FRANCESCO DE GREGORI “MAGICO” CON LA SUA ORCHESTRA SULLO SFONDO DI TAORMINA

E IL “PRINCIPE” COINVOLGE AFFABILMENTE IL PUBBLICO: «NESSUNO MI CHIAMA CICCIO?»

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E’ proprio vero, la musica è viva, la musica cambia: la sua magia non muta, seppur “vestita” di una melodia diversa, i cui arrangiamenti danno voce ai cambiamenti che si rincorrono negli anni. Davvero una scelta azzeccata proporre la propria musica immersa in un contesto sinfonico, cui aggiungere lo sfondo di uno scenario dal forte impatto estetico, da togliere il respiro. Emozioni e tanta buona musica, FRANCESCO DE GREGORI ha presentato al Teatro Antico di Taormina i suoi più grandi successi accompagnato dalla Gaga Symphony Orchestra, diretta dal maestro Simone Tonin e composta da quaranta elementi. Sul palco anche il quartetto Gnu Quartet (Raffaele Rebaudengo alla viola, Francesca Rapetti al flauto, Roberto Izzo al violino e Stefano Cabrera al violoncello, autore di tutti gli arrangiamenti dei pezzi proposti nella serata), la band storica che accompagna De Gregori da lungo tempo con Guido Guglielminetti al basso, Carlo Gaudiello al pianoforte, Paolo Giovenchi alle chitarre, Alessandro Valle alla pedal steel guitar e al mandolino, infine Simone Talone alle percussioni, e le due coriste Vanda Rapisardi e Francesca La Colla, le “Cocche” come chiamate affettuosamente dallo stesso cantautore.

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Alle 21 in punto, la scaletta vede un applauditissimo Tricarico aprire il concerto con i suoi brani più famosi, poi è la volta dell’orchestra, che il giovane maestro Tonin guida sapientemente fra le note di una commovente e assai emozionante versione sinfonica di “O Venezia che sei la più bella”, brano scritto da De Gregori insieme a Giovanna Marini, inserito nell’album “Il fischio del vapore” del 2003. Il pubblico apprezza tantissimo il pezzo esclusivamente strumentale, la veste sinfonica del brano accarezza tutti gli oltre tremila fans che riempiono ogni ordine del teatro.

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Francesco De Gregori esce finalmente sul palco, elegante, saluta tutti con un mezzo inchino, chiamato dagli spalti con autentica ovazione: niente cappello, ma vestito bianco e scarpe chiare, sotto la giacca una camicia hawaiana. L’inizio è da trattenere il fiato, archi e flauti si combinano insieme e si parte con “Generale”, sull’onda emotiva di un testo da brividi e il gioco di luci che si staglia sulle rovine del teatro antico. E’ l’ora de “Il cuoco di Salò”, con l’indice il cantautore romano punta il pubblico che lo accompagna entusiasta sulle note del refrain “…qui si fa l’Italia e si muore”. E il momento storico-patriottico aumenta d’intensità, “La storia”, e con i gesti della mano spinge ad accompagnarlo, allargando le braccia come a voler stringere tutto il pubblico. Il tempo di appoggiarsi un attimo sul pianoforte di Gaudiello, perché la solennità lo impone: “Pablo”, uno dei pezzi cult riproposto dal vivo, senza alcun significato politico, come lo stesso De Gregori ha detto in una recentissima intervista. Fra le sonorità della chitarra acustica e le coriste che impreziosiscono il ritornello, il brano introduce la struggente “Due zingari”, cui fa da eco una sezione di archi memorabile.

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La leva calcistica della classe ‘68” e il buon Nino che insegue il suo sogno: De Gregori si accoscia alla fine, quasi fosse con la propria squadra al rituale momento della foto di inizio gara. Si schernisce il grande cantautore presentando “La valigia dell’attore”, esatta descrizione del doppio ruolo che un uomo di spettacolo riveste, della sottile linea di demarcazione fra privato e pubblico. La serata scorre, quasi a metà del percorso, due chiacchere con i fans: «Per alcune cose -racconta Francesco-, traggo ispirazione dal lavoro di altri, uno di questi è “La ballata di Cable Hogue” di Sam Peckinpah (il personaggio “culo di gomma famoso meccanico” di Bufalo Bill, ndr); “Rimmel” da una ragazza, “Niente da capire” da … un’altra ragazza»! La bella ballata dalle assonanze western caratterizza “Un guanto”, introdotta dallo stesso cantautore come ispirazione al capolavoro dal medesimo nome dei disegni di Klinger.

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E’ un bel momento quando De Gregori imbraccia l’inseparabile Gibson e, pizzicando le corde, attacca con ritmo “Bufalo Bill”, che ha un grande seguito di cori peraltro ben intonati, dieci a tutti, bravi! Quanto muove il cuore “Santa Lucia”, e quanto emoziona alla fine il cameo dedicato all’amico Lucio Dalla, il pubblico applaude commosso. “Alice” fu la sua prima hit, seppur arrivata ultima al “Disco per l’estate”, gatti e luna del testo si incastonano perfettamente nel magico scenario del teatro e del cielo taorminese. Che bella atmosfera: ora violini e violoncelli si inseguono facendo a gara con la leggiadria del flauto di Francesca Rapetti. Anche il “principe” si emoziona, “La donna cannone” trascina talmente l’intero ensemble che alla fine proprio gli orchestrali “danno il la” a tutto il pubblico, invitandolo ad accendere il flash dei propri telefoni. Che spettacolo! “Vai in Africa, Celestino!” è una bella ballata rock, poi nuovamente l’acustica rara e raffinata di “Pezzi di vetro”, e la vena romantica di “Cardiologia”.

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Ritorna a introdurre e spiegare il pezzo seguente, la mamma saluta un figlio che non vedrà mai più, questo è “L’abbigliamento di un fuochista”, che fa da apripista al gran finale, quel “Titanic” che ti avvicina alle tre classi della nave inaffondabile e alle mille lire, al capitano e il cappellino della ragazza che per sposarsi va in America. Non ci sta il pubblico, chiede a gran voce che escano tutti, Francesco torna e abbraccia le sue “cocche” intonando “Can’t Help Falling in Love”, ballata portata al successo da Elvis Presley, canzone che gli faceva sempre ascoltare il fratello quando era ragazzino. Non mancano, richiestissime, la splendida “Buonanotte Fiorellino” e la ricercatissima “Rimmel”, storia di un addio freddo e distaccato che lo portò al successo vero nel lontano 1975, ora anche in chiave sinfonica, ma arricchito da un assolo di flauto e dell’armonica dello stesso Francesco. Saluta De Gregori e rinvia il pubblico alla prossima occasione, ma non è poi così tardi per i suoi fans che “… a dormire non ci vogliono andare”.

 

 

 

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