Cèline, Canti Gregoriani, Stendhal e botulino: ci sta tutto nella statuetta per Paolo Sorrentino

Stanotte a Los Angeles è arrivato l’Oscar per la Grande Bellezza di Paolo Sorrentino come miglior film straniero.

Non si può apprezzare ‘La Grande Bellezza’ se non si conosce ‘Viaggio al termine della notte‘ di Louis Ferdinand Cèline che fa da ouverture al film di Paolo Sorrentino – vincitore della tanto anelata statuetta stanotte a Los Angeles quale miglior film straniero: “Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione.Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi…“.
Ma non troviamo solo citazioni di Cèline da parte del regista napoletano – che ha dedicato il premio a Federico Fellini, Martin Scorsese, Diego Armando Maradona e ai Talking Heads, ‘‘Perché – dichiara il regista – ‘Sono quattro campioni nella loro arte che mi hanno insegnato tutti cosa vuol dire fare un grande spettacolo, che è la base di tutto lo spettacolo cinematografico”.- Ci sono anche canti gregoriani e sindrome di Stendhal a far da contorno a questa Roma indolente, barocca, papalina, distaccata, disincantata e paciosa che, pregnante di tanta storia, guarda le miserie degli uomini contemporanei: insomma, una bellezza che assiste al degrado e alla morte di Dio.

E al centro, a far da Virgilio, c’è Jep Gambardella, colto, cinico e ironico, che viene dal Vomero, da Posillipo e approdato a Roma a ventisei anni come Federico Fellini, che ha conservato quell’accento napoletano che lo fa tanto ‘intellettuale’: perché lui è uno che sa le cose, uno nato ricco e che come dicono gli inglesi ‘non ha dovuto comprare i mobili per arredare la sua casa’. Lo scrittore Jep, interpretato da Tony Servillo, si salva dal degrado che lo circonda perché è cinico, quindi sano. E’ ridotto al silenzio perché sa troppe cose proprio come il ‘Faust’ di Ghoete: si muove con disincanto, Jep, perché non trova né  la bellezza, né gli  interlocutori, e si aggira per il mondo come un folletto triste e malinconico usando come armi  l’ironia e il sarcasmo non riuscendo più a trovare il serio della vita. Esempio pregnante: ‘Vocazione Civile’ ovvero il dialogo tra Jep e la sprezzante Stefania che si vanta di ‘sporcarsi la mani di vita vissuta e sofferta’ ma che a detta di Jep, ‘è una vita con maggiordomo e con una vocazione civile che si consumava nei bagni delle università’.

La Grande Bellezza è questa Roma indolente, con donne di plastica e uomini mediocri che sfilano sulla terrazza dell’ inappuntabile ‘dandy’ Jep.  

Su questa terrazza che si affaccia sul Colosseo, tanti personaggi descritti da Sorrentino: la radical chic moralista che sentenzia, la guru del botulino, la spogliarellista agèe interpretata da una naif Sabrina Ferilli, e poi c’è l’uomo di spettacolo fallito e fragile (Carlo Verdone).

Il film, dedicato al giornalista napoletano Giuseppe D’Avanzo scomparso tre anni fa, si aggiudica l’Oscar dopo aver corso per il Palmarés di Cannes a Giugno senza vincerlo. La delusione di Sorrentino lascia così il posto ad una grande soddisfazione: aver riportato l’Oscar in Italia dopo Roberto Benigni con ‘La vita è bella’.

Frase cult de ‘La grande bellezza’, che vedremo domani sera sulle TV italiane, è quella che dice Jep: “Quando ero giovane chiedevano a noi ragazzi quale era la cosa più bella del mondo. Tutti i miei amici dicevano ‘la fessa’, mentre io dicevo ‘l’odore delle case dei vecchì. Ero destinato, per questa mia sensibilità, a diventare scrittore“.

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