Le scene dell’allestimento classico di Zeffirelli, la direzione di Carella e le voci di Jessica Nuccio e John Osborn ne decretano il successo.
“Nulla più è sacro per il cannone“, è una frase che denota la scelleratezza della guerra: sintomatico come in un momento in cui si è alle soglie di conflitti che scuotono il mondo occidentale torni alla ribalta teatrale una opera, “La fille du Regimènt” su libretto di Bayard e Vernoy e musica di Gaetano Donizetti, opera che ha ben 183 anni ma che sèrba la sua freschezza e vitalità comica, anche se tratta di argomenti dell’intiero scibile umano pur nella leggerezza della trama, che contiene, detta dalla Marchesa, la frase citata; come se il mondo non cambiasse mai.
Così se alla prima rappresentazione al teatro Bellini di Catania, la sera ancora semi estiva del venti ottobre, la predetta opera in cartellone, allestita dal Teatro Massimo di Palermo con le scene della storica regia di Franco Zeffirelli della fine degli anni Cinquanta, con la attuale regia di Marco Gandini, ha riscosso il successo ampio del pubblico, non si può che collegare al momento presente la universalità del messaggio che il teatro, da sempre specchio della società, ci invia.
Difatti è proprio Marie, la figlia del Reggimento, il ventunesimo dei granatieri di Francia, che esclama, con allusione simbolica: “Al rombo della guerra ho visto la luce...“, facendo rammentare quanti bimbi, che poi furono i nostri genitori e nonni, videro gli orrori della seconda guerra mondiale: “la guerra continua” del comunicato del 25 luglio 1943, è ancora valido!
Tornando allo spettacolo, che ha visto il pieno delle prime da parte del pubblico attento e coinvolto che ben conosciamo, lode sia alla direzione d’orchestra di Giuliano Carella, la quale ha ben condotto i tempi senza sbavature, rispettando lo spartito in una chiave tradizionale. I costumi poi dell’Ottocento nel classico allestimento zeffirelliano, fastoso e fantasmagorico, hanno dato quella serenità che ha pervaso, nel clima colorato, i due atti del libretto, arricchito dalla cura di acconciature e trucco degli artisti (per opera del valente Alfredo Danese).
Come al solito, sia il coro, con preminenza maschile date le scene soldatesche, che femminile del Teatro Bellini diretto dal Maestro Petrozziello, si è rivelato alla altezza della situazione, in una opera che lo vede impegnato quasi per tutta la partitura. Per quanto riguarda i cantanti, ottima resa del soprano palermitano Jessica Nuccio, che avevamo già avuto modo di ascoltare: già alunna del compianto Marcello Giordani, le doti della modulata sua esposizione vocale hanno avuto in Marie un ruolo adeguato, unitamente alla notevole capacità recitativa, che il pubblico ha apprezzato.
La stella della serata fu il tenore statunitense John Osborn dalla carriera internazionale ben nota, un Tonio dalle equilibrate, ampie capacità vocali, specie nell’aria famosissima “Ah mes amìs” che ha ricevuto tanti applausi da spingere il cantante, un pò narcisisticamente, alla replica della stessa, comunque gradita. Bravo davvero il baritono basso Luca Galli, giovane di estrema passione e ampiezza vocale, che ha un bel futuro nel settore, ottimo nel ruolo del Sergente Sulplice. Sicura del suo ruolo nella parte della Marchesa, il soprano americano Madelyn Renée, che ha anch’ella come Osborn, una pluridecennale carriera artistica di successo. Caratterizzato anche l’Hortensius di Francesco Palmieri e la Duchessa di Ernesto Tomasini, en travesti.
Il bergamasco Donizetti, allievo del grandissimo Giovanni Simone Mayr (e oggi misconosciuto dai teatri purtroppo, forse per il suo ruolo quale facente parte della istituzione degli Illuminati di Baviera, che desiderava un rinnovamento radicale della società dell’epoca: ne erano affiliati Goethe e Mozart, per citare due nomi…) che a Bergamo insegnava; Donizetti coetaneo del nostro – e di gran successo durante tutto il XIX secolo, anch’egli ma per motivi diversi, in parte dimenticato – Giovanni Pacini, ebbe alterna fortuna e il suo estro creativo risente molto del Rossini, che lo protesse sempre, di Bellini che tanto amò (e da cui anche le arie di Marie della Fille prendono spunto, soprattutto da Norma) di Mayr logicamente ed anche di Pacini: nello stesso anno, il 1819, Pacini dava alla Scala il Falegname di Livonia con libretto di Felice Romani e Donizetti scriveva una opera dallo stesso nome: non v’ha a dire che il catanese fu il più fortunato.
Nell’anno del debutto, contemporaneo alla Scala e a Parigi all’Opera comique, della Figlia del Reggimento, il 1840, Il Pacini già famosissimo, dopo il successo di Irene o l’assedio di Messina al San Carlo, con Maria Malibran e il basso Lablache e gli anni di riflessione dopo la morte di Bellini, mette in scena – sempre al San Carlo – la Saffo, che sarà un suo sommo successo. Due anni dopo, nel 1842, il Nabucco verdiano inaugurerà un nuovo corso.
Eppure oggi, dalla Chicago Liryc Opera, diretta da Speranza Scappucci in questi giorni, a Catania, si da l’opera comica donizettiana, mentre il catanese che trionfava con l’ultimo giorno di Pompei da Napoli a Milano e che ebbe, a differenza di Bellini, occasione di amare la donna più bella del mondo dei suoi tempi, ossia Paolina Bonaparte Borghese, è – se si eccettua il ricordo della città natale recente e di cultori toscani e di Francia – non più ripreso.
Voci difficili per Bellini e Pacini, che invece per Donizetti della Fille, il cui ruolo di Tonio valse la fama a Luciano Pavarotti e oggi è reso celebre da Diego Flòrez, sono accessibili. Altresì il destino di Gaetano Donizetti pesa: morto poco più che cinquantenne per la sifilide che aveva invaso il cervello, sofferente negli ultimi cinque anni di vita, la sua calotta cranica venne asportata e ricomposta poi, alla sistemazione della salma, più o meno nello stesso periodo in cui l’amato da lui, Bellini tornava a Catania, da morto, nell’anno 1876 (e pare, senza l’urna col cuore…). Come recita il Cantico dei Cantici, “Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo“.
Parte del pubblico, edotto da generazioni di frequenza in teatro, sa ben discernere: sia gli uomini in cravatta a farfalla che le signore in sontuosi abiti – si distinse elegantemente Donna Lisa Majorana Cultrera e altre al riguardo – seppero resistere eroicamente al caldo di una anomala estate che ha invaso il fu autunno catinense; tra i presenti, la Delegazione di Sicilia e Malta della Real Casa d’Epiro, la Legione Garibaldina di Sicilia e alcuni insigniti degli Ordini Dinastici di Casa Savoja.
La storia che alla fine consacra il suggello della commistione tra aristocrazia e borghesia, ovvero il matrimonio fra Tonio e Marie (quindi lo specchio dell’Ottocento, il secolo dei baffi e delle barbe rivoluzionarie) considerato il clima e il più volte manifesto apprezzamento dei presenti per l’opera, concluse con cinque minuti di applausi che coronarono una rappresentazione deliziosa.
La prossima opera in cartellone è il classico dei classici, la Traviata del Maestro e Cavaliere Giuseppe Verdi, protagonista Daniela Schillaci, il primo dicembre.