mal di vivere di un essere che si è sentito sin dall’adolescenza intrappolato nel proprio corpo e, infatti, GIUSEPPE è anche la storia di Noemi, alter ego femminile che assume contorni definiti nella vita di noi genitori solo nel momento in cui nostro figlio si toglie la vita. Ricostruisco la vicenda a ritroso, a partire dalla notte maledetta, attraverso le pagine di un diario che auguro a chi ora mi sta leggendo e a chiunque altro, di non scrivere mai. Le colonne portanti del narrato, dove trova ampio spazio anche il racconto delle mie emozioni, sono due: l’identità di genere e il disagio giovanile che porta all’auto distruzione.
Servirà davvero andare in giro per l’Italia e raccontare della grande sofferenza di un ragazzo milanese di ventuno anni e del profondo dolore di un padre?
Non lo so, ma sta di fatto che quella sera mi trovo lì a Corleone.

A introdurmi c’è il presidente del Caffè, Mario Alfieri, un giovane studente corleonese di farmacia, che mi è stato presentato a luglio, cioè all’epoca del mio primo viaggio nell’Isola, dalla mia amica Maria di Carlo, anche lei corleonese. Mario Alfieri ha saputo dei temi trattati in GIUSEPPE, si è appassionato e così abbiamo organizzato.

Siamo in una sala dove ci sono dei tavoli rotondi da cinque posti ciascuno tutti pieni e saremo un centinaio di persone. Con me, al tavolo, c’è un’amica di Mario Alfieri come moderatore e, come relatori, la psicologa Viviana Cutaia e Livia Nuccio, cioè la fondatrice di A.F.I.PRE.S., Associazione palermitana che si batte per contrastare il suicidio e prestare assistenza ai parenti delle vittime.
L’ambiente è molto partecipato. Addirittura, il primo intervento effettuato da una signora ancora prima che nessuno di noi relatori intervenisse, è così articolato che mi sento costretto a interromperla per chiedere (senza avere una reale risposta): “ma qual è la domanda?”. Arriva il mio turno di parlare.
Inizio tutte le mie presentazioni partendo dalla lettura della lettera che ha lasciato Giuseppe che ho pubblicato integralmente e fedelmente nel romanzo. Al momento di organizzare l’evento, chiedo sempre di trovare qualcuno del luogo che la legga come incipit e quella sera la legge un’altra amica di Mario. Dico subito dopo che ho scritto 568 pagine che avrei potuto fare anche a meno di scrivere perché la storia e la sofferenza di Giuseppe sono tutte in quella lettera, ma soprattutto dico che la prima volta che l’ho letta, molto egoisticamente, mi sia perdonata la debolezza, non ho pensato a come stesse soffrendo mio figlio mentre la scriveva, ma ho pensato a me e mi sono detto:

Ma perché il Padre Eterno mi fa questo? Perché mi punisce in questo modo? Una vita passata tra casa e ufficio, a svegliarsi tutte le mattine presto, a preoccuparsi che ai ragazzi non mancasse niente, a correre a scuola quando ce ne era bisogno e adesso? ‘Uva selvatica’… E’ per questo che ce l’ho a morte con il Padre Eterno!

Immediatamente, da uno dei tavoli vicini si alza un sacerdote. E’ un bell’uomo, alto, con dei beni colori dove spiccano i capelli neri, sui quaranta. Mi è stato presentato con simpatia prima che prendessimo posto. Mi guarda diritto negli occhi e dice serio e determinato, rivolgendosi a tutti i presenti: Lo vedete? Questo è un rapporto autentico con Dio!”
Non usa assolutamente il termine “fortunato”, ma quello che mi arriva quella sera si può di sicuro tradurre: “nella tua tragedia, sei fortunato, perché hai trovato un rapporto autentico con il Signore“.
Qui mi fermoMa perché quel commento? Perché ho incrociato un altro “ribelle” della famiglia o semplicemente per compiacermi un po’? Perché davvero le cose stanno così? Non lo so.
Non sono più ritornato a Corleone e non ho più visto quel sacerdote. Ho continuato a pensare che ho sempre un conto in sospeso con il Capo in testa per quello che è successo a Giuseppe e almeno fino a quando non mi spiega dov’era l’Angelo Custode di mio figlio la notte maledetta, ma, da quella sera, ho cominciato a godere di una maggiore serenità…

* * *

Non so perché ho voluto scrivere un libro su Giuseppe. Scrivere è stata la mia morfina, unica droga capace di anestetizzare un dolore terrificante. Quando scrivevo, infatti, Giuseppe era con me. Alla fine, è venuta fuori una testimonianza verace che, innescando la riflessione, può essere un ausilio per quei ragazzi che, come Giuseppe, affrontano problemi più grandi di loro che non riescono a gestire. E, naturalmente, per tutti quei genitori e docenti che vogliono stare vicino ai loro figli ed allievi e accettarli e amarli per quello che sono.
All’inizio, quando ho cominciato a scrivere, non avevo alcun obiettivo se non quello di commemorare mio figlio, ma, con il passare del tempo, ho trovato l’ attenzione di tutti.

