Calcio Catania: il disastro tattico, motore immobile del caos

Annullate le gerarchie, spazzate via le certezze difensive e confermati i limiti in attacco

giovanni marchese asi

 

Non è servito il mercato, tanto di meno i ribaltoni in panchina. Ormai è chiaro: il Catania vive una crisi tecnica notevole e in quel di Catanzaro dovrà necessariamente sterzare per non rischiare l’ennesimo approdo sulla panchina etnea. Da gennaio ad oggi, con il mese di marzo che volge ormai al termine, così come la stagione regolare, che aprirà eventualmente ai playoff ,sono crollate le fondamenta di questa squadra e quelli che dovevano essere rinforzi, non sono stati tali.

Il disastro, il dissesto su portata d’argento. Partiamo dall’innovazione voluta da Pino Rigoli col cambio di modulo, dal 4-3-3 al 3-5-2 e gli inserimenti di Giovanni Marchese e Ivano Baldanzeddu in primis. Quest’ultimo aveva fatto vedere sprazzi di praticità prima del crack, mentre “Giovannino” provando a mettere sul campo la propria esperienza al servizio del gruppo, purtroppo spesso è stato protagonista di alcune importanti sviste. Ma in generale, nell’assetto difensivo etneo è mancato l’ordine e la compattezza di squadra. Sovente è stato Matteo Pisseri a salvare tutto mettendo una pezza, mentre il solo Dario Bergamelli ha continuato a tenere alti gli standard. Crollo verticale nelle prestazioni di Drausio Gil nel girone di ritorno. Poi c’è un centrocampo che non fa filtro, che non imposta e che non ha trovato un leader neanche in Marco Biagianti. Certo, un uomo solo ben poco potrebbe fare, mentre la grande delusione, Federico Scoppa, continua a non essere né carne né pesce, Giuseppe Fornito stecca e Rosario Bucolo s’impegna. Il mediano catanese forse è quello che sta dando di più ad un reparto che è quello che ha palesato le maggiori lacune nella gestione delle due fasi di gioco. Infine l’attacco: la rivoluzione invernale e il ricambio voluto dalla dirigenza per sfatare il tabù gol. Via Calil e Paolucci e spazio a nuove leve. Arrivano due ragazzi di carattere e cuore, tanto Diogo Tavares quanto Demiro Pozzebon che però non possono fare miracoli se assistiti da una macchina di manovra che non esiste.

Il lavoro da fare dunque sui campi di Torre del Grifo è di quelli cosiddetti “di coltello”. Non parliamo tanto di moduli, lo ribadiamo, quanto di identità. Perché se da una parte con Rigoli la solidità difensiva era un marchio di fabbrica, così come l’incisività casalinga, dall’altra con Petrone prima e Pulvirenti poi, il cuore-Catania ha smesso di battere.

Massaggio cardiaco, nella speranza di recuperare prima della fine una stagione che potrebbe ancora dire qualcosa di importante.

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