Una città senza memoria è una città senza futuro

Nino Principato, candidato al Consiglio Comunale con Federico Basile, uno che ha combattuto sempre in favore della sua città che difende da sempre la memoria e l’identità storica di Messina

Tanti sono i punti importanti e i progetti che fanno parte del programma politico di Nino Principato, candidato al Consiglio Comunale di Messina di “Sicilia Vera” con Federico Basile candidato Sindaco.

Al primo punto del suo programma troviamo il recupero dell’ex “Irreramare e al secondo

recuperare il Monastero di S.Filippo il Grande, “La più bella Abbazia in Sicilia“.

“[…] il più bel luogo tra le Abbadie di San Basilio in Sicilia”, l’Abbazia di San Filippo il Grande, come la definì lo storico messinese Giuseppe Buonfiglio nel suo libro “Messina Città Nobilissima” del 1606, rappresenta un notevole patrimonio di pregevole interesse artistico, storico e architettonico.

Al settimo punto del programma c’è la restituzione alla città, che ne è proprietaria, della più antica lettera d’Europa scritta dalla Contessa Adelasia a Messina il 6 Marzo 1109, indebitamente conservata all’Archivio storico di Palermo.

Principato si rende conto che si tratta di un’impresa irta di difficoltà ma ciò non vuol dire che non si debba tentare, facendo di tutto, per far tornare a Messina la più antica lettera d’Europa della quale è legittima proprietaria. La rarissima missiva, scritta secondo l’usanza del tempo nelle due lingue greca ed araba, su carta bambagina araba con inchiostro nero e recante i segni di un sigillo in cera rossa, rappresenta il documento cartaceo più antico d’Europa!

Ma è nell’ottavo punto del suo programma in cui si evoca la restituzione alla città delle 1426 pergamene (dall’Anno 1000 al XVII Secolo) trafugate e portate in Spagna dopo la rivolta antispagnola del 1674-78 e dove ancora oggi si trovano.

A questo riguardo Nino Principato ci dice:

“Nella mia vita ho sempre combattuto in favore della mia città Messina. Da giornalista de “La Sicilia” coi miei articoli salvai dalla distruzione, dalla deturpazione e dal trafugamento di opere d’arte e monumenti e non sempre purtroppo ci sono riuscito combattendo in perfetta solitudine. Se sarò eletto Consigliere Comunale continuerò le mie battaglie e i progetti che intendo portare avanti.

Avrei potuto fare come fanno tanti candidati al Consiglio Comunale di Messina, cioè, chiedere il voto e basta, magari con i soliti facili slogan, triti e ritriti, a favore della città. Ma io sono io e gli altri sono gli altri.

E allora, preferisco misurarmi con i miei concittadini/e presentando progetti di sviluppo reale e compatibile.

Per quanto riguarda le 1426 pergamene bisogna sapere che a seguito della fallita rivolta di Messina contro la Spagna nel 1674-78 e l’abbandono degli alleati francesi alla feroce restaurazione spagnola con la firma della “Pace di Nimega”, Messina conobbe un periodo di dura repressione in tutti i settori della vita pubblica.

Il 5 gennaio 1679 giungeva a Messina il nuovo viceré di Sicilia don Francesco de Benavides, conte di Santo Stefano, che promulgava un decreto punitivo tendente ad abolire alcune importanti istituzioni e privilegi cittadini, inasprendo le tasse, demolendo il palazzo del Senato in piazza Duomo sul cui terreno farà spargere il sale in segno di dispregio, chiudendo l’Università, l’Orto Botanico, abolendo il Porto Franco e la Zecca, facendo costruire la Cittadella “a eterno freno dei malcontenti”, togliendo l’antico titolo di “Città Esemplare e Caput Regni” e dichiarando la città “muerta civilmente”.

Ma la più umiliante vessazione che ebbe a subire Messina fu il trafugamento di tutti i documenti che riguardavano i suoi antichi privilegi, che furono trasportati in Spagna.

La sera del 9 gennaio 1679, infatti, alle 22 circa, davanti ad una folla di messinesi assiepati in piazza Duomo, infreddoliti e tenuti a debita distanza da una fitta barriera di archibugieri, in un silenzio innaturale tutti guardavano verso la porta del campanile dietro la quale armeggiavano per aprirla un gruppo di persone rischiarate dalle torce.

Il primo ad entrare fu il Regio Consultore di Sicilia, don Rodrigo de Quintana, seguito dal segretario Francesco Zappulla. Dentro c’erano molte casse piene di preziosi documenti pergamenacei e cartacei, 1426 pergamene che documentavano la storia civile e i privilegi concessi alla città a partire dall’epoca normanna. L’intenzione fu quella di cancellare la memoria storica di Messina decretandone, perciò, anche la sua morte civile. Il materiale fu scrupolosamente raccolto in 23 sacchi e consegnato a sette “bastasi” che lo caricarono su un carro e lo portarono a Palazzo Reale con una scorta armata. Pochi giorni dopo i sacchi furono imbarcati e trasferiti in Spagna per essere consegnati al re che ne fece omaggio al viceré de Benavides, responsabile dell’operazione.

Tale imponente mole di documenti dal valore storico inestimabile, nota come “Fondo Messina”, è oggi custodita presso la “Fondazione Casa Ducale Medinaceli” di Siviglia in Spagna dopo che, con un decreto del 4 maggio 1685, un antenato del duca e ministro di Carlo II, ordinò al de Benavides che “[…] incorporase a sus archivos los documentos mas antigues de la ciudad de Mesìna”, vale a dire includere e custodire nei suoi archivi i documenti più antichi della città di Messina. Documenti mai restituiti alla città che ne è la legittima proprietaria.

Nel 1980, una delegazione della quale facevano parte il prof. Francesco Giunta e il dott. Aldo Sparti di Palermo, il prof. Romualdo Giuffrida e il prof. Federico Martino di Messina, potè prendere sommaria visione dei documenti. Dopo 10 anni, gli studiosi sollecitarono un intervento risolutivo del ministero degli Affari esteri, rivolgendosi in particolare ad un diplomatico messinese, l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci. Con un intervento diplomatico, Fulci riuscì nell’intento di riportare a Messina, sia pure nello spazio di una mostra temporanea, gran parte dei documenti nel 1994. Fu nominata una commissione di esperti composta da Aldo Sparti, Francesco Giunta e Federico Martino. Durante l’incontro di questa commissione con il Segretario Generale della Fondazione Medinaceli di Siviglia, il Duca di Segorbe, il 26 gennaio 1990, venne siglato tra le parti un accordo con il quale si stabilì un programma di recupero e valorizzazione del fondo pergamenaceo messinese.

I rapporti di collaborazione fra Italia e Fondazione Medinaceli divennero, da allora, sempre più stretti, al punto che il Duca di Segorbe espresse anche il desiderio di restituire a Messina, a certe condizioni, tutti i documenti relativi alla sua storia. La disponibilità del Duca di Segorbe, manifestata per iscritto il 19 ottobre 1990, fu più volte ribadita e confermata ai Ministeri degli esteri e ai Beni Culturali e Ambientali, oltre che ai vertici istituzionali della Regione Siciliana.

Nell’ottica di quanto sta avvenendo in questi giorni per altre Nazioni che detenevano in maniera indebita opere d’arte, restituendole ai legittimi proprietari, sarebbe oltremodo importante che Messina ritornasse in possesso di queste sue pergamene e privilegi, per i quali la città era celebre in tutto il Mediterraneo e grazie ai quali aveva raggiunto, per secoli, una posizione di preminenza rispetto ad altre città siciliane”.

 

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