Il racconto, con l’obiettivo dichiarato di onorare la memoria di Giuseppe, però, cerca anche di capire la forte componente dell’hikikomori di questo figlio difficile ed è questo l’unico grande cruccio che ho come scrittore: quando parlo con i ragazzi, ma anche con gli adulti, a meno che non ci sia un motivo ben presente nelle loro vite, ci si concentra sempre sui problemi dell’identità di genere e poco sull’isolamento, che invece è stata la causa della morte di Giuseppe e chissà di quanti altri ragazzi. Ma se riesco a farlo capire avrò vinto la mia battaglia…

Da novembre 2017 a novembre 2019, prima cioè che il covid fermasse l’attività in presenza delle scuole, GIUSEPPE è stato presentato per tutta Italia in 24 Istituti Superiori e una Inferiore (solo alle terze medie), fino ad arrivare a novembre 2020, quando l’Amministrazione Comunale di Viareggio ha voluto tenere anche un incontro on line, con un credito formativo riconosciuto dal MIUR, per i docenti che vi partecipavano. Mi dicono che il libro è quello che tutti noi genitori dovremmo leggere e che comunque è ben indicato per i ragazzi, a partire dalla terza media.
Le presentazioni nelle scuole, poi, di fatto, sono l’occasione per creare un bel dibattito e cercare di fare tutti assieme – studenti, loro docenti, psicologi dello Sportello Ascolto se presente, dirigente scolastico e padre-scrittore – proiezioni per il futuro e per le proprie vite, soprattutto se attraversate da problemi che non si riesce a risolvere da soli, proprio per non finire di scegliere come Giuseppe di togliersi la vita o comunque di isolarsi. E se questo è il giudizio del pubblico, come critica letteraria, da agosto 2016 ad aprile 2019, GIUSEPPE ha ricevuto 21 riconoscimenti in tutta Italia, tra cui vari primi Premio per la narrativa edita.
Di recente, forte dell’esperienza maturata parlando con gli studenti nei miei giri per lo Stivale, ho elaborato un nuovo testo dove le “telecamere” sono puntate solo su Giuseppe e Noemi, e alla fine di febbraio ho firmato un nuovo contratto di edizione con la CSA, la casa editrice di Castellana Grotte, Bari, che, contemporaneamente, ne curerà anche la cessione dei diritti all’estero.
A settembre, quindi, in libreria arriva “Mio figlio. L’amore che non ho fatto in tempo a dirgli” di Marco Termenana (anagramma del mio vero cognome). Ma allora, figlio mio, dove sei ora, come saranno i rapporti? E, soprattutto, San Pietro come ti chiamerà? Giuseppe o Noemi?
Secondo me, per Lui, come per tutti noi che ti vogliamo bene, è indifferente!

 

BIOGRAFIA  EL GRINTA

El Grinta è nato a Venezia il 28 settembre 1958. Appartiene, però, ad una famiglia meridionale e, infatti, è cresciuto a Salerno. Qui, nel 1976, ha iniziato l’attività giornalistica per “Agire”, una rivista parrocchiale, conseguendo poi il primo premio per la narrativa ad un concorso letterario (Premio “Ortensio Cavallo”, 1977). Dal 1980 è iscritto all’Ordine dei Giornalisti. Nel 1982 si è laureato in Scienze Politiche, all’Università Statale cittadina. Nello stesso anno si è trasferito a Milano, dove ha cominciato a lavorare in qualità di consulente stampa per aziende del settore informatico ed alta tecnologia. Attualmente è impiegato come dirigente presso un’importante azienda italiana.

La grande passione per il racconto scritto, accantonata da quasi 26 anni, all’enorme dolore per la perdita di Giuseppe, il primo dei 3 figli scomparso suicida a Milano all’età di 21 anni il 25 marzo 2014, riappare con decisione ed appunto grinta nella sua vita, consentendogli di andare avanti e trovare la forza per rialzarsi.

Con GIUSEPPE questo padre riesce a ridare senso alla sua esistenza ed a “resuscitare” il figlio almeno in ispirito: scritto con l’unico obiettivo di ritrovare la sua compagnia, tra l’altro in coincidenza di una separazione dalla moglie avvenuta dopo 23 anni di matrimonio, e solo con la sommessa speranza di potere innalzare una cappella al Cimitero con i proventi conseguenti ai diritti di autore (“è la mia morfina” scrive già nelle prime pagine), nel giro di circa 2 anni  – la prima edizione è di maggio 2016 e la seconda di maggio 2018 –  di fatto, cambia vita.

GIUSEPPE, da agosto 2016 ad aprile 2019, ha ricevuto 21 riconoscimenti in tutta Italia; nell’anno scolastico 2017-2018, è stato presentato in 9 scuole in tutto il territorio nazionale ed in 14 nell’anno scolastico 2018-2019 ed una nell’anno scolastico 2019-2020: il modo di scrivere di El Grinta immediato, diretto e senza mezzi termini, che va oltre anche al Verismo stesso, ne fa una lettura piacevole e ricercata sia dalla critica che dal pubblico, rendendolo inconsapevolmente già “tagliato” per una traduzione cinematografica.

